Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 30208 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 30208 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro nel procedimento a carico di:
NOME nato a Catanzaro il 18/08/1978
avverso l’ordinanza del 11/02/2025 del Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice del riesame;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha chiesto annullarsi con rinvio l’ordinanza impugnata limitatamente alla sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari con quella della sospensione dall’esercizio di pubblici uffici e rigettarsi il ricorso di NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
La vicenda trae origine dalla denuncia presentata da NOME COGNOME, dipendente dell’Università “Magna Graecia di Catanzaro”, il quale ha segnalato la gestione illecita degli stabulari universitari, in particolare l’esistenza di un allevamento abusivo di ratti da laboratorio, che permetteva esperimenti non dichiarati al Ministero della Salute, grazie a rapporti opachi tra membri
dell’Università e organi di controllo dell’Azienda Sanitaria Provinciale Veterinaria.
Le indagini successive avrebbero rivelato, secondo gli inquirenti, l’esistenza di un’associazione a delinquere finalizzata a commettere “corruzione, falso, truffa ai danni dello Stato, maltrattamento e uccisione di animali” attraverso un sistema di ricerca condotto in violazione delle norme sul benessere animale.
NOME COGNOME, ricercatore universitario e dirigente farmacista presso la detta Università, è accusato di far parte di questa associazione, di aver compiuto maltrattamenti e uccisioni di animali e di aver falsificato verbali di concorso, con fatti protrattisi dal 2015. Nel dettaglio, nei riguardi del NOME sono stati ipotizzati i reati di cui agli artt. 544bis e 544ter cod. pen. (maltrattamento e uccisione di animali, in particolare l’uccisione di cavie in numero superiore al consentito, la loro soppressione senza anestesia e la loro sottoposizione a condizioni di vita degradate), 476 e 479, comma 2, cod. pen. (falso su atti dotati di fede pubblica, per aver falsificato i verbali della commissione di concorso per l’ammissione alla Scuola di Specializzazione in Farmacologia e Tossicologia Clinica, avendo modificato i punteggi finali per alcune candidate e falsamente attestato, insieme ai membri della commissione, che le riunioni di valutazione dei titoli e di formulazione della graduatoria di merito fossero avvenute in date e con modalità diverse da quelle reali e che i punteggi attribuiti ai candidati fossero stati decisi dalla commissione, mentre in realtà erano stati stabiliti dal rettore COGNOME e dalla professoressa COGNOME NOME) e 416 cod. pen. (associazione a delinquere allo scopo di commettere una serie indeterminata di delitti di corruzione, falso, truffa ai danni dello Stato, maltrattamento e uccisione di animali).
Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Catanzaro, con ordinanza emessa in data 7 gennaio 2025, ha applicato nei confronti di NOME COGNOME gli arresti domiciliari, per tutti i delitti a lui contestati.
Il Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice del riesame, con ordinanza in data 11 febbraio 2025 (depositata il 15 febbraio 2025), ha parzialmente accolto il gravame. Pur confermando la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per tutti i delitti contestati, il Tribunale collegiale ha riformato l’ordinanza impugnata, sostituendo la misura cautelare degli arresti domiciliari con quella della sospensione dall’esercizio di pubblici uffici, per la durata di sei mesi. La decisione è stata motivata ritenendo che il pericolo di inquinamento probatorio non fosse più concreto e attuale, e che la misura interdittiva fosse sufficiente a presidiare il pericolo di reiterazione criminosa.
In particolare, il Tribunale del riesame ha ritenuto che il pericolo di inquinamento probatorio non fosse più concreto e attuale in quanto:
-gli indagati erano già a conoscenza delle indagini da ben prima dell’emissione dell’ordinanza impugnata (e, dunque, per implicito, avrebbero già potuto inquinare le prove);
-le intercettazioni avevano già “cristallizzato” le attività degli indagati volte ad alleggerire le proprie posizioni processuali, come risalenti ad oltre un anno prima;
-il tempo trascorso dall’inizio delle indagini e il clamore mediatico della vicenda fungevano da deterrente concreto contro eventuali ulteriori condotte di inquinamento probatorio.
