Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 2354 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 2354 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/09/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE TRIBUNALE DI NAPOLI nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 11/04/2023 del TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME NOME COGNOME; lette/sentite le conclusioni del AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Il PG si riporta alla requisitoria già depositata chiedendo l’accoglimento del ricorso del PM con conseguente annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
udito il difensore
AVV_NOTAIO conclude riportandosi ai motivi ed insistendo per l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 20 marzo 2023, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli disponeva l’applicazione, nei confronti di NOME COGNOME, della misura cautelare della custodia in carcere, avendo ravvisato a suo carico, in presenza di esigenze cautelari, gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati di omicidio volontario in danno di NOME COGNOME, di tentato omicidio in danno di NOME COGNOME, aggravati ex art. 416-bis.1 cod. pen. e dalla premeditazione, nonché in ordine ai reati di detenzione e porto di armi da sparo, aggravati ex art. 416-bis.1 cod. pen., fatti del 13 giugno 2007.
Sulla base delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME, veniva contestato a NOME COGNOME di aver dato agli uomini del clan di stampo mafioso camorristico di appartenenza il mandato per gli omicidi di COGNOME e COGNOME, e di averlo reiterato dal carcere in cui lo stesso NOME COGNOME era ristretto. I delitti si inserivano nella sequenza degli omicidi avvenuti durante la c.d seconda faida di Scampia (dal marzo 2007 al febbraio 2008), nell’ambito della guerra tra i dan COGNOME e COGNOME, in lotta per ottenere il controllo sul territorio e la conseguente gestione delle piazze di spaccio di sostanze stupefacenti. In particolare, la morte di COGNOME era stata una reazione del clan COGNOME RAGIONE_SOCIALE alla “girata” di alcuni adepti; infatti, si riteneva che COGNOME e COGNOME avessero trucidato COGNOME NOME, referente dei COGNOME, e avessero segnato, con il loro tradimento, l’inizio della faida.
Con ordinanza in data 11 aprile 2023, il Tribunale di Napoli, adito da NOME COGNOME per il riesame, ex art. 309 cod. proc. pen., annullava l’ordinanza impugnata e, per l’effetto, ordinava l’immediata scarcerazione dell’indagato, laddove non ristretto per altro titolo.
Il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Napoli ha presentato ricorso per cassazione, ex art. 311 cod. proc. pen., avverso l’ordinanza di annullamento del provvedimento cautelare disposto nei confronti di NOME COGNOME. Il ricorrente deduce la violazione degli artt. 273 e 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen. e afferma che il provvedimento deve essere annullato perché affetto da profili di carenza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione.
3.1. Nel ricorso ci si duole dell’errata applicazione dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di attendibilità delle dichiarazioni rese ne caso di chiamata in reità e in correità e in tema di rilievo dei riscontri ester individualizzanti; viene segnalato come il contenuto delle dichiarazioni d
collaboratore COGNOME siano fonte diretta, quanto meno nella fase genetica dell’intento omicidiario in capo a NOME COGNOME, che si ritiene persistere anche dopo l’arresto di costui. In particolare, si segnala come COGNOME fosse presente, essendo un fidato di NOME COGNOME, alla dichiarazione di costui sull’intento di uccidere COGNOME e COGNOME a seguito dell’omicidio di COGNOME; viene altresì evidenziato come il mandato fosse stato portato già alla fase esecutiva, ancorché non realizzato per l’assenza di un’occasione propizia. Altri elementi che avvalorano il fondamento del coinvolgimento di NOME COGNOME sarebbero i diversi incontri avvenuti tra costui e gli altri capi clan, d cui narra COGNOME, nonché i colloqui con il cognato COGNOME e le altre pressioni che provenivano dal carcere, tali da confermare come il mandato omicidiario fosse promanato da NOME COGNOME e non dal fratello NOME, al primo gerarchicamente subordinato nella scala decisionale.
3.2. Il ricorrente sostiene la sufficiente acquisizione di riscontri estern individualizzanti, laddove questi siano intesi quali elementi idonei a dimostrare l’attribuzione del fatto reato al soggetto; in particolare, evidenzia la presenza di ben quattro collaboratori di giustizia, autonomi rispetto a COGNOME, le dichiarazioni dei quali non possono che porsi quale riscontro esterno del nucleo essenziale di quanto riferito da COGNOME, tali da poter affermare che i delitti siano stati ordinat da NOME COGNOME NOME.
Dalle dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME emergerebbe, in primo luogo, l’avvenuto incontro tra NOME COGNOME e il capogruppo del clan COGNOME nonostante la superabile discrasia sul soggetto che effettivamente presenziò al summit ove venne dichiarato l’intento di uccidere COGNOME e COGNOME; in secondo luogo, che alla sopravvenuta carcerazione di NOME COGNOME rimase fermo il mandato omicidiario delle vittime designate, così come direttamente affermato da NOME COGNOME, al vertice degli “scissionisti”.
