Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 34306 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6   Num. 34306  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/09/2025
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dalla consigliera NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME chiede l’annullamento dell’ordinanza con la quale il Tribunale di Macerata, in sede di annullamento con rinvio disposto con sentenza del 12 marzo 2025 dalla Seconda Sezione penale di questa Corte, ha confermato il sequestro preventivo della somma di euro 8.792,07, relativa al riscatto di una polizza vita Unicredit, riversata sul proprio conto corrente web.
Il ricorrente è sottoposto a indagini in relazione al reato di cui all’art. 648-bis cod. pen. per avere, in qualità di legale rappresentante della società denominata “RAGIONE_SOCIALE“, compiuto operazioni idonee a ostacolare l’accertamento della
provenienza da reati tributari di denaro contante, per un totale di euro 394.606,23, denaro che riceveva sui propri conti correnti, anche tramite COGNOME NOME, e che trasferiva, mediante bonifici bancari con false causali, in favore dell’impresa denominata “RAGIONE_SOCIALE“, denaro destinato a essere trasferito all’estero, fatti commessi in Corridonia e in altri luoghi dal 5 aprile 2022 al 14 aprile 2023).
 Con unico motivo di ricorso COGNOME NOME denuncia violazione di legge (in relazione agli artt. 1923 cod. civ. e 321 cod. proc. pen.) perché il Tribunale ha erroneamente ritenuto che fosse pignorabile la somma riveniente dalla liquidazione della polizza vita, non potendo essere applicati alla fattispecie di cui all’art. 648-bis cod. pen. i principi richiamati dal Tribunale, in quanto riferibili reati in materia tributaria, diversi da quello contestato al ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato perché infondato.
Cionondimeno devono essere precisate le ragioni di diritto che giustificano la legittimità del sequestro preventivo della somma, riversata sul conto corrente dell’indagato e riveniente dal riscatto di una polizza di assicurazione sulla vita.
2.Va premesso che la Seconda Sezione penale di questa Corte, con sentenza del 12 marzo 2025, disattesi gli altri motivi di ricorso proposti dal COGNOME, aveva annullato con rinvio il precedente decreto di sequestro preventivo ritenendo fondati “i rilievi difensivi in relazione alla somma sequestrabile poiché gli stipendi e l’ulteriore somma accreditata in ragione dell’estinzione di una polizza assicurativa non possono essere sottoposte a sequestro, in ragione della loro impignorabilità ai sensi dell’art. 545 cod. proc. civ.”.
La sentenza rescindente aveva evidenziato che la difesa aveva richiamato sul punto una pronuncia della Corte di legittimità, a Sezioni Unite, del 7 luglio 2022, n. 26252, a tenore della quale “alla confisca per equivalente e al sequestro ad essa finalizzato si applicano i limiti di impignorabilità previsti dall’art. 545 cod. proc civ.”.
 Il Tribunale del riesame, per quel che qui rileva, ha ritenuto che il sequestro preventivo può avere ad oggetto anche somme relative a fondi pensioni durante la fase di accumulo, in quanto il limite di cui all’articolo 1923 cod. civ. si riferisce solo ai casi di responsabilità civile e non anche a quelli di responsabilità penale. Legittimo, pertanto, il sequestro preventivo della somma, relativa al riscatto di
una polizza vita, svincolata il 13 agosto 2024 e riversata sul conto corrente a mezzo assegno circolare del 20 agosto 2024.
Come anticipato, il motivo di ricorso è infondato e risulta eccentrico il rilievo difensivo secondo cui le argomentazioni dell’ordinanza impugnata non possono riferirsi al sequestro preventivo in relazione al reato di cui all’art. 648-bis cod. pen. perché differenti dai casi di sequestro preventivo finalizzato alla confisca in relazione ai reati tributari ai quali fanno riferimento i principi richiamat nell’ordinanza impugnata.
