Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 530 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 530 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 29/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Ciconio Torino, il 28/02/1952
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Torino del 04/03/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.In data 4/03/2024, Corte d’Appello di Torino ha confermato la pronuncia del Tribunale di Torino, del 04/07/2023, che aveva dichiarato COGNOME Adriano responsabile dei reati di cui all’art. 10-bis del d.lgs. 10 marzo 2000, contestati, a capi a) e b) d’imputazione, nella formulazione risultante dalla modifica apportata dal pubblico ministero all’udienza del 17/01/2023, commessi in Rivoli in data 15/09/2016 e in data 31/10/2017.
In primo grado l’odierno ricorrente era stato condannato alla pena di anni 6 di reclusione e pene accessorie di legge, perché, nella qualità di Presidente del consiglio di amministrazione e amministratore delegato della RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE con sede in Avigliana, non aveva proceduto a versare, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta modello 770, per gli anni d’imposta 2015 (capo a) e 2016 (capo b) le ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione, risultanti dalle certificazioni rilasciate dai sostituti, per importi superiori alla soglia di punibilità di 150.000,00.
2.Nel primo motivo di ricorso si lamenta il vizio di violazione di legge, per non aver la Corte d’appello dichiarato nullo il decreto di citazione a giudizio non riportante l’avviso in ordine alla possibilità di ricorrere all’istituto della messa prova.
In subordine, si chiede sollevarsi questione di legittimità costituzionale dell’art. 552, lett. f), cod. proc. pen., nella sua formulazione previgente, pe violazione degli artt. 3, 24, secondo comma, e 111 Cost. nella parte in cui non prevede tale avviso.
3.Nel secondo motivo di ricorso si lamenta il vizio di motivazione della decisione nella parte in cui, a seguito della richiesta formulata dall’imputato all’udienza del 17/01/2023, la Corte d’Appello non si è pronunciata in ordine al proscioglimento richiesto dall’imputato ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., alla luce della pronuncia della Corte costituzionale n. 175 del 2022, con la quale è stato dichiarato illegittimo l’art. 10-bis d.lgs. n. 74 del 2000 nella parte in prevedeva la rilevanza penale della condotta di omesso versamento di ritenute “ove derivanti dalla stessa dichiarazione”, pur essendo di tale tenore l’originaria contestazione, riportata nell’avviso 415-bis cod. proc. pen. e nel decreto che ha disposto il giudizio, prima della modifica del capo d’imputazione operata dal Pubblico Ministero nell’udienza del 17/01/2023.
La decisione censurata avrebbe dovuto dichiarare la nullità della sentenza di primo grado perché emessa sulla base di una contestazione abnorme, e pertanto nulla, posto che la variazione della contestazione originaria, consistita nella sostituzione dell’inciso “dovute sulla base della dichiarazione” con la diversa locuzione “risultanti dalle certificazioni rilasciate sostituti”, era stata effettua istruzione dibattimentale non ancora aperta e dunque in assenza di qualsivoglia elemento emergente dal dibattimento.
Il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare nulla la modifica del capo d’imputazione e decidere, allo stato degli atti, sulla richiesta dì proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.
4.Nel terzo motivo si lamenta il vizio di violazione di legge della sentenza impugnata sotto più profili.
La decisione non avrebbe dichiarato la nullità del verbale d’udienza del 17/1/2023, nonostante sia stato notificato all’imputato, rimasto assente durante il giudizio, senza gli avvisi prescritti dall’art. 520 cod. proc. pen.
La decisione impugnata non avrebbe dichiarato la nullità della sentenza di primo grado ai sensi dell’art. 522 cod. proc. pen. nonostante il difetto di correlazione tra imputazione e sentenza.
5.Nel quarto motivo si lamenta il vizio di violazione di legge nella parte in cui l’imputato non è stato assolto con la formula “perché il fatto non sussiste” ovvero non costituisce reato, quantomeno ai sensi dell’art. 530 capoverso cod. proc. pen.
A sostegno della censura si evidenzia che, non essendo stata reperita la prova del rilascio delle certificazioni dal datore di lavoro in favore dei propri dipendent il giudizio di condanna si è fondato unicamente sulla base del complesso delle certificazioni trasmesse all’Agenzia delle Entrate dal datore di lavoro, che, tuttavia, anche alla luce delle più recenti pronunce della giurisprudenza di legittimità, è elemento probatorio insufficiente ad integrare la fattispecie penale contestata.
6.Nel quinto motivo di ricorso si lamenta il vizio di violazione di legge nella parte in cui la sentenza impugnata non ha prosciolto l’imputato in virtù della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131bis cod. pen.
7.Nel sesto ed ultimo motivo di ricorso si lamenta l’erronea applicazione della legge penale nella parte in cui non è stata esclusa la recidiva contestata, non è stato riconosciuto il minimo aumento per la continuazione, il minimo della pena e non è stata revocata la confisca.
