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Rissa e prova: assoluzione se manca il ruolo attivo

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6404 del 2024, ha confermato l’assoluzione per due imputati accusati del reato di rissa. Nonostante gli indizi indicassero lo svolgimento di una zuffa, la mancanza di elementi certi sulla dinamica dei fatti e sul ruolo specifico svolto dagli imputati ha reso impossibile una condanna. La decisione sottolinea che la semplice presenza sulla scena del crimine e il riportare ferite non sono sufficienti per dimostrare la partecipazione attiva al reato di rissa e prova, che è un requisito essenziale per la colpevolezza.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rissa e Prova: La Cassazione Chiarisce i Limiti dell’Accusa

Il reato di rissa, per sua natura tumultuoso e confuso, presenta spesso notevoli difficoltà probatorie. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 6404/2024) offre un importante chiarimento sui requisiti necessari per giungere a una condanna, ribadendo che la semplice presenza sul luogo di uno scontro non è sufficiente. La corretta valutazione della rissa e prova richiede la dimostrazione di un ruolo attivo e partecipativo da parte dell’imputato, un onere che spetta interamente all’accusa.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine da una violenta zuffa avvenuta nei pressi di una discoteca, che ha visto contrapporsi due gruppi di persone. In primo grado, due soggetti venivano condannati per il reato di rissa ai sensi dell’art. 588 c.p. Successivamente, la Corte d’Appello ribaltava la decisione, assolvendo entrambi gli imputati con la formula ‘per non aver commesso il fatto’.

Contro questa sentenza di assoluzione, il Procuratore Generale proponeva ricorso per cassazione, lamentando un ‘travisamento della prova per omissione’. Secondo l’accusa, la Corte d’Appello aveva erroneamente sottovalutato alcuni elementi cruciali, come i referti medici degli stessi imputati che, sebbene riportassero la dicitura ‘ferita accidentale’, indicavano come luogo e ora dell’accaduto circostanze perfettamente compatibili con quelle della rissa.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del Procuratore Generale, confermando in via definitiva l’assoluzione degli imputati. La decisione si fonda su un principio cardine del diritto processuale penale: l’incertezza sulla dinamica dei fatti e sul ruolo specifico dei singoli partecipanti deve risolversi a favore dell’imputato.

Le Motivazioni della Sentenza

I giudici di legittimità hanno evidenziato come il ricorso dell’accusa si concentrasse su singoli indizi senza considerare l’aspetto più rilevante: l’assoluta indeterminatezza della dinamica della rissa e, di conseguenza, del ruolo effettivo svolto dagli imputati. La Corte ha sottolineato che, anche ammettendo l’esistenza di una rissa sulla base delle dichiarazioni degli agenti intervenuti e dei referti medici, mancava una ricostruzione attendibile dei fatti.

Rissa e Prova: Il Ruolo Attivo come Requisito Essenziale

Il punto focale della motivazione risiede nella distinzione tra essere presente a uno scontro ed esserne un partecipe attivo. La Corte ha specificato che:

1. Dinamica Sconosciuta: Non è stato possibile ricostruire con certezza né le fazioni contrapposte né le modalità esatte dello scontro.
2. Ruolo Indefinito: Di conseguenza, non si è potuto stabilire quale sia stato il contributo causale degli imputati. Essi avrebbero potuto essere semplicemente vittime di un’aggressione, senza aver mai assunto un ‘atteggiamento oppositivo/reattivo’ che costituisce il nucleo del reato di rissa.
3. Indizi non Univoci: Gli stessi referti medici, portati a sostegno dell’accusa, contenevano elementi contraddittori. Ad esempio, il luogo indicato in uno dei referti non era riconducibile a quello della presunta rissa, minando così l’univocità degli indizi.

In assenza di una prova certa e al di là di ogni ragionevole dubbio sulla partecipazione attiva alla contesa, il giudice non può che assolvere. La sentenza impugnata, secondo la Cassazione, ha correttamente evidenziato questa lacuna probatoria, giungendo a una conclusione immune da vizi logici o giuridici.

Conclusioni

Questa pronuncia rafforza un principio fondamentale dello stato di diritto: per una condanna penale non bastano sospetti o indizi frammentari. Nel contesto specifico della rissa e prova, è necessario dimostrare che l’imputato non solo era presente, ma ha contribuito attivamente allo scontro con una condotta aggressiva e reciproca. Laddove la ricostruzione dei fatti rimanga nebulosa e il ruolo dei singoli individui incerto, l’unica soluzione processualmente corretta è l’assoluzione, in ossequio al principio del in dubio pro reo (nel dubbio, a favore dell’imputato).

Perché gli imputati sono stati assolti dal reato di rissa nonostante ci fossero prove di una zuffa?
Sono stati assolti perché, sebbene fosse provato che una rissa si era verificata, non è stato possibile dimostrare con certezza la loro partecipazione attiva. La Corte ha ritenuto che mancassero elementi per definire la dinamica esatta dello scontro e il ruolo specifico degli imputati, i quali avrebbero potuto essere stati semplicemente aggrediti senza reagire.

Cosa si intende per ‘ruolo attivo’ nel reato di rissa?
Per ‘ruolo attivo’ si intende una partecipazione volontaria e consapevole alla zuffa, con un comportamento ‘oppositivo/reattivo’. Non è sufficiente essere presenti sul luogo dello scontro o riportare ferite; è necessario provare che l’imputato ha contribuito allo scontro con una condotta violenta e reciproca.

Quale principio stabilisce questa sentenza in materia di prova del reato di rissa?
La sentenza ribadisce che l’onere della prova spetta all’accusa e deve andare oltre ogni ragionevole dubbio. In caso di rissa, non basta provare che l’imputato era presente, ma è indispensabile dimostrare il suo concreto e attivo coinvolgimento. Se la dinamica dei fatti e i ruoli dei partecipanti rimangono incerti, il giudice deve assolvere l’imputato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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