Il sequestro preventivo in relazione al reato di cui all’art. 648-bis cod. pen. è, come noto, funzionale alla confisca per equivalente e, in quanto collegato alla tutela dell’ordine pubblico economico, mira a sottrarre alla circolazione ed alla immissione nel circuito economico legale qualsiasi bene, proveniente dai reati specificamente indicati dalla norma, suscettibile di alterarne il funzionamento, estendendosi, pertanto, anche al prodotto di essi.
I principi che regolano la materia del sequestro per equivalente, rispetto ai reati tributari, non sono dunque diversi, pur dovendo diversamente declinarsi in relazione alle nozioni di profitto e provento del reato.
5.11 tema devoluto al Tribunale del riesame, in sede di rinvio, non era, tuttavia connesso alla natura del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente in relazione alla specifica tipologia di reato, ma afferiva alla possibilità di sottoporre a sequestro preventivo la somma in relazione alla sua natura, poiché la somma di euro 8.792,07, riversata a mezzo di un assegno circolare sul conto corrente dell’indagato, derivava dal rimborso di una polizza-vita.
Il Tribunale del riesame avrebbe dovuto verificare l’assoggettabilità a sequestro della somma in ragione della sua impignorabilità ai sensi dell’art. 545 cod. proc. civ., posto che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza richiamata dalla decisione rescindente, avevano affermato che i limiti di impignorabilità delle somme spettanti a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a titolo di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità, che tengano luogo di pensione o di assegno di quiescenza, previsti dall’art. 545 cod. proc. civ., si applicano anche alla confisca per equivalente ed al sequestro ad essa finalizzato (Sez. U, n. 26252 del 24/02/2022, COGNOME, Rv. 283245).
La ricostruzione compiuta nell’ordinanza impugnata, fondata sulla giurisprudenza precedente alla sentenza delle Sezioni Unite, omette in realtà di confrontarsi con il principio di diritto enunciato, affermando il valore
preponderante della piena espansione del sequestro preventivo insito nel valore “pubblicistico” degli interessi tutelati dalle norme penali.
Tuttavia, con riferimento alla somma in sequestro, il Tribunale avrebbe dovuto esaminare la questione della sua pignorabilità, o meno, trattandosi di una somma derivante dal riscatto di una polizza assicurativa sulla vita ed analizzare la complessa natura di tale prodotto per accertarne la funzione assistenziale e previdenziale che, se sussistente, potrebbe determinarne la impignorabilità (parziale).
Si tratta di un accertamento che, indiscussi gli elementi di fatto – la provenienza della somma dal riscatto di una polizza di assicurazione sulla vita e il suo versamento sul conto corrente del ricorrente – può essere compiuto direttamente dalla Corte, analizzando le caratteristiche del contratto di assicurazione sulla vita e delle sue vicende delineate, prima ancora che in leggi di settore, nelle disposizioni del codice civile.
La sentenza COGNOME, infatti, ha risolto la questione dell’applicabilità dell’art. 545 cod. proc. civ. al sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente affermando che tale disposizione assume una significativa rilevanza “come espressione di una regola generale che deve trovare applicazione anche con riferimento all’esecuzione derivante dal sequestro preventivo in ragione della sua diretta discendenza da principi di ordine costituzionale, più volte correttamente posta in evidenza da questa stessa Corte nonché dalla Corte costituzionale”.
Sia pure con riferimento agli emolumenti retributivi, oggetto dell’ordinanza di rimessione, le Sezioni Unite hanno condiviso l’orientamento della giurisprudenza penale che in materia “ha prospettato la necessità di una ricostruzione interpretativa costituzionalmente ispirata dall’art. 2 Cost.”, in virtù della “riconducibilità degli emolumenti retributivi…sottesi ad un rapporto di lavoro pubblico e degli assegni di carattere alimentare a detto rapporto collegati, nell’area dei diritti inalienabili della persona, tutelati appunto dall’art. 2 Cost.”.