Nei motivi nuovi del 2/10/2024 si contesta l’erronea applicazione della legge penale nella parte in cui l’imputato non è stato assolto con la formula perché il fatto non sussiste. In proposito si evoca il principio di diritto afferma da Sez. 4, n. 15410 del 21/02/2024.
Si deduce, altresì, l’erronea applicazione della legge penale nella parte in cui l’imputato non è stato prosciolto in virtù della causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen., ai sensi dell’artic 13, comma ter, del decreto legislativo n. 74 del 2000, come novellato dal decreto legislativo n. 87 del 2020.
Si lamenta, altresì, l’erronea applicazione della legge penale nella parte in cui non è stata revocata la confisca. Si deduce la prescrizione del reato contestato al capo a).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 primo motivo di ricorso in cui si invoca la nullità del decreto di citazione diretta a giudizio per la mancata indicazione della facoltà di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova è inammissibile poiché manifestamente infondato.
La Corte d’appello ha correttamente osservato che, ai tempi dell’emissione del decreto citato, non era normativamente previsto che l’atto di citazione contenesse l’avviso della cui mancanza si duole il ricorrente.
All’introduzione nell’ordinamento, con l’art. 4, legge 28 aprile 2014, n. 67, del nuovo istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova, non è, infatti, seguita la contestuale modifica dell’art. 552, comma 1, lett. f), cod. proc pen.
L’obbligo di includere nel decreto di citazione a giudizio l’avviso per l’imputato di presentare le richieste ex art. 464-bis cod. proc. pen., è stato previsto solo nell’attuale art. 552, comma 1, lett. f), come riformulato dall’art. 32, d.lgs. ottobre 2022, n. 150, che, in quanto entrato in vigore in data 30 dicembre 2022, risulta inapplicabile al decreto di citazione diretta a giudizio de 23/02/2022.
Il motivo di ricorso è altresì manifestamente infondato nella parte in cui prospettata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 552, comnna 1, lett f) cod. proc. pen. previgente.
In proposito congruamente la Corte d’Appello ha fatto applicazione del principio affermato da questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, secondo cui «È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 552, comma 1, lett. f), cod. proc. pen., in relazione agl artt. 3, 24, secondo comma, e 111 Cost., nella parte in cui non prevede, a pena di nullità del decreto di citazione a giudizio, che sia dato avviso all’imputato dell facoltà di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova, non essendo tale disposizione funzionale all’esercizio del diritto di difesa o all’attuazione del principio del giusto processo né sussistendo una diversità di disciplina manifestamente irragionevole rispetto a situazioni analoghe ed, in particolare, agli altri avvisi previsti dalla medesima norma». (Sez. 3, n. 35995 del 23/10/2020, COGNOME, Rv. 280775 – 01).
2.11 secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La Corte d’appello ha correttamente respinto la censura relativa alla nullità o all’abnormità del capo d’imputazione riformulato, facendo buon governo delle direttrici ermeneutiche della giurisprudenza di legittimità, declinate da Questa Corte, anche nel suo più autorevole Consesso (Sez. U, n. 4 del 28/10/1998, dep. 1999, COGNOME, Rv. 212757), secondo le quali va riconosciuto al pubblico ministero il potere di precisare o modificare il capo d’imputazione senza specifici limiti temporali o di fonte, potendo egli procedere a nuove contestazioni anche dopo l’avvenuta apertura del dibattimento e prima dell’espletamento dell’istruzione dibattimentale, e sulla sola base degli atti acquisiti nel corso del indagini preliminari, in quanto l’imputato ha facoltà di chiedere al giudice un termine per contrastare l’accusa, esercitando ogni prerogativa difensiva come la richiesta di nuove prove o il diritto ad essere rimesso in termini per chiedere riti alternativi o l’oblazione (ex nnultis Sez. 5, n. 16989 del 02/04/2014, COGNOME, F’.v. 259857 – 01; Sez. 6, n. 18749 del 11/04/2014, B., Rv. 262614, Sez. 5, n. 8631 del 21/09/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266081 – 01).
Alla luce della legittimità della avvenuta riformulazione, correttamente, quindi, i giudici d’appello hanno rigettato le doglianze riferite all’omessa pronuncia di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. e alla mancanza di correlazione tra accusa e sentenza.
3.11 terzo motivo è inammissibile per difetto di genericità della doglianza e violazione del principio di autosufficienza del ricorso.
Il ricorrente si è limitato a lamentare il vizio di violazione di legge c deduzioni del tutto generiche, omettendo di specificare in che modo la mancata indicazione nel verbale d’udienza notificato degli avvisi di cui all’art. 520 cod. proc. pen. abbia influito sull’esercizio dei diritti difensivi.