Quanto al pericolo di reiterazione criminosa, pur riconoscendo la “personalità negativa e incurante del rispetto delle leggi” del Leo e la gravità intrinseca dei fatti contestati, il Tribunale ha ritenuto che la misura interdittiva fosse sufficiente, essendo le condotte contestate state commesse nell’espletamento dell’ufficio pubblico e all’interno del contesto universitario: sicché l’allontanamento da tale contesto scongiurerebbe la commissione di nuovi reati.
Avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame, sono stati proposti due ricorsi per Cassazione: uno nell’interesse di NOME COGNOME e uno dal Pubblico Ministero.
Il r icorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME lamenta vizi di motivazione per travisamento o per invenzione e violazione di legge. Si basa su due motivi.
3.1. Col primo si censura l’erronea conclusione, per molti aspetti -si assume -frutto di travisamento, circa la gravità indiziaria a carico del ricorrente.
I maltrattamenti vengono imputati al Leo sia in forma commissiva (uccisioni cruente) che omissiva (mancata cura degli spazi di stabulazione). Dunque, la contestazione in forma omissiva richiederebbe la sussistenza, in capo al Leo, di una posizione di garanzia, in realtà non esistente o, in alternativa, la sussistenza del vincolo associativo. Tuttavia, l’ordinanza dedurrebbe la partecipazione associativa dai maltrattamenti tramite la condotta omissiva e quest’ultima dalla partecipazione associativa: con un ragionamento circolare e viziato.
Né vi sarebbero indizi di colpevolezza di uccisioni sovrannumerarie di animali, poiché non era emerso il numero di animali soppressi da ciascun indagato e non era compito del Leo quello di tenere la contabilità di tale dato.
Si deduce, poi, il travisamento delle dichiarazioni di COGNOME NOME, la quale, parlando dei casi di decapitazioni di animali senza anestesia, si era, in effetti, riferita alla sola professoressa COGNOME NOME, non al NOME, accusato dalla sola dottoressa COGNOME: le cui parole, dunque, non sarebbero, però, corroborate da
altri elementi.
La difesa contesta l’affermazione del Tribunale riguardo l’assunto “clima disteso” creato dagli investigatori, sostenendo, per contro, che non si sarebbero considerate quelle intercettazioni (alcune delle quali richiamate nel ricorso) che rivelerebbero un quadro allarmante e tecniche investigative scorrette o una patologica fantasia della COGNOME, che ne minerebbe la credibilità.
Si richiamano le dichiarazioni di COGNOME NOME, che, intercettata, aveva detto di non aver visto decapitare gli animali, ma di aver subito pressioni per dire il contrario. Il relativo verbale di sommarie informazioni, poi, non conterrebbe alcuna domanda sulle decapitazioni: il che farebbe pensare, per parte ricorrente, a una verbalizzazione infedele.
Frutto di ‘i nvenzione ‘ sarebbe anche l’ipotizzata causale dei reati: identificata nella percezione di fondi per la ricerca, laddove questi sarebbero erogati sulla base della dignità scientifica del progetto (come desumibile da uno dei fascicoletti acquisiti dagli inquirenti) e non in base alle modalità di esecuzione delle sperimentazioni.
Il Tribunale avrebbe, poi, erroneamente interpretato la normativa, che prevede la necessità che l’animale sia “non cosciente” al momento della decapitazione, ma solo se di peso superiore a 150 grammi, ai sensi del d.lgs. 26/2014, allegato IV, articolo 3, requisito 5.
La difesa lamenta, ancora, che l’ordinanza baserebbe la gravità indiziaria in relazione al reato associativo quasi esclusivamente sulle parole, enfatizzate, di COGNOME NOME, che, però, lo stesso Tribunale, con altra ordinanza coeva, aveva escluso appartenesse al sodalizio.
