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Rischio di reiterazione: detenzione e misure cautelari

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di una donna posta agli arresti domiciliari per aver introdotto sostanze stupefacenti in carcere. La Corte ha stabilito che lo stato di detenzione per altra causa non elimina automaticamente il rischio di reiterazione del reato, confermando così la validità della misura cautelare. Il ricorso è stato respinto anche perché ritenuto generico e basato su una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rischio di Reiterazione: La Detenzione Pregressa Non Esclude la Misura Cautelare

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 840 del 2024, ha affrontato un’importante questione in materia di misure cautelari, chiarendo che lo stato di detenzione per un’altra causa non impedisce l’applicazione di una nuova misura restrittiva. Il caso riguarda una donna accusata di aver introdotto droga in carcere, per la quale è stato confermato il rischio di reiterazione del reato nonostante fosse già soggetta a un altro provvedimento restrittivo. Questa decisione sottolinea l’autonomia della valutazione delle esigenze cautelari in ogni singolo procedimento.

I Fatti del Caso: Droga in Carcere e un Ruolo Familiare

La vicenda ha origine da un’ordinanza del Tribunale di Salerno che confermava la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di una donna. L’accusa era di aver introdotto sostanza stupefacente (hashish) all’interno di un istituto penitenziario, occultandola abilmente in borse e scarpe dotate di un doppio fondo. Secondo le indagini, la donna agiva su precise indicazioni del figlio, detenuto nello stesso carcere e considerato a capo di un’organizzazione dedita allo spaccio di droga e all’introduzione di materiale vietato ai detenuti.

Le indagini, basate su intercettazioni telefoniche, captazioni audiovisive e testimonianze di collaboratori di giustizia, avevano ricostruito un quadro dettagliato. La donna avrebbe commissionato a un tappezziere di fiducia la modifica degli oggetti per creare i nascondigli, dimostrando un coinvolgimento consapevole e attivo in una fitta rete di contatti tra i detenuti e i loro familiari all’esterno.

I Motivi del Ricorso: Una Difesa Basata sulla Buona Fede e sulla Detenzione

La difesa dell’indagata ha presentato ricorso in Cassazione articolando tre motivi principali. In primo luogo, si contestava la valutazione degli elementi indiziari, ritenuta acritica e priva di un’adeguata motivazione. In secondo luogo, si sosteneva la buona fede della donna, la quale avrebbe ignorato la presenza della droga e lo scopo illecito della modifica della borsa. Infine, si argomentava che le esigenze cautelari fossero insussistenti, dato che l’indagata era già detenuta per scontare una pena fino al 2027, circostanza che, a dire della difesa, avrebbe reso superfluo un’ulteriore misura cautelare e giustificato al massimo un obbligo di dimora.

Le Motivazioni: Perché il rischio di reiterazione persiste anche in stato di detenzione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, giudicandolo generico e volto a una rivalutazione dei fatti non consentita in sede di legittimità. I giudici hanno evidenziato come il Tribunale avesse, al contrario, analiticamente esaminato tutte le prove, dimostrando il pieno e consapevole coinvolgimento della donna nel sodalizio criminale gestito dal figlio.

Il punto centrale della sentenza riguarda la valutazione del rischio di reiterazione. La Corte ha ribadito un principio consolidato: lo stato di detenzione di una persona per altra causa non esclude di per sé il pericolo che questa possa commettere nuovi reati. La valutazione delle esigenze cautelari deve essere condotta in modo autonomo per ogni procedimento. I giudici hanno spiegato che “qualunque titolo detentivo (cautelare o definitivo) può andare incontro a estinzione” a causa di svariate situazioni procedurali. Pertanto, un giudice non può fare affidamento su un altro titolo restrittivo, gestito da un’altra autorità giudiziaria, per escludere il pericolo di recidiva. La gravità dei fatti, il contesto associativo, i precedenti penali e la continuità con cui l’indagata eseguiva le direttive illecite sono stati ritenuti elementi sufficienti a fondare un concreto e attuale rischio di reiterazione.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

La decisione della Cassazione rafforza il principio dell’autonomia dei procedimenti penali e della valutazione cautelare. La sentenza chiarisce che la presenza di un titolo detentivo non rappresenta una garanzia assoluta contro la commissione di futuri reati. Il giudice chiamato a decidere su una nuova misura cautelare deve compiere una valutazione prognostica autonoma, basata sugli elementi specifici del caso in esame. Questa pronuncia serve da monito: la pericolosità sociale di un individuo, desunta da elementi concreti, giustifica l’adozione di misure contenitive anche quando la sua libertà è già, per altri motivi, limitata.

Una persona già detenuta per un’altra condanna può essere sottoposta a una nuova misura cautelare come gli arresti domiciliari?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che uno stato di detenzione preesistente non esclude automaticamente la necessità di una nuova misura cautelare, poiché il rischio di reiterazione del reato deve essere valutato in modo autonomo e specifico per il nuovo procedimento.

Cosa si intende per ‘rischio di reiterazione’ in questo contesto?
Per rischio di reiterazione si intende il pericolo concreto e attuale che l’indagato possa commettere altri gravi reati. Nel caso di specie, tale rischio è stato ritenuto sussistente sulla base della gravità dei fatti, del contesto di criminalità organizzata in cui operava l’indagata, dei suoi precedenti e della sua continua disponibilità a eseguire direttive illecite.

Perché il ricorso dell’indagata è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le contestazioni sollevate erano generiche e miravano a ottenere una nuova valutazione dei fatti e delle prove, un’attività che non è permessa alla Corte di Cassazione, il cui compito è limitato a verificare la corretta applicazione della legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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