Dalle dichiarazioni di NOME COGNOME emergerebbe la permanenza del mandato omicidiario dopo la carcerazione di NOME COGNOME, espressamente riferito dallo zio, NOME COGNOME (coindagato), nonché zio di COGNOME.
Dalle dichiarazioni di NOME COGNOME emergerebbe il divieto sancito da NOME COGNOME nei confronti dei traditori, ritualmente notificato ai vertic avversari, di transitare nelle zone di controllo del clan COGNOME; ciò indicherebbe la permanenza dell’intento omicidiario dopo la carcerazione di NOME COGNOME.
Dalle dichiarazioni di NOME COGNOME (non considerate dal giudice del riesame né dal Giudice per le indagini preliminari) emergerebbe l’incontro avvenuto tra NOME COGNOME e COGNOME, ove venne manifestata l’intenzione di uccidere gli “scissionisti”; peraltro, si sostiene come con tali dichiarazioni si supererebbe il problema della fonte dei fatti riportati da NOME COGNOME.
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3.3. Nel ricorso viene contestata la circostanza secondo la quale NOME COGNOME avrebbe chiesto all’altro clan di intervenire personalmente nei confronti di COGNOME e COGNOME, per ucciderli, atteso che ciò non emergerebbe dalle dichiarazioni di COGNOME né dai fatti di causa, in quanto, piuttosto, furono effettuati diversi appostamenti e furono recapitati messaggi di morte ai due. Peraltro, la tesi del coinvolgimento di NOME COGNOME nell’omicidio sarebbe avvalorata proprio dal fatto che il fratello NOME accettò la proposta di NOME COGNOME di attendere la ritenuta imminente scarcerazione di NOME COGNOME per decidere in ordine all’omicidio delle due vittime designate; quando, però, si appurò la mancata scarcerazione di NOME COGNOME, il fratello NOME reiterò il divieto di transito nelle proprie zone per NOME e COGNOME. Difatti, l’omicidio venne effettivamente commesso da soggetti della famiglia COGNOME, organizzati dal reo confesso NOME COGNOME.
Per il ricorrente, è contraddittoria ed illogica la motivazione del provvedimento impugnato, laddove si sostiene che fosse stato NOME COGNOME, in via del tutto autonoma, ad ordinare l’omicidio; inoltre, si sottolinea come dovrebbe risultare un’espressa revoca del mandato omicidiario da parte di NOME COGNOME, atteso che anche il tacito consenso potrebbe rilevare, nel caso in esame, quale concorso morale nel reato. Il ricorrente afferma che la versione fornita dal collaboratore NOME COGNOME è avvalorata dall’iniziale incertezza di NOME COGNOME, il cui gruppo versava in uno stato volto sempre più all’isolamento; né, tanto meno, emergerebbe una spiegazione eziologica che riconduca il fatto al reggente pro tempore NOME COGNOME.
In conclusione, per il ricorrente è illogica la motivazione dell’ordinanza impugnata, laddove essa ritiene non sufficientemente riscontrate le dichiarazioni di COGNOME nei singoli segmenti che compongono la narrazione dei fatti; si sottolinea come i riscontri esterni, tutti concordemente individualizzanti sulla figura di NOME COGNOME, corroborano il nucleo essenziale delle dichiarazioni di COGNOME, tanto nella fase genetica, quanto in quella deliberativa terminale.
La difesa dell’indagato, NOME COGNOME, ha presentato memoria di replica al ricorso proposto dal Pubblico Ministero, chiedendone la declaratoria di inammissibilità o il rigetto.
4.1. In primo luogo, la difesa sostiene l’inammissibilità del ricorso proposto dal Pubblico Ministero, affermando che esso è univocamente orientato alla proposizione di un nuovo giudizio di merito, non consentito in sede di legittimità.
In secondo luogo, la difesa, avallando le argomentazioni offerte dal Tribunale nel provvedimento impugnato, rileva come le dichiarazioni acquisite siano state rese in momenti lontani nel tempo; ad ogni modo, le dichiarazioni di COGNOME e
quelle di COGNOME NOME sono ritenute inidonee e prive di riscontri affinché possa affermarsi che l’omicidio di NOME sia causalmente correlato all’ordine di NOME COGNOME. Si evidenzia come il mandato omicidiario fosse stato emesso in modo del tutto autonomo e indipendente da NOME COGNOME, nuovo reggente del clan a seguito dell’incarcerazione del fratello NOME.