Le Sezioni Unite hanno, altresì, precisato che il divieto di pignoramento dei crediti indicati dall’art. 545 cod. proc. civ. è posto a presidio dei “…valo costituzionalmente garantiti della dignità della persona, della solidarietà sociale ed economica, e del diritto del lavoratore ai mezzi indispensabili ad assicurare a sé stesso e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”, valori che si esprimono in diritti inviolabili che non possono essere pregiudicati nemmeno dalla possibilità della loro confisca in sede penale.
La sentenza COGNOME !inoltre, non ha mancato di richiamare i principi dettati dalla giurisprudenza civile – è espressamente indicata Cass. civ., Sez. 3, n. 6548 del 22/3/2011, Rv. 617581 – con riguardo ai trattamenti pensionistici, assimilabili ai redditi da lavoro, affermandone la loro impignorabilità parziale in quanto pf i
a tutela dell’interesse di natura pubblicistica consistente nel garantire al pensionato i mezzi adeguati alle proprie esigenze di vita (art. 38 Cost.), essendo tale finalità ancora più marcata dopo l’entrata in vigore della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che, all’art 34, terzo comma, garantisce il riconoscimento del diritto all’assistenza sociale al fine di assicurare un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti, tanto che il pignoramento della pensione eseguito oltre i limiti consentiti è stato ritenuto radicalmente nullo per violazione di norme imperative.
Infine, la sentenza suindicata ha rammentato la rilevanza che assume, in relazione alle varie tipologie di sequestro sia esso impeditivo o probatorio, il principio di proporzionalità, adeguatezza e gradualità quale canone ermeneutico delle disposizioni in tema di sequestro, in particolare sotto il profilo dell’onere motivazionale del giudice, tenuto a dare adeguatamente conto della impossibilità di conseguire il medesimo risultato attraverso una cautela alternativa meno invasiva, al fine di evitare un’esasperata compressione del diritto di proprietà e di libera iniziativa economica privata, secondo un “protocollo” applicabile anche al sequestro preventivo.
Di particolare rilevanza, sia pure in tema di sequestro probatorio, il riferimento ai principi affermati dalle sentenze delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, COGNOME, Rv. 226710-226713, nonché Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, COGNOME, Rv. 273548), secondo cui «ogni misura cautelare, per dirsi proporzionata all’obiettivo da perseguire, dovrebbe richiedere che ogni interferenza con il pacifico godimento dei beni trovi un giusto equilibrio tra i divergenti interessi in gioco».
6.1 principi di diritto affermati dalle Sezioni Unite offrono le coordinate rilevanti anche al fine di esaminare la questione della assoggettabilità a sequestro preventivo delle somme derivanti dalla estinzione di una polizza assicurativa tenuto conto del divieto di cui all’art. 545 cod. proc. civ. riferibile ai crediti di natur retributiva e pensionistica o a “indennità che tengono luogo di pensione”, nozione nella quale devono ricondursi, in forza delle caratteristiche dell’assicurazione sulla vita, le somme conseguite a titolo di capitale o di rendita.
La questione è correlata alla natura previdenziale e assistenziale, pacificamente riconosciuta, nella giurisprudenza, alle assicurazioni sulla vita.
7.La disciplina dell’assicurazione sulla vita – rispetto al più ampio catalogo dei contratti assicurativi previsti negli artt. 1882 e segg. cod. civ.- è contenuta negli artt. da 1919 a 1927 cod. civ.
Premesso che l’art. 1882 cod. civ. contiene una definizione ampia dell’assicurazione sulla vita, facendo riferimento al «contratto col quale l’assicuratore, verso pagamento di un premio, si obbliga a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana», la funzione che primariamente si rinviene in concreto nei contratti ascrivibili a tale tipo negoziale – e che è riflessa nella disciplina dettata dal Libro IV, Titolo III, Capo XX, Sezione III, del codice civile – è quella di preservare il risparmio in funzione previdenziale e di operare una capitalizzazione correlata al cd. rischio demografico (sentenza Corte Cost. n. 400 del 1987), funzione ripetutamente affermata nella giurisprudenza civile della Corte di cassazione (Sez. 2, sentenza 22 ottobre 2021, n. 29583; Sez. 3, sentenza 15 aprile 2021, n. 9948; Sez. 1, sentenza 14 giugno 2016, n. 12261; S.U., sentenza 31 marzo 2008, n. 8271).