Il motivo di ricorso, così formulato, impedisce ogni valutazione in ordine alla fondatezza dell’invocata nullità della decisione per effetto della dedotta violazione dell’art. 520 cod. proc. pen., soprattutto alla luce della circostanza che, nell prima udienza utile successiva alla notifica del verbale, il difensore di COGNOME AdrianoCOGNOME ha espressamente dichiarato di non voler accedere a riti alternativi, e non ha fatto richiesta di termine a difesa.
In ogni caso, il ricorrente non ha prodotto il verbale in oggetto, che non risulta presente nel fascicolo trasmesso a Questa Corte.
4.11 quarto motivo di ricorso è fondato.
L’art. 10-bis, d. Igs. n. 74 del 2000 (Omesso versamento di ritenute dovute o certificate), per come novellato dal d. Igs. 24 settembre 2015, n. 158, sanziona chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta, le ritenute dovute sulla base della
stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per ammontare superiore a centocinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 115 del 2022, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comnna 1, lettera b), del decreto legisla 24 settembre 2015, n. 158, nella parte in cui ha inserito le parole «dovute sulla base della stessa dichiarazione o» nel testo dell’art. 10-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205) e dello stesso art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000 limitatamente alle parole «dovute sulla base della stessa dichiarazione o».
In parte motiva (§14), la stessa Corte ha dunque chiarito che «per effetto della presente dichiarazione di illegittimità costituzionale viene ripristinato il regime vigente prima del d.lgs. n. 158 del 2015, che ha introdotto la disposizione censurata, sicché da una parte l’integrazione della fattispecie penale dell’art. 10bis richiede che il mancato versamento da parte del sostituto, per un importo superiore alla soglia di punibilità, riguardi le ritenute certificate; dall’al mancato versamento delle ritenute risultanti dalla dichiarazione, ma delle quali non c’è prova del rilascio delle relative certificazioni ai sostituiti, costitu illecito amministrativo tributario».
In forza di questa pronuncia, la giurisprudenza di legittimità ha quindi precisato che il giudice, per verificare la configurabilità del delitto di omesso versamento di ritenute certificate, deve tener conto, nel determinarne l’ammontare, delle sole certificazioni rilasciate ai dipendenti dal soggetto obbligato, attestanti l’enti delle ritenute operate per ciascuno di essi (Sez. 3, n. 2338 del 27/9/2022, COGNOME, Rv. 284035).
Tanto premesso, a fronte della censura relativa alla mancata acquisizione delle certificazioni consegnate ai dipendenti, la Corte di appello, descrivendo la procedura di trasmissione della Certificazione unica, ha confermato il giudizio di condanna del giudice di prime cure reputando che, essendo necessariamente coincidente il contenuto delle certificazioni inoltrate telematicamente all’Agenzia delle entrate e quelle consegnate ai dipendenti, l’acquisizione delle prime sarebbe stata idonea a ritenere integrato il presupposto oggettivo del delitto contestato.
La conclusione cui è giunta la Corte d’Appello non è condivisibile.
La materia della presentazione delle dichiarazioni dei redditi ed IVA è disciplinata – quanto alle modalità operative – dal d.P.R. 3 luglio 1998, n. 332, il cui contenuto risulta chiaro nel prescrivere al sostituto la predisposizione sia di una dichiarazione destinata all’Agenzia delle entrate, sia delle certificazioni destinate ai sostituiti, che a questi debbono essere consegnate: non risulta sufficiente, pertanto, che la sola dichiarazione venga inoltrata all’Agenzia,
tramite portale telematico, e un tale adempimento non si traduce – né può essere ritenuto a ciò equipollente – nella materiale consegna della certificazione al sostituito.
La disciplina, pertanto, attesta – e ribadisce – la perdurante necessità che la certificazione sia rilasciata al sostituito, adempimento non surrogabile attraverso l’inoltro della dichiarazione – da parte del sostituto – all’Agenzia; l’ino telematico delle certificazioni e del modello 770 all’Agenzia delle Entrate, da parte del sostituto, non è equipollente dell’avvenuta consegna dello stesso documento ai sostituiti, posto che il “rapporto bilaterale” che si instaura cori i rilascio non trova applicazione quando gli atti vengono caricati su portale telematico; ciò in quanto, pur entrati i certificati nella disponibilità dei sosti non può presumersi che tutti questi siano in grado e abbiano i necessari mezzi , GLYPH , GLYPH ,’ per accedere al porta le.(4, fu. GLYPH lerL14ce11312-eb U.Whok ) (c$ 7.
Alla luce di queste considerazioni, la sentenza qui in esame deve essere censurata poiché, riscontrando il solo inoltro della documentazione all’Agenzia delle entrate, ha erroneamente ritenuto che fosse stata raggiunta adeguata prova circa l’effettivo rilascio delle certificazioni ai sostituiti.
L’accoglinnento del presente motivo determina l’assorbimento delle restanti doglianze.
3.Per questi motivi la sentenza deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Torino.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Torino.
Così deciso in Roma, in data 29/10/2024
Il Consigliere estensore
Il Presi ente