4.2. La difesa di NOME COGNOME obietta al ricorso proposto dal Pubblico Ministero il travisamento di diverse circostanze di fatto, tra cui quella relativa all qualificazione di COGNOME come teste diretto, laddove i suoi racconti sono per lo più de relato; l’assenza di riscontri rispetto alle presunte pressioni di NOME COGNOME dal carcere; l’affermazione secondo la quale NOME COGNOME era subordinato gerarchicamente al fratello, peraltro ristretto in carcere; l’omissione dell’incontro con NOME COGNOME e il diverso contenuto delle dichiarazioni di NOME COGNOME; l’assenza di considerazione di altri sei collaboratori che avrebbero escluso che il mandato omicidiario provenisse da NOME COGNOME; l’affermazione di un iniziale tentennamento di NOME COGNOME sulla necessità di commettere gli omicidi; la necessità, per escludere il concorso di NOME COGNOME, di una sua espressa revoca del mandato.
4.3. Per la difesa, il Pubblico Ministero non avrebbe adeguatamente considerato il fatto che NOME COGNOME, al momento dei fatti, era detenuto e sorvegliato e giammai sarebbe riuscito a mandare all’esterno degli ordini al proprio gruppo; d’altra parte, non vi sarebbe alcuna indicazione delle persone che avrebbero parlato con l’indagato. Del resto, dalle dichiarazioni di COGNOME emergerebbe una discrasia, laddove si è affermata l’esistenza dell’ordine di uccidere le vittime designate e la richiesta di NOME COGNOME al clan COGNOME affinché gli appartenenti a quest’ultimo intervenissero personalmente nei confronti dei traditori. Dalla dinamica dei fatti, così rappresentata, sarebbe impossibile ricavare il coinvolgimento di NOME COGNOME, a fortiori se si tiene in considerazione il fatto che la quasi totalità dei collaboratori di giustizia h affermato che il mandato omicidiario proveniva da NOME COGNOME, escludendo il fratello; in particolare, si sostiene come siano state considerate impropriamente, dal Pubblico Ministero, le dichiarazioni di COGNOME, volutamente tralasciate dai giudici del merito ritenendole irrilevanti.
4.4. In conclusione, il ricorso del Pubblico Ministero esorbiterebbe dai limiti entro i quali è ammesso il ricorso per cassazione, in quanto non si ravvisa alcuna manifesta illogicità della motivazione dell’ordinanza impugnata; al contrario, il Tribunale avrebbe affermato l’insufficiente gravità indiziaria sulla scorta del fatto che NOME COGNOME era detenuto al momento dell’omicidio e che tutti i collaboratori avevano indicato NOME COGNOME quale mandante dell’omicidio, a
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seguito del divieto di circolazione delle vittime designate all’interno del territori del clan COGNOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che ricorre il vizio d motivazione manifestamente illogica nel caso in cui vi sia una frattura logica evidente tra una premessa, o più premesse, nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono, e, invece, di motivazione contraddittoria quando non siano conciliabili tra loro le considerazioni logico-giuridiche in ordine ad uno stesso fatto o ad un complesso di fatti o vi sia disarmonia tra la parte motiva e la parte dispositiva della sentenza, ovvero nella stessa si manifestino dubbi che non consentano di determinare quale delle due o più ipotesi formulate dal giudice conducenti ad esiti diversi – siano state poste a base del suo convincimento (Sez. 5, n. 19318, del 20/01/2021, Rv. 281105 – 01).
È stato precisato, altresì, che sono precluse nel giudizio di cassazione la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465, del 04/11/2020 Ud., dep. 11/02/2021, Rv. 280601 – 01). 3
1.2. Nel caso concreto ora in esame, il provvedimento impugnato non risulta affetto dai vizi lamentati. Il ricorso del Pubblico Ministero non può trovare accoglimento, in quanto chiede una nuova rivalutazione di merito degli elementi emersi nel corso delle indagini e, più precisamente, delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, così come interpretate nel corso della ricostruzione del compendio indiziario dal giudice della cautela nella motivazione del provvedimento impugnato.
Occorre rammentare, peraltro, con riferimento al giudizio sulla gravità indiziaria, come la valutazione in proposito si distingua dal giudizio in sede dibattimentale, perché il primo è esito di una lettura ancora provvisoria degli elementi di indagine, che, quindi, ben potrebbero trovare un successivo approfondimento, corredato anche dall’eventuale sopraggiungimento di ulteriori elementi; ben potrebbe verificarsi la circostanza che, con la successiva rivalutazione e integrazione del compendio indiziario, si giunga ad un differente esito in sede di dibattimento, luogo designato per l’acquisizione della prova nel giudizio nel pieno rispetto del principio del contraddittorio.
Le censure mosse nell’atto di ricorso richiedono nuove valutazioni sul quadro investigativo; tali valutazioni non sono ammesse in sede di giudizio di legittimità, laddove la motivazione del provvedimento impugnato può essere censurata solo con riguardo ai vizi della illogicità e contraddittorietà.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Così deciso in Roma, 6 settembre 2023.