La giurisprudenza civile distingue, poi, nell’ambito del contratto di assicurazione, le polizze sulla vita, cd. tradizionali, dalle polizze-vita a contenuto finanziario.
Le prime assolvono ad una funzione demografico-previdenziale poiché con la stipulazione dell’assicurazione l’assicurato mira, generalmente, a garantire la disponibilità di una somma ai familiari ovvero a terzi al momento della propria morte ed il rischio di perdita del capitale, in tali strumenti, è pari a zero, essendo predeterminato l’importo da erogare al contraente o al beneficiario alla scadenza del contratto.
La funzione demografica dell’assicurazione sulla vita consiste, pertanto, nel coprire il rischio legato alla durata della vita umana, ovvero la premorienza (morte prima del previsto) o la longevità (vita oltre le aspettative), per fornire un capitale o una rendita ai beneficiari o all’assicurato stesso.
Le polizze vita a contenuto finanziario – caratterizzate, per l’appunto, dal rischio finanziario, variabile a seconda della tipologia distinguendosi tra polizze cd. “linked” “pure”, “unit linked” e “index link” – conferiscono all’impresa di assicurazioni, al posto dell’obbligo restitutorio, una sorta di mandato di gestione del denaro investito, rispetto al quale l’investitore matura il diritto al mero risultato di detta gestione, che varia in base ad una serie di fattori, quali l’andamento del mercato o dei titoli (e il cui rendimento è parametrato all’andamento di fondi comuni di investimento e ad indici di vario tipo, generalmente consistenti in titoli azionari). In questa tipologia di polizze la componente vita ed investimento risulta, pertanto, preponderante rispetto a quella demografico-previdenziale tipica delle assicurazioni sulla vita cd. “tradizionali” ex art. 1882 cod. civ. (cfr. Cass. Sez. 2, 22/10/2021, n. 29583, Rv. 662705 – 02; Cass. Sez. 1, 09/04/2024, n. 9418, Rv. 670878 – 02).
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La giurisprudenza civile è, GLYPH peraltro, GLYPH univoca  GLYPH nell’affermare che, indipendentemente dal nomen iuris attribuito al prodotto, il giudice del merito è tenuto a compiere una operazione di ermeneutica contrattuale per accertare se un dato contratto integri una vera e propria polizza assicurativa sulla vita o un investimento in uno strumento finanziario (Cass. Sez. 1, 09/04/2024, n. 9418, Rv. 670878 -01).
9. Il legislatore, per quanto di interesse in relazione alla pignorabilità o meno dei crediti derivanti dal contratto di assicurazione sulla vita, ha stabilito un particolare regime con riferimento alla possibilità per il creditore di aggredire le somme derivanti da questo particolare strumento.
L’art. 1923 cod. civ. espressamente, al comma 1, prescrive che “le somme dovute dall’assicuratore al contraente o al beneficiario non possono essere sottoposte ad azione esecutiva o cautelare”.
La finalità di tale regime trova il proprio fondamento nella funzione essenzialmente previdenziale e assistenziale di questo particolare strumento: con le polizze vita si persegue il fine di accumulare un capitale o precostituire una rendita, così da garantire all’assicurato e/o alla sua famiglia una somma, ovviando così al rischio dell’evento morte o sopravvenienza ad una certa data gravante su tali soggetti.
9.1. La disciplina prevista dall’art. 1923 cod. civ. si limita a disporre la impignorabilità delle “somme dovute dall’assicuratore” ed è discusso se l’impignorabilità possa riguardare, oltre alle somme versate in fase di accumulo, anche le somme riscosse, che si confondono nel patrimonio dell’assicurato o del beneficiario.
