Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 8297 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 8297 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Milanese NOME, nato a Chivasso il 31/01/1971, avverso la sentenza in data 03/07/2024 della Corte di appello di Roma;
letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto che sia dichiarata l’inammissibilità del ricorso;
sentito il difensore dell’imputato, avv.to NOME COGNOME che ha chiesto, in accoglimento del ricorso, l’annullamento dell’impugnata sentenza.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 03/07/2024, la Corte di appello di Roma ha parzialmente riformato la sentenza con cui, il precedente 20/01/2021, il Tribunale di Civitavecchia, in esito a giudizio abbreviato, aveva affermato la penale responsabilità di COGNOME NOME in ordine ai delitti di omicidio colposo e di lesioni personali colpose ascrittigli, concedendo allo stesso il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Nello specifico, il predetto è stato giudicato penalmente responsabile, in qualità di legale rappresentante dell’impresa RAGIONE_SOCIALE e, quindi, di datore di
lavoro, del decesso di NOME COGNOME e del grave ferimento di COGNOME e di COGNOME, suoi dipendenti, rimasti schiacciati dal ribaltamento dell’autocarro dal quale, mediante una gru sullo stesso installata, si stavano scaricando blocchi in cemento denominati new jersey.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore del Milanese, avv.to NOME COGNOME che ha articolato tre motivi di ricorso, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 26 d.lgs. n. 81 del 2008 e vizio di motivazione per carenza in punto di applicazione dell’indicata disposizione.
Osserva al riguardo che, nella decisione della Corte territoriale, si sarebbe ritenuto che il subappaltatore avesse la disponibilità giuridica dei luoghi in cui ebbe a verificarsi l’incidente in base a una censurabile interpretazione del disposto dell’art. 26, comma 2, d.lgs. n. 81 del 2008, a termini del quale “… nell’ipotesi di cui al comma 1, i datori di lavoro, ivi compresi i subappaltatori, coordinano gli interventi di prevenzione dei rischi interferenziali…” e senza, peraltro, tener conto di quanto previsto dall’art. 25, comma 4, del contratto di subappalto con la società RAGIONE_SOCIALE secondo cui, in difetto dell’autorizzazione dell’indicato ente appaltante, non avrebbe potuto farsi luogo alla realizzazione di opere di alcun genere.
2.2. Con il secondo motivo si duole, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., di vizio di motivazione per carenza e per manifesta illogicità, in punto di ritenuta sussistenza del rischio interferenziale.
Sostiene, in particolare, che, nella decisione impugnata, sarebbe stato illogicamente ritenuto sussistente un tal genere di rischio, a dispetto della circostanza che gli elementi emersi escludevano in radice l’interferenza, posto che entrambe le società operanti sul luogo del sinistro, stavano effettuando la medesima operazione.
2.3. Con il terzo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., vizio di motivazione per carenza e manifesta illogicità in punto di ritenuta sussistenza di una condotta omissiva di coordinamento e del nesso di causalità tra questa e l’evento occorso.
Assume segnatamente che la sentenza di appello risulterebbe assertiva nella parte in cui è affermato che il datore di lavoro non ha adempiuto all’obbligo di coordinare gli interventi di protezione e di prevenzione dei rischi per i lavoratori, contrasterebbe inoltre, in parte qua, con quanto attestato nel verbale di cooperazione del 09/10/2014, costituente prova documentale del menzionato
coordinamento e presenterebbe un’evidente illogicità laddove reputa sussistente il nesso di causalità tra condotta omissiva ed evento, in carenza di qualsivoglia valutazione, da effettuarsi con il criterio di prognosi postuma, circa l’ipotetica incidenza dell’azione doverosa non tenuta rispetto all’occorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME è manifestamente infondato per le ragioni che di seguito si espongono.