3.2. Col secondo motivo, il Leo lamenta vizi motivazionali e violazione degli artt. 476 cod. pen. e 2700 cod. civ., contestando il valore fidefaciente dei verbali di concorso.
Secondo l’accusa i punteggi sarebbero stati decisi dalla COGNOME e dal COGNOME e non dalla apposita commissione. Tale falsità ricadeva, dunque, su ll’ elemento valutativo dell’atto e non su quello certificativo -dato che la commissione si era comunque riunita e aveva proceduto all’attività di scrutinio, pur se influenzata da accordi esterni -sicché, ai sensi degli artt. 476 cod. pen. e 2700 cod. civ., non era relativa a parte dell’atto dotata di “fede privilegiata” (ovvero avvenuto in presenza del pubblico ufficiale).
Ciò, per parte ricorrente, avrebbe ricadute sul giudizio di adeguatezza e proporzionalità della misura cautelare.
Il Pubblico Ministero, con ricorso avverso la medesima ordinanza del
Tribunale del riesame, lamenta vizi motivazionali e violazioni di legge, in particolare dell’art. 274, lettera a), cod. proc. pen.
Si contesta l’affermazione del provvedimento impugnato secondo cui il pericolo di inquinamento probatorio non sarebbe più concreto ed attuale a causa della remota datazione delle attività di sviamento, del tempo trascorso dall’inizio dell’indagine e del clamore mediatico.
Secondo il Pubblico Ministero, tuttavia, la circostanza che gli indagati si fossero attivati per depistare le indagini, nonostante ne fossero già a conoscenza, manifesterebbe un ‘ elevata capacità a delinquere tale da rendere il pericolo di reiterazione di analoghe condotte di sviamento ancora più attuale e concreto: sicché se COGNOME, COGNOME e COGNOME avevano avvicinato testimoni durante le indagini, gli stessi avrebbero potuto farlo anche dopo la loro conclusione, in vista delle deposizioni dibattimentali.
Inconferente sarebbe, al riguardo, il clamore mediatico, mentre il tempo trascorso, lungi dall’essere un deterrente, tenderebbe a diminuire il detto clamore e a tranquillizzare gli indagati, riducendo i freni a delinquere e a inquinare le prove.
Si sarebbe violato l’art. 274, lettera a), cod. proc. pen., non essendosi considerato che, secondo la giurisprudenza di legittimità, il pericolo di inquinamento probatorio si valuta anche in relazione alle prove ancora da acquisire in sede dibattimentale.
La parcellizzazione degli elementi di prova operata dal Tribunale del riesame, in relazione ad analoghe condotte decettive da parte di quasi tutti gli associati, avrebbe fatto perdere la visione della loro precisa scelta strategica, volta a coartare la libertà morale dei giovani ricercatori precari chiamati a deporre.
A riprova, COGNOME COGNOME, dopo le sollecitazioni giunte dal COGNOME, dalla COGNOME e dal COGNOME, aveva dichiarato di essersi sentita “fortemente sotto pressione”: aspetto su cui il provvedimento impugnato aveva totalmente omesso di motivare.
Analogamente, illogica e contraddittoria sarebbe la motivazione a sostegno della scelta di una misura interdittiva in luogo di quella custodiale domiciliare in quanto idonea a frenare la capacità di delinquere del Leo. Invero, la ” personalità negativa e incurante del rispetto delle leggi ” del Leo è stata riconosciuta dallo stesso Tribunale, che ha evidenziato pure la sua rilevante ” capacità di intervenire nell’ambiente universitario, anche per interposta persona, forte della sua posizione di docente universitario “.