La giurisprudenza civile solo in rare occasioni (e in materia fallimentare alla luce del combinato disposto degli artt. 1923 cod. civ. e art. 46, comma 1, n. 5, I. fall.) ha affrontato la questione della portata del principio di cui all’art. 1923 cod. civ.
Di interesse, nella prospettiva esegetica che viene qui in rilievo, i principi affermati nella risalente sentenza delle Sezioni Unite n. 8271 cit. che respingeva una interpretazione restrittiva dell’art. 1923 cod. civ. escludendo che la rete di protezione, da azioni esecutive o cautelari, che detta norma appresta al credito dell’assicurato, per le somme dovutegli dall’assicuratore in base al contratto di assicurazione sulla vita di cui all’art. 1919 cod. civ., si dissolva a fronte di esecuzione concorsuale e che, nel quadro di bilanciamento degli opposti interessi, potesse risolversi privilegiando quello dei creditori.
Secondo tale ricostruzione la disposizione di cui all’art. 1923 cod. civ. è volta a tutelare (unitamente ad eventuali e, in varia misura, concorrenti finalità di
risparmio) la funzione assistenziale e previdenziale in via sia diretta, attraverso la garanzia del credito del singolo assicurato, sia indiretta attraverso la protezione del patrimonio dell’assicuratore, posto così al riparo dal contenzioso dei creditori, i cui costi andrebbero a detrimento degli assicurati per via di innalzamento dei premi.
Le Sezioni Unite evidenziavano la percezione, in termini di diritto vivente, ontologicamente inteso, della dimensione evolutivamente assunta, nell’attuale contesto economico sociale, dall’assicurazione sulla vita (che in ragione, appunto, della sua funzione previdenziale, il “divieto” sub art. 1923 cod. civ. è volto a presidiare), quale forma di assicurazione privata (pur nelle possibili sue varie modulazioni negoziali) maggiormente affine agli istituti di previdenza elaborati dalle assicurazioni sociali e “che osservava la sentenza 8271 cit.proprio in ragione di ciò, tende ora porsi, come osservato da attenta dottrina, come “RAGIONE_SOCIALE” della previdenza, in una congiuntura, quale quella attuale, caratterizzata dalle crescenti difficoltà dello Stato sociale che, sull’apporto integrativo della assicurazione privata deve necessariamente contare”.
Le Sezioni Unite attribuivano, dunque, rilievo e spessore costituzionale al valore della “previdenza” (legata ai bisogni dell’età post-lavorativa o derivante dall’evento morte di colui che percepisce redditi dei quali anche altri si avvalga), ribadendo che è lo scopo previdenziale (attuato nelle polizze vita attraverso l’accumulo di capitale così da garantire all’assicurato e/o alla sua famiglia una rendita) a giustificare il sacrificio dei creditori previsto dall’art. 1923 cod. civ. evidenziando che la polizza sulla vita beneficia di una disciplina di favore, come quella dell’impignorabilità dei capitali e delle rendite, non perché formalmente prodotto assicurativo, ma perché adempie una particolare funzione di previdenza complementare rispetto a quella obbligatoria, destinata per lo più a far fronte ai bisogni della tarda età.
Non va trascurato che la sentenza delle Sezioni Unite ora citata era proprio il riscatto della polizza assicurativa, azionato dal curatore fallimentare / rispetto al quale ribadiva il principio di non assoggettabilità alla procedura esecutiva, singola o individuale, confermando un indirizzo esegetico risalente (Cass. Sez. 1, 25/10/1999, n. 11975, Rv. 530787; Cass. Sez. 1, 28/07/1965, n. 1811, Rv. 313450, precedenti relativi al riscatto delle polizze azionato dal curatore fallimentare ovvero alle somme derivanti dal riscatto rinvenute nel patrimonio del fallito).