Manifestamente infondato è, innanzitutto, il primo motivo di ricorso, con cui si lamenta violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 26 d.lgs. n. 81 del 2008 e vizio di motivazione per carenza in punto di applicazione dell’indicata disposizione, sostenendo che, nella decisione impugnata, la Corte territoriale avrebbe ritenuto che il subappaltatore avesse la disponibilità giuridica dei luoghi in cui avvenne l’incidente in base ad un’erronea interpretazione di tale dato normativo e senza tener conto di quanto previsto dall’art. 25, comma 4, del contratto di subappalto con la società RAGIONE_SOCIALE per l’Italia, a termini del quale, in difetto dell’autorizzazione dell’ente appaltante, non avrebbe potuto farsi luogo alla realizzazione di opere di alcun genere.
Ritiene il Collegio che la doglianza dedotta con tale motivo non colga nel segno.
Ciò perché non assume rilievo, nella vicenda di cui trattasi, la disponibilità giuridica, in capo alla ditta subappaltatrice, dei luoghi in cui si svolgevano le opere, espressamente ritenuta sussistente dai giudici del merito.
E invero, il disposto dell’art. 26, comma 1, d.lgs. n. 81 del 2008, nel disciplinare gli obblighi del datore di lavoro che abbia affidato l’esecuzione di opere in appalto, postula, come condizione, che il predetto, inteso come datore di lavoro-committente, abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui sono realizzate le opere oggetto dell’appalto.
Il disposto dell’art. 26, comma 2, d.lgs. n. 81 del 2008 prevede, invece, che nell’ipotesi di cui al comma precedente, ossia nel caso di esecuzione di opere in appalto, tutti i datori di lavoro, ivi compresi i subappaltatori, cooperano all’attuazione delle misure di prevenzione e di protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto e coordinano gli interventi d protezione e di prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva.
Appare evidente, quindi, che il rapporto tra le previsioni di cui ai due primi commi della norma indicata dev’essere inteso nel senso che il primo perimetra il campo di applicazione del secondo, come, peraltro, conferma l’incipit di quest’ultimo (“nell’ipotesi di cui al comma 1”), ma non ne estende la disciplina, in quanto non estende dal “datore di lavoro-committente” al “subappaltatore” la necessità di avere la disponibilità dei luoghi in cui si svolgono le opere oggetto dell’appalto.
Può, pertanto, ragionevolmente concludersi che il disposto del primo comma resta riferito al solo datore di lavoro-committente e non anche al subappaltatore.
Ne consegue che, una volta che il datore di lavoro-committente, nella cui disponibilità sono i luoghi in cui devono eseguirsi le opere, decide di procedere con affidamento della loro esecuzione a terzi, non si richiede, perché sorgano a carico del subappaltatore gli obblighi previsti dal comma secondo, che costui abbia altresì la disponibilità dei luoghi, posto che la stessa è in capo al datore di lavoro-committente.
Del tutto infondato è anche il secondo motivo di ricorso, con cui ci si duole di vizio di motivazione per carenza e per manifesta illogicità, in punto di ritenuta sussistenza del rischio interferenziale, assumendo che di esso sarebbe stata irragionevolmente affermata la ricorrenza nella decisione di merito, in quanto le emergenze processuali escluderebbero in radice l’interferenza, in ragione del fatto che le due imprese operanti sul luogo del sinistro erano intente a svolgere le medesime attività.
Ritiene in proposito il Collegio che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non sia riscontrabile, nella decisione impugnata, il dedotto vizio motivazionale, laddove si è affermata la ricorrenza di un rischio interferenziale, a fronte dell’accertato svolgimento, sul cantiere teatro dell’incidente, di attività che vedevano contemporaneamente coinvolte due diverse imprese.
E invero, non assume rilievo alcuno la circostanza che le stesse (ossia l’appaltatrice RAGIONE_SOCIALE e la subappaltatrice RAGIONE_SOCIALE, di cui è legale rappresentante il ricorrente) fossero intente a svolgere la medesima attività di scarico dal cassone di un automezzo di blocchi in cemento denominati new jersey, avendo da tempo affermato la giurisprudenza di legittimità che il rischio interferenziale ha origine in conseguenza del solo fatto che sono coinvolti nella procedura di lavoro plessi organizzativi diversi (così: Sez. 4, n. 18200 del 07/01/2016, COGNOME e altro, Rv. 266640-01, nonché, successivamente, Sez. 4, n. 30557 del 07/06/2016, P.C. e altri in proc. COGNOME e altri, Rv. 267687-01, Sez. 4, n. 34869 del 12/04/2017, Leone, Rv. 270756-01,
Sez. 4, n. 9167 dell’01/02/2018, NOME e altro, Rv. 273257-01 e Sez. 4, n. 1777 del 06/12/2018, dep. 16/01/2019, Perano, Rv. 275077-01).