Sicché, la misura interdittiva, pur impedendo al Leo di rivestire funzioni pubblicistiche, non gli inibirebbe -secondo il Pubblico Ministero -“un’ingerenza nelle attività universitarie e di ricerca”. Sarebbe illogico, insomma, ritenere che un indagato, riconosciuto partecipe di un’associazione a delinquere che per anni ha
commesso numerosi delitti nella funzione pubblica ricoperta, possa essere fermato nei suoi propositi criminosi con la mera esclusione formale dall’Ateneo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso del Leo va rigettato, mentre va accolto quello del Pubblico Ministero, essendo del tutto e manifestamente illogica -tanto da rasentare l’inesistenza e in violazione di legge la motivazione circa l’assenza di un pericolo di inquinamento probatorio.
In via preliminare, è opportuno richiamare i consolidati principi che delimitano l’ambito del sindacato di legittimità sulle motivazioni dei provvedimenti impugnati.
Il controllo demandato a questa Corte attiene al rapporto tra motivazione e decisione, e non al rapporto tra prova e decisione. Ne consegue che il ricorso per cassazione, al fine di essere valutato ammissibile, deve rivolgere le proprie censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione impugnata, e non già nei confronti della valutazione probatoria sottesa, la quale è riservata al giudice di merito ed è estranea al perimetro cognitivo di questa Corte. Non integra, infatti, un vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali. Ad una logica valutazione dei fatti operata dal giudice di merito non può questa Corte opporne un’altra, ancorché altrettanto logica.
Solo omissioni, contraddizioni o illogicità manifeste (per esser la motivazione fondata su congetture implausibili o per avere la stessa trascurato dati di superiore valenza: Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944-01; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205621-01; Sez. 1, n. 45331 del 17/02/2023, Rv. 285504-01; Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, Rv. 278609-01) e, ovviamente, decisive possono essere oggetto di censura in sede di legittimità. In estrema ed efficace sintesi, la manifesta illogicità della motivazione, prevista dall’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., presuppone che la ricostruzione proposta da parte ricorrente sia inconfutabile e non rappresenti soltanto un’ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza (Sez. 6, n. 2972 del 04/12/2020, dep. 2021, Rv. 280589-02).
Il vizio di travisamento della prova, per essere ammissibile, deve attenere al “significante” della prova (ossia al suo contenuto testuale o documentale erroneamente riportato o inventato), e non al “significato” (ossia all’interpretazione del suo contenuto). Inoltre, chi lo allega deve dimostrare come
esso comprometta in modo decisivo la tenuta logica della motivazione (Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, Rv. 281085-01; Sez. 3, n. 2039 del 02/02/2018, dep. 2019, Rv. 274816-07; Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Rv. 249035-01).
Pertanto, le censure che si risolvano nel sollecito di una rivalutazione dell’interpretazione del compendio probatorio sono inammissibili (per l’affermazione di siffatti principi anche in materia cautelare, si vedano, a mero titolo esemplificativo: Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Rv. 215828-01, Sez. 3, n. 7268 del 24/01/2019, Rv. 275851-01 e Sez. 2, n. 9212 del 02/02/2017, Rv. 269438-01, circa la valutazione della gravità indiziaria, nonché Sez. 3, n. 7268 del 24/01/2019, Rv. 275851-01 e Sez. 6, n. 17314 del 20/04/2011, Rv. 250093-01, sulle esigenze cautelari e sulla adeguatezza della misura).
Alla luce di quanto detto, il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME è infondato e, per alcuni profili, radicalmente inammissibile, in quanto propone, per la gran parte, doglianze relative al ruolo dello stesso COGNOME (ritenuto non apicale, non in posizione di garanzia sulla tenuta dello stabulario e non inerente la tenuta del registro animali), al numero delle cavie utilizzate, alla causale economica dei reati o alla ritenuta estraneità di altri co-indagati (come il COGNOME), le quali costituiscono, in realtà, una richiesta di rivalutazione del merito degli elementi indiziari.
Il Tribunale collegiale ha ampiamente delineato il quadro indiziario a carico di NOME, basandosi su intercettazioni e dichiarazioni, fornendo una valutazione che non si manifesta come illogica o contraddittoria al punto da inficiare la sua coerenza interna. E, come detto, questa Corte non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito.
