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Rischio di recidiva: la valutazione del Giudice

Un giovane, incensurato, viene mantenuto in custodia cautelare in carcere per rapina a causa della modalità organizzata e brutale del crimine, che indica un elevato rischio di recidiva. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, specificando che la valutazione di tale rischio deve basarsi sulle circostanze concrete, la personalità del soggetto e il suo contesto sociale, e non solo sulla sua fedina penale.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rischio di Recidiva: Quando la Custodia in Carcere è Giustificata Anche Senza Precedenti Penali

L’assenza di precedenti penali non è una garanzia contro l’applicazione della custodia cautelare in carcere. Con la sentenza n. 18453/2024, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: la valutazione del rischio di recidiva deve basarsi su un’analisi approfondita della personalità dell’indagato e delle modalità del crimine. Questo approccio prognostico permette al giudice di andare oltre la semplice fedina penale per comprendere la reale pericolosità sociale del soggetto.

I Fatti del Caso: Rapina Aggravata e Misure Cautelari

La vicenda riguarda un giovane, nato nel 2004, accusato di reati di notevole gravità: rapina aggravata in concorso, ricettazione di un’autovettura e porto illegale di arma da sparo. In prima istanza, il Giudice per le Indagini Preliminari (Gip) aveva disposto per lui la misura della custodia cautelare in carcere.

La difesa dell’indagato aveva presentato un’istanza di riesame al Tribunale competente, chiedendo una misura meno afflittiva. Tuttavia, il Tribunale aveva rigettato l’istanza, confermando la detenzione in carcere. Contro questa decisione, la difesa ha proposto ricorso per cassazione.

Il Ricorso in Cassazione e il concetto di rischio di recidiva

Il difensore ha basato il ricorso su un unico motivo: la violazione dell’art. 274, comma 1, lett. c) del codice di procedura penale, che disciplina le esigenze cautelari. Secondo la difesa, mancava un pericolo concreto e attuale di recidiva. A sostegno di questa tesi, venivano evidenziati due elementi chiave: la giovane età dell’indagato e, soprattutto, l’assenza di precedenti penali a suo carico. La misura del carcere, inoltre, veniva definita sproporzionata rispetto al reale pericolo.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo generico e non in grado di confutare le argomentazioni del Tribunale. Nel farlo, i giudici hanno colto l’occasione per chiarire la nozione di “attualità” del rischio di recidiva. Non si tratta dell’imminenza di una nuova occasione per delinquere, ma di una valutazione prognostica sulla probabilità che l’indagato commetta altri reati.

Questa valutazione deve fondarsi su un’analisi accurata di tre elementi:

1. Le modalità della condotta: Nel caso specifico, la rapina è stata commessa con metodi efferati e un’organizzazione sintomatica di legami con ambienti criminali (reperimento di un’arma, uso di un veicolo rubato, pianificazione con più complici).
2. La personalità del soggetto: Anche se incensurato, l’indagato ha partecipato a condotte di particolare allarme sociale, dimostrando una personalità negativa e collegamenti con contesti delinquenziali.
3. Il contesto socio-ambientale: I legami con la “malavita” sono stati considerati un fattore causale della condotta deviante.

Per questi motivi, la Corte ha ritenuto che solo la custodia in carcere fosse una misura adeguata. Gli arresti domiciliari non sarebbero stati sufficienti a recidere i legami con l’ambiente criminale e a garantire una capacità di autodeterminazione e autocontrollo da parte dell’indagato.

Le Conclusioni

La sentenza in esame offre un’importante lezione pratica: la valutazione sulla pericolosità sociale di un individuo non può limitarsi a un controllo formale della sua fedina penale. Il giudice ha il dovere di condurre un’analisi approfondita e concreta, che tenga conto della gravità del fatto, del grado di organizzazione e della personalità emersa dalla condotta. Un reato particolarmente grave e pianificato può rivelare un rischio di recidiva concreto anche in un soggetto formalmente incensurato, giustificando così la misura cautelare più severa.

Avere la fedina penale pulita è sufficiente per evitare il carcere preventivo?
No, non è sufficiente. La Corte di Cassazione ha chiarito che, ai fini della valutazione del rischio di recidiva, il giudice deve analizzare la personalità dell’indagato, le modalità del reato e il contesto socio-ambientale, anche in assenza di precedenti penali.

Cosa si intende per ‘attualità del pericolo di recidiva’?
Non significa che ci sia un’opportunità imminente di commettere un altro reato. Significa, invece, che il giudice, sulla base di un’analisi della fattispecie concreta, della condotta e della personalità del soggetto, effettua una valutazione prognostica sulla probabilità che vengano commessi altri delitti.

Perché in questo caso la misura degli arresti domiciliari non è stata considerata adeguata?
La Corte ha ritenuto che i collegamenti dell’indagato con ambienti della malavita e le modalità organizzate del reato richiedessero una misura drastica come il carcere. Solo la detenzione in carcere è stata considerata idonea a incidere sui fattori che hanno causato la condotta deviante, escludendo una sufficiente capacità di autocontrollo in un regime meno restrittivo come gli arresti domiciliari.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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