La prevalente funzione di risparmio previdenziale, correlata all’alea della durata della vita, è stata di recente affermata anche dalla Corte Costituzionale (sent. n. 32 del 2024), in materia di prescrizione dei crediti derivanti dal contratto di assicurazione sulla vita.
10. La giurisprudenza penale ha più volte affermato che il sequestro preventivo può avere ad oggetto una polizza assicurativa sulla vita dal momento che il divieto di sottoposizione ad azione esecutiva e cautelare stabilito dall’art. 1923 cod. civ. attiene esclusivamente alla definizione della garanzia patrimoniale a fronte della responsabilità civile e non riguarda la disciplina della responsabilità penale, nel cui esclusivo ambito ricade il sequestro preventivo, principio al quale ha fatto riferimento anche l’ordinanza impugnata (Sez. 3, n. 11945 del 10/11/2016, dep. 2017, Maggio, Rv. 270307; Sez. 2, n. 16658 del 17/04/2007, Viada, Rv. 236591; Sez. 6, n. 12838 del 10/11/2011, dep. 2012, Cardilli, Rv. 252547).
Si tratta di conclusioni che, ad avviso della Corte, devono essere riviste alla luce dei principi contenuti nella sentenza COGNOME che, nella parte in cui ritiene che l’art. 545 cod. proc. civ. rappresenti una regola generale dell’ordinamento processuale in considerazione della riconducibilità degli emolumenti pensionistici, nella misura impignorabile prevista da tale norma, nell’alveo dei diritti inalienabili della persona tutelati dall’art. 2 Cost., deve essere estesa alle somme (capitali e rendite) derivanti dalla liquidazione di una polizza vita cd. tradizionale, riconducibili alla nozione di “indennità che tengono luogo di pensione” alla quale fa riferimento l’art. 545 cod. proc. civ., avuto riguardo alla funzione tipica del contratto di assicurazione cui accedono.
Nel caso in cui il contratto di assicurazione abbia raggiunto il suo scopo tipico, cioè la liquidazione della somma accumulata o di una rendita così da garantire una protezione economica e un sostegno finanziario ai beneficiari designati in caso di decesso dell’assicurato, o per garantire un capitale o una rendita se l’assicurato è in vita a una scadenza predeterminata, tali crediti, in quanto indennità equiparabili ai trattamenti pensionistici, di cui condividono la funzione, sono impignorabili nei limiti di cui all’art. 545, comma 7, cod. proc. civ.
La natura previdenziale e assistenziale della somma conseguita è ostativa all’assoggettabilità a confisca per equivalente, e al correlativo sequestro preventivo /trovando applicazione i limiti di cui all’art. 1923 cod. civ. /che del vincolo della impignorabilità costituiscono il presupposto.
Come anticipato, le Sezioni Unite COGNOME hanno posto l’accento sulla esigenza di una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni in materia di sequestro finalizzato alla confisca per equivalente in virtù della quale non rileva la natura penale della misura e degli interessi ad essa sottesi o la “confusione”, che, per effetto della riscossione dei crediti, viene a realizzarsi, ma la necessità del bilanciamento dell’interesse penale, affermato in via generale con il ricorso alla misura reale, con la tutela di interessi di natura pubblicistica, riconducibili nell’area
dei diritti inalienabili della persona e consistenti nel garantire al pensionato i mezzi adeguati alle proprie esigenze di vita, tutela che passa attraverso il riconoscimento del diritto all’assistenza sociale al fine di assicurare un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti.
Funzione assistenziale realizzata dal contratto di assicurazione cd. tradizionale quale forma di previdenza di natura privata.
Le Sezioni Unite COGNOME hanno già ricordato, a tal riguardo, la giurisprudenza civile in materia di trattamenti pensionistici (Cass. civ., Sez. 3, n. 6548 del 22/3/2011, Rv. 617581) e il rilievo che la loro finalità di tutela riveste alla luce della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che, all’art 34, terzo comma, garantisce il riconoscimento del diritto all’assistenza sociale al fine di assicurare un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti, tanto che, in materia civile, il pignoramento della pensione eseguito oltre i limiti consentiti è stato ritenuto radicalmente nullo per violazione di norme imperative.