Del tutto destituito di fondamento è, infine, il terzo motivo, con cui si lamenta vizio di motivazione per carenza e per manifesta illogicità, in punto di ritenuta sussistenza di una condotta omissiva di coordinamento e del nesso di causalità tra la stessa e l’evento, sostenendo che la decisione oggetto d’impugnativa sarebbe meramente assertiva, oltre che contrastante con le risultanze del verbale di cooperazione del 09/10/2014, laddove afferma che il datore di lavoro non ha adempiuto all’obbligo di coordinare gli interventi di protezione e di prevenzione dei rischi per i lavoratori e presenterebbe altresì un’evidente illogicità laddove reputa sussistente il nesso di causalità tra condotta omissiva ed evento, in carenza di una valutazione ex ante circa l’ipotetica incidenza dell’azione doverosa non tenuta rispetto all’occorso.
Ritiene il Collegio che la decisione della Corte territoriale, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non presenti il denunziato vizio motivazionale, atteso che, in esito all’effettuata ricostruzione dei fatti, indicativa dell’esistenza un rischio interferenziale, dovuto alla contestuale operatività di due plessi organizzativi diversi, si è posto in rilievo, con specifico riferimento alla condotta che l’imputato “… ometteva di coordinarsi con l’ARAGIONE_SOCIALE (impresa appaltatrice anch’essa presente sul cantiere) circa lo svolgimento di un’attività pericolosa, quale Io scarico di carichi sospesi, consentendo ai propri dipendenti di sostare sotto detti carichi…” e, con riguardo al nesso di causalità, che “… se avesse effettivamente osservato le norme di sicurezza, avrebbe evitato il rischio interferenziale, cosicché i suoi dipendenti non avrebbero eseguito l’attività di assemblaggio dei new jersey mentre il gruista li stava scaricando…”.
La decisione impugnata appare, dunque, corredata sul punto da un apparato argomentativo congruo e tutt’altro che contraddittorio, la qual cosa rende evidente l’infondatezza dell’agitata doglianza.
Rileva, da ultimo, il Collegio che, in questa sede, deve farsi luogo, ai sensi dell’art. 619 cod. proc. pen., alla correzione dell’errore materiale riscontrabile nella decisione oggetto d’impugnativa.
E invero, tale pronunzia, nel confermare, limitatamente all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato, la sentenza del giudice di primo grado, ha erroneamente fatto applicazione dell’istituto della continuazione, unificando, quoad poenam, il delitto di omicidio colposo e i molteplici delitti di lesion personali colpose per cui v’era stata condanna, ancorché fosse applicabile, ratione temporis, il disposto dell’art. 589, ultimo comma, cod. pen., che
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disciplina specificamente, sul piano sanzionatorio, l’eventualità, verificatasi nel caso di specie, della cagionata morte di una persona e delle provocate lesioni in danno di più persone.
Tanto, tuttavia, non ha comportato l’inflizione, da parte della Corte di appello, di una pena illegale, circostanza che consente di correggere la sentenza dalla stessa emessa nel senso di riferire al delitto di cui all’art. 589, ultim comma, cod. pen., e non a quelli, unificati sotto il vincolo della continuazione, di cui agli artt. 589, comma 2 e 590, comma 3, cod. pen., per i quali v’era stata condanna in primo grado, la conferma dell’affermazione di penale responsabilità di COGNOME NOMECOGNOME
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente di sostenere, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e considerato che non v’è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», si dispone che il ricorrente versi, in favore della Cassa delle ammende, la somma, determinata in via equitativa, di euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 23/01/2025