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Ritenute certificate: non basta l’invio telematico

La Corte di Cassazione ha annullato una condanna per omesso versamento di ritenute certificate, stabilendo un principio fondamentale: per configurare il reato non basta l’invio telematico della Certificazione Unica all’Agenzia delle Entrate. È necessario che l’accusa provi l’effettiva consegna della certificazione cartacea ai dipendenti. La sentenza sottolinea che l’adempimento telematico e la consegna al lavoratore sono due obblighi distinti e non equipollenti ai fini della responsabilità penale.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ritenute Certificate: la Cassazione chiarisce, non basta l’invio telematico

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito un principio cruciale in materia di reati tributari, affermando che per la condanna per omesso versamento di ritenute certificate non è sufficiente la prova dell’invio telematico della documentazione all’Agenzia delle Entrate. È indispensabile dimostrare che il datore di lavoro abbia effettivamente consegnato le certificazioni ai propri dipendenti. Questa decisione rafforza le garanzie per il contribuente, delineando con maggiore precisione gli elementi costitutivi del reato.

Il caso: condanna per omesso versamento

Il caso riguarda un imprenditore, presidente del consiglio di amministrazione e amministratore delegato di una società, condannato in primo e secondo grado per il reato di cui all’art. 10-bis del D.Lgs. 74/2000. L’accusa era di aver omesso il versamento di ritenute d’imposta, per gli anni 2015 e 2016, per un importo superiore alla soglia di punibilità di 150.000 euro.

La difesa dell’imprenditore ha presentato ricorso in Cassazione, sollevando diverse questioni procedurali e di merito. Tra queste, la più rilevante e infine accolta dalla Suprema Corte, riguardava la mancanza di prova di un elemento essenziale del reato: l’effettivo rilascio delle certificazioni ai dipendenti (sostituiti).

L’importanza delle Ritenute Certificate nella contestazione

Il reato di omesso versamento punisce il sostituto d’imposta che non versa le ritenute “dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti”. A seguito di una pronuncia della Corte Costituzionale (n. 175 del 2022), la rilevanza penale della condotta è stata limitata alle sole ritenute certificate. Di conseguenza, per poter condannare un soggetto, l’accusa deve provare non solo il mancato pagamento, ma anche che le relative certificazioni siano state effettivamente consegnate ai lavoratori.

La difesa ha sostenuto che i giudici di merito avessero erroneamente dato per scontato tale presupposto, basando la condanna unicamente sulla trasmissione telematica della Certificazione Unica all’Agenzia delle Entrate.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il motivo di ricorso, annullando la sentenza di condanna e rinviando il caso alla Corte d’Appello per un nuovo giudizio. I giudici supremi hanno chiarito che l’invio telematico della documentazione all’amministrazione finanziaria e la consegna materiale della certificazione al singolo lavoratore sono due adempimenti distinti e non fungibili.

Le motivazioni

La Corte ha spiegato che la disciplina fiscale prevede un doppio obbligo per il sostituto d’imposta:
1. Predisporre e trasmettere telematicamente la dichiarazione (modello 770 e Certificazione Unica) all’Agenzia delle Entrate.
2. Predisporre e consegnare la certificazione cartacea a ciascun sostituito (dipendente).

Il reato si configura solo quando le ritenute non versate sono quelle attestate in quest’ultimo documento, consegnato al lavoratore. L’inoltro telematico all’Agenzia, sebbene obbligatorio, non può sostituire la prova della consegna materiale. Presumere che, siccome i dati sono stati inviati al Fisco, allora sono stati anche consegnati ai dipendenti, costituisce un’inversione dell’onere della prova non consentita nel processo penale.

La Cassazione ha affermato che l’inoltro telematico e la consegna fisica non sono equipollenti, poiché il “rapporto bilaterale” che si instaura con il rilascio del certificato al dipendente non trova applicazione nel caricamento massivo dei dati su un portale telematico. Non si può presumere che tutti i lavoratori abbiano la capacità e i mezzi per accedere a tali portali e recuperare la propria certificazione.

Di conseguenza, la sentenza impugnata è stata censurata perché ha ritenuto raggiunta la prova del reato basandosi unicamente sull’invio dei dati all’Agenzia delle Entrate, senza alcuna verifica sull’effettivo rilascio dei documenti ai sostituiti.

Le conclusioni

Questa pronuncia ha importanti implicazioni pratiche. Per l’accusa, non sarà più sufficiente produrre in giudizio la documentazione trasmessa telematicamente al Fisco; sarà necessario fornire la prova specifica che ogni lavoratore abbia ricevuto la propria certificazione. Ciò potrebbe avvenire tramite testimonianze dei dipendenti stessi o altre prove documentali. Per la difesa, si apre uno spazio significativo per contestare le accuse basate su presunzioni, richiedendo una prova rigorosa di tutti gli elementi costitutivi del reato. La sentenza riafferma il principio secondo cui la responsabilità penale deve essere accertata oltre ogni ragionevole dubbio, senza scorciatoie probatorie.

È sufficiente inviare telematicamente la Certificazione Unica all’Agenzia delle Entrate per essere accusati di omesso versamento di ritenute certificate?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’invio telematico è un adempimento distinto dalla consegna della certificazione al lavoratore. Per la configurabilità del reato, l’accusa deve provare che la certificazione sia stata effettivamente rilasciata e consegnata al dipendente.

Cosa deve dimostrare l’accusa per provare il reato di omesso versamento di ritenute certificate?
L’accusa deve dimostrare due elementi: il mancato versamento delle ritenute all’erario e il fatto che queste ritenute siano “certificate”, ovvero che la relativa attestazione documentale sia stata materialmente consegnata dal datore di lavoro (sostituto) al lavoratore (sostituito).

Qual è stata la conseguenza della decisione della Corte di Cassazione nel caso specifico?
La sentenza di condanna emessa dalla Corte d’Appello è stata annullata. Il processo dovrà essere celebrato nuovamente davanti a una diversa sezione della stessa Corte d’Appello, che dovrà attenersi al principio di diritto stabilito dalla Cassazione e verificare se esista la prova dell’effettiva consegna delle certificazioni ai dipendenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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