La giurisprudenza costituzionale, del resto, ha più volte ribadito che la ratio sottesa all’art. 545 cod. proc. civ. è quella di contemperare la protezione del credito con l’esigenza del lavoratore di avere, attraverso una retribuzione congrua, un’esistenza libera e dignitosa (tra le tante, Corte cost., sentenze nn. 20 del 1968 e 248 del 2015).
Si è, infatti, affermato che la facoltà di escutere il debitore non può essere sacrificata totalmente, anche se la privazione di una parte del salario è un sacrificio che può essere molto gravoso per il lavoratore scarsamente retribuito. Pertanto, con l’art. 545 cod. proc. civ. il legislatore si sarebbe dato carico di contemperare i contrapposti interessi, contenendo in limiti angusti la somma pignorabile “e graduando il sacrificio in misura proporzionale all’entità della retribuzione”: chi ha una retribuzione più bassa, infatti, sarebbe colpito in misura proporzionalmente minore (Corte cost., sentenze nn.20 del 1968; 102 del 1974, 209 del 1975).
I principi ora illustrati si applicano anche al capitale e alla rendita conseguita attraverso il contratto di assicurazione sulla vita cd. tradizionale, avente funzione previdenziale – natura affermata dalla Corte Costituzionale e dalla giurisprudenza civile, senza che rilevi la natura facoltativa e privata, rispetto a quella obbligatoria e pubblica, della cd. previdenza complementare che contribuisce alla realizzazione di un trattamento di quiescenza idoneo ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia mezzi adeguati alle esigenze di vita per una esistenza libera e dignitosa.
Deve, pertanto, affermarsi il principio secondo cui i limiti di impignorabilità delle somme spettanti a titolo a titolo di pensione, di indennità che tengano luogo di pensione o di assegno di quiescenza, previsti dall’art. 545 cod. proc. civ., si applicano anche alla confisca per equivalente ed al sequestro ad essa finalizzato
avente ad oggetto i capitali e le rendite derivanti dalla liquidazione della polizza di assicurazione sulla vita cd. tradizionale ovvero dell’indennizzo conseguente al verificarsi dell’evento / avendo gli stessi natura previdenziale e assistenziale.
Non rileva l’assenza di precedenti specifici in materia ai sensi dell’art. 545 cod. proc. civ. in presenza degli approdi raggiunti dalla giurisdizione civile in relazione alla interpretazione dell’art. 1923 cod. civ., innanzi illustrati.
A diversa conclusione deve, invece, pervenirsi con riguardo alla somma in sequestro, che non costituisce oggetto della liquidazione della polizza-vita stipulata dal ricorrente al verificarsi dell’evento, ma consegue dal recesso dell’assicurato che, sulla base di una clausola contrattuale esercitabile ad nutum, ha recuperato al suo patrimonio somme che, pur avendo a suo tempo assolto alla funzione di risparmio, non realizzano, al momento e in forza del riscatto, anche la funzione assistenziale e previdenziale, invalidata per effetto della opzione rimessa all’assicurato di recedere dal contratto di assicurazione (Cass. Sez. 1, 26/06/2000, n. 8676, Rv. 538040).
In sintesi, attraverso il “riscatto” della polizza prima della scadenza l’assicurato ha conseguito il capitale investito (o una parte di esso) senza che si realizzasse la funzione principale di garantire un capitale o una rendita alla scadenza predeterminata e, quindi, la funzione assistenziale o previdenziale alla quale era destinato l’accumulo, in fase di esecuzione del contratto.
Il recesso dal contratto assicurativo con il riscatto della polizza ha dato luogo ad un disinvestimento secco dal quale è derivato un reddito che non assolve alla finalità previdenziale – descritta al punto 10 del Considerato in diritto -, reddito che in quanto tale è rientrato nel patrimonio dell’assicurato / deprivato di quella connotazione finalistica.