La difesa lamenta, poi, un “travisamento per invenzione” riguardo alle dichiarazioni delle dottoresse COGNOME e COGNOME sul coinvolgimento del Leo nelle decapitazioni senza anestesia. Parimenti, contesta l’omessa considerazione delle pressioni indebite, da parte degli investigatori, sulle persone escusse, in contrasto con l’assunto “clima sereno” affermato dal Tribunale. Sebbene si tratti di questioni che potrebbero toccare il “significante” della prova, l’argomentazione difensiva, nel suo complesso, mira a rimettere in discussione il giudizio di attendibilità delle fonti e, in ultima analisi, il merito delle risultanze indiziarie. Non viene, infatti, dimostrato come le eventuali inesattezze testuali, pur se verificate, inficerebbero in modo radicale la complessa struttura argomentativa che sorregge la gravità indiziaria complessiva, basata su un ampio compendio probatorio.
In particolare, il provvedimento impugnato si fonda anche , tra l’altro :
-sulle dichiarazioni di NOME COGNOMEche ha esplicitamente dichiarato di aver assistito più volte a decapitazioni di topi e ratti senza anestesia da
parte, tra gli altri, del Leo, oltre che della professoressa NOME COGNOME e del dottor NOME COGNOME);
-sull’assenza dei registri dei farmaci e di analisi microbiologiche volte alle sorveglianze epidemiologiche e finalizzate alla tutela della salute degli animali;
-sulle dichiarazioni di altri ricercatori (come NOME COGNOME e NOME COGNOME) che hanno descritto le pessime condizioni degli stabulari e pratiche illecite di soppressione animale anche da parte del Leo;
-su diverse intercettazioni confermative dell’ambiente di illegalità in cui il ricorrente operava;
-sulla presenza del Leo a incontri riservati con altri indagati (tra cui il rettore, NOME COGNOME e la professoressa NOME COGNOME) sul balcone dell’ufficio del rettore e lontano dai cellulari, ritenuti allo scopo di discutere di argomenti “sensibili” al riparo da possibili intercettazioni.
Il tenore delle conversazioni captate tra gli indagati, inclusi i riferimenti al “sistema” e le preoccupazioni per le indagini in corso, ha -secondo il provvedimento impugnato -evidenziato la piena consapevolezza del Leo delle attività illecite e la sua collaborazione con COGNOME e COGNOME per perpetuare e coprire tali condotte : avendo ‘partecipato in prima persona ai maltrattamenti inflitti agli animali, nonché alle uccisioni degli stessi con metodi eccentrici rispetto alle disposizioni in materia, collocandosi in un rapporto di stretta collaborazione con COGNOME e COGNOME, come si evince anche dalle captazioni, citate, relative alla fibrillazione degli indagati che cominciano a sospettare di investigazioni in corso’ (p. 21 ordinanza impugnata).
Peraltro, la difesa del Leo neppure contesta, in questa sede, il quadro indiziario in relazione ai falsi contestati al Leo, limitandosi a chiedere (col secondo motivo di ricorso) una diversa loro qualificazione ritenendo i verbali di concorso atti non fidefacienti, dal tenore meramente valutativo: tesi che, a tutto concedere a parte ricorrente, non considera che le falsificazioni inerivano dati (i punteggi finali di alcune candidate) e fatti (date e modalità degli esami, oltre che i soggetti che attribuivano i punteggi ) di cui l’atto certamente era destinato a far prova, in quanto avvenuti in presenza del pubblico ufficiale che li attestava, secondo la nozione di atto pubblico di cui all’art. 2700 cod. civ.
In particolare, dal provvedimento impugnato si desume che il Leo è gravemente indiziato, in concorso con NOME COGNOME e NOME COGNOME di aver falsificato il verbale n. 2 (del 17 maggio 2023) e il verbale n. 4 (del 19 maggio 2023) della commissione di concorso per l’ammissione alla Scuola di Specializzazione in Farmacologia e Tossicologia Clinica: verbali in cui venivano falsamente attestati lo
svolgimento di riunioni della commissione e l’attribuzione di punteggi che, in realtà, erano stati decisi altrove dal COGNOME e dalla COGNOME.
