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Rischio di recidiva: no alla detenzione domiciliare

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un detenuto contro il diniego della detenzione domiciliare. La decisione si fonda sull’elevato rischio di recidiva del soggetto, desunto sia dalla sua passata carriera criminale che dal comportamento non collaborativo tenuto in carcere, elementi che indicano una persistente pericolosità sociale che osta alla concessione della misura alternativa.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rischio di Recidiva e Detenzione Domiciliare: La Decisione della Cassazione

La concessione di misure alternative alla detenzione, come la detenzione domiciliare, rappresenta un momento cruciale nel percorso di esecuzione della pena. Tuttavia, non è un diritto automatico. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce come un elevato rischio di recidiva, basato su elementi concreti, possa precludere l’accesso a tali benefici. Analizziamo insieme questa importante decisione per capire le logiche che guidano i giudici in queste delicate valutazioni.

Il Caso in Esame: La Richiesta di Misura Alternativa

Un detenuto, con una pena residua contenuta da scontare, presentava istanza per essere ammesso alla detenzione domiciliare. Il Tribunale di Sorveglianza, tuttavia, respingeva la richiesta. La ragione del diniego era chiara e netta: la valutazione di una persistente pericolosità sociale del soggetto, che rendeva la permanenza in carcere l’unica opzione idonea a tutelare la collettività. Contro questa decisione, il condannato proponeva ricorso in Cassazione, contestando il giudizio del Tribunale.

La Valutazione del Tribunale e l’Alto Rischio di Recidiva

Il Tribunale di Sorveglianza aveva motivato la sua decisione sulla base di due pilastri fondamentali.

Trascorsi Criminali e Comportamento Carcerario

In primo luogo, il giudice ha considerato la storia criminale del condannato, caratterizzata da una serie ininterrotta di illeciti commessi in un arco temporale significativo (tra il 2015 e il 2022). Questo dato oggettivo è stato interpretato come un indicatore di una radicata tendenza a delinquere. In secondo luogo, è stato analizzato il comportamento tenuto dal detenuto durante la carcerazione. L’irregolarità della condotta, la mancanza di una revisione critica del proprio passato e il rifiuto di aderire ai percorsi trattamentali offerti sono stati visti come segnali di un’assenza di cambiamento e, di conseguenza, di un immutato rischio di recidiva.

La Decisione della Corte di Cassazione: Ricorso Inammissibile

La Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso e lo ha dichiarato inammissibile. I giudici supremi hanno ritenuto che le argomentazioni del ricorrente fossero meramente confutative e non in grado di evidenziare alcun vizio logico o giuridico nella decisione impugnata. Il provvedimento del Tribunale di Sorveglianza è stato giudicato esente da vizi, logico e coerente con i principi giurisprudenziali consolidati.

La Coerenza con i Principi Giurisprudenziali

La Corte ha richiamato un principio fondamentale: l’ammissione alla detenzione domiciliare presuppone che tale misura sia sufficiente a contenere il rischio di recidiva. Se la pericolosità sociale del soggetto è tale da far ritenere che, anche scontando la pena a casa, egli possa commettere nuovi reati, la misura non può essere concessa. La protezione della collettività, in questi casi, prevale sull’istanza del singolo.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Cassazione si fondano sulla correttezza e completezza del ragionamento del Tribunale di Sorveglianza. La valutazione del rischio di recidiva non è stata astratta, ma ancorata a elementi fattuali e concreti: la lunga scia di reati e il comportamento tenuto in carcere. Questi elementi, letti congiuntamente, dipingono un quadro di pericolosità sociale attuale che la detenzione domiciliare non sarebbe in grado di arginare. La protrazione dell’esecuzione della pena in carcere, anche se per un residuo limitato, è stata quindi ritenuta una scelta necessaria e proporzionata per prevenire nuove manifestazioni antisociali. Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché non ha saputo scalfire la solidità logica di questa valutazione, limitandosi a una contestazione generica.

Le Conclusioni

L’ordinanza riafferma con forza che la pericolosità sociale del condannato è il criterio dirimente per la concessione delle misure alternative. Un elevato rischio di recidiva, dimostrato da una storia criminale significativa e da un percorso detentivo privo di segnali di ravvedimento, costituisce un ostacolo insormontabile. La decisione sottolinea che la finalità della pena non è solo rieducativa, ma anche di difesa sociale. Quando queste due finalità entrano in conflitto, la tutela della sicurezza pubblica deve avere la precedenza, giustificando la permanenza in istituto del detenuto ritenuto ancora socialmente pericoloso.

Perché è stata negata la detenzione domiciliare in questo caso?
La detenzione domiciliare è stata negata a causa dell’elevato rischio di recidiva del condannato, desunto dai suoi numerosi precedenti penali e dal suo comportamento irregolare in carcere, che dimostrava una mancanza di revisione critica e di adesione ai programmi di trattamento.

Qual è il principio chiave riaffermato dalla Corte di Cassazione?
La Corte ha ribadito che l’ammissione a una misura alternativa come la detenzione domiciliare è subordinata alla condizione che essa sia sufficiente a contenere il rischio che il condannato commetta nuovi reati. Se la pericolosità sociale è ritenuta ancora alta, la misura deve essere negata.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, come in questo caso, al versamento di una somma di denaro (tremila euro) in favore della Cassa delle ammende, data l’assenza di elementi che potessero giustificare la proposizione di un ricorso privo di fondamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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