Non ignora il Collegio la esistenza di un contrasto nella giurisprudenza civile, contrasto che ha trovato espressione nella sentenza n. 8676/2000 i cui principi sono richiamati al punto che precede, contrasto ben evidenziato anche nella successiva decisione delle Sezioni Unite n. 8271 del 31 marzo 2008.
Si è già evidenziato che le Sezioni Unite civili avevano esaminato la questione del riscatto della polizza assicurativa, azionato dal curatore fallimentare, operazione rispetto alla quale le Sezioni Unite ribadivano il principio di non assoggettabilità alla procedura esecutiva, singola o individuale, delle somme dovute a titolo di assicurazione sulla vita, di cui affermavano una nozione ampia.
E’ innegabile la complessa funzione dell’assicurazione sulla vita, ben descritta nella parte in cui se ne riconosce la funzione di “risparmio previdenziale” evidenziata dalla richiamata sentenza delle Sezioni Unite civili. Ed è, parimenti,
noto che anche il valore del risparmio è tutelato e incoraggiato dalla Costituzione (art. 47).
Occorre, tuttavia, considerare che, nella logica di un necessario bilanciamento tra contrapposti interessi, quali quelli sottesi all’applicazione della confisca per equivalente in ragione della sua natura sanzionatoria e ripristinatoria, e, quindi, al sequestro preventivo funzionale a realizzarne gli effetti, in forza del recesso azionabile a discrezione dell’assicurato, la funzione demografico-previdenziale del contratto assicurativo, funzione alla quale era servente quella di risparmio, è di fatto venuta meno, senza che sia realizzato lo possa realizzarsi, diversamente dal caso di liquidazione dell’assicurazione sulla vita, lo scopo di precostituire la disponibilità di una somma ai familiari ovvero a terzi al momento della propria morte o sopravvenienza ad una certa data.
Non vi è ragione, quindi, per assicurare alle somme così conseguite il “privilegio” della impignorabilità di cui all’art. 545 cod. proc. civ., che va letto ne quadro di un complessivo bilanciamento tra i principi in materia di responsabilità penale e gli interessi pubblicistici connessi alla tutela dei diritti inviolabili di cui a artt. 2 e 38 Cost. che giustificano, nella descritta prospettiva costituzionale posta a base delle Sezioni Unite COGNOME, la impignorabilità assoluta o relativa.
Dalle svolte premesse deriva che / in relazione alla somma di euro 8.792,07, conseguita dal COGNOME attraverso il riscatto della polizza di assicurazione sulla vita, non sussistono le condizioni che, a norma dell’art. 545 cod. proc. civ., giustificano la impignorabilità (parziale) e, quindi, la impossibilità di procedere al sequestro funzionale alla confisca per equivalente.
Il ricorrente è tornato in possesso di somme che hanno costituito a suo tempo oggetto di risparmio in funzione previdenziale, ma tale funzione, per sua scelta, non ha trovato e non può più trovare attuazione, dal momento che le somme così conseguite non sono state reinvestite in funzione previdenziale, ma destinate al conto corrente bancario che è uno strumento di gestione semplificata del denaro e non uno strumento di risparmio.
In tema di confisca per equivalente conseguente al reato di riciclaggio, infine, va ricordato che il provvedimento ablatorio deve essere disposto quantomeno con riferimento al valore del vantaggio patrimoniale effettivamente conseguito (cfr. Sez. 2, n. 2166 del 06/12/2022, dep. 2023, Ibrahim, Rv. 283898) e, nel caso in esame, costituito dall’importo di euro 340.606,23 di denaro contante ricevuto sui conti correnti dell’indagato, destinato al trasferimento all’estero e provento della commissione di reati tributari, sicché l’importo sequestrato, alla luce di quanto accertato dai giudici di merito, non può ritenersi “sproporzionato” in relazione alla finalità preventiva. GLYPH
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Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16 settembre 2025
La Consigliera relatrice
Il Presidente