Neppure l’assunta errata interpretazione delle disposizioni in materia di soppressione di animali di cui al d.lgs. 26/2014 è fondata, giacché, al di là di quanto rimarcato dal Tribunale collegiale -sull’interpretazione dell’Allegato IV, dedicato ai «Metodi di soppressione degli animali», laddove si stabilisce che «possono essere utilizzati metodi diversi da quelli elencati nella tabella: a) su animali non coscienti, a condizione che l’animale non riprenda conoscenza prima della morte; » e laddove si inibisce, tendenzialmente, la decapitazione dei roditori, ove sia possibile utilizzare altri metodi (dovendo la stessa effettuarsi «solo se altri metodi non sono praticabili») -neppure si deduce la decisività del dato (per essere certamente tutte le cavie soppresse in tal modo di peso inferiore ai 150 grammi).
Come detto, è, per contro, fondato il ricorso del Pubblico Ministero essendo manifestamente illogica e sostanzialmente mancante la motivazione circa l’adeguatezza della misura adottata a fronteggiar e il pericolo di inquinamento probatorio.
Il provvedimento impugnato, al riguardo, assume, anzitutto, che gli indagati fossero ‘edotti delle investigazioni da ben prima che venisse spiccata l’ordinanza impugnata’ e che risalissero a ben più di un anno prima ‘ le attività degli indagati eventualmente finalizzate ad alleggerire le proprie posizioni’ : come se l ‘ attività di inquinamento già posta in essere rendesse, di per sé, evanescente il pericolo di ulteriori azioni in tal senso, piuttosto che aggravarlo (essendo, per contro, un elemento da valorizzare esattamente in senso opposto).
L’ordinanza impugnata sostiene, poi, che ‘ il tempo decorso dalle investigazioni e il clamore mediatico della vicenda ‘ costituirebbero, di per sé, ‘ concreto deterrente in ordine ad eventuali condotte di inquinamento probatorio ‘ , rendendo inattuale il pericolo in questione. In tal modo, però, la stessa trascura, anzitutto, il pacifico principio secondo cui, in tema di misure cautelari personali, la valutazione del pericolo di inquinamento probatorio deve essere effettuata con riferimento sia alle prove da acquisire, sia alle fonti di prova già acquisite, a nulla rilevando lo stato avanzato delle indagini o la loro conclusione, in quanto l’esigenza di salvaguardare la genuinità della prova non si esaurisce all’atto della chiusura delle indagini preliminari, specie nel caso in cui il pericolo sia stato in concreto correlato alla protezione delle fonti dichiarative, in vista della loro assunzione dibattimentale (Sez. 2, n. 3135 del 09/12/2022, dep. 2023, Forte, Rv. 28405201; confronta, negli stessi termini: Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, Rv. 199396-01;
Sez. 5, n. 6793 del 07/01/2015, Rv. 262687-01; Sez. 5, n. 1958 del 26/11/2010, dep. 2011, Rv. 249093-01; Sez. 6, n. 13896 del 11/02/2010, Rv. 246684-01; Sez. 1, n. 10347 del 20/01/2004, Rv. 227228-01). E, inoltre, valorizza un dato -il ‘clamore mediatico della vicenda’ francamente neutro, non spiegandosi per quale ragione tale ‘clamore’ impedirebbe ulteriori attività inquinanti.
Pertanto, l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio per una nuova valutazione sul punto.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. , alla declaratoria di rigetto del ricorso del Leo segue la sua condanna al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso del p.m., annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro sezione riesame. Rigetta il ricorso di NOME COGNOME e lo condanna al pagamento delle spese processuali.
Così è deciso, 24/06/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente COGNOME
NOME COGNOME