Risarcimento Simbolico: Perché non è sufficiente per l’attenuante
L’offerta di un risarcimento simbolico alla persona offesa non è sufficiente per ottenere la concessione dell’attenuante della riparazione del danno. Questo è il principio chiave ribadito dalla Corte di Cassazione con una recente ordinanza, che ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per minacce a pubblico ufficiale. Analizziamo insieme la vicenda e le importanti conclusioni della Suprema Corte.
I Fatti del Caso
La vicenda trae origine da una condanna per il reato di minaccia a pubblico ufficiale, previsto dall’art. 336 del Codice Penale. Un cittadino, durante l’espletamento di un atto d’ufficio da parte di alcuni agenti (una sanzione amministrativa), rivolgeva loro frasi minacciose. Condannato sia in primo grado che in appello, l’imputato decideva di presentare ricorso per Cassazione, basandolo su due motivi principali:
1. Errata qualificazione del reato: sosteneva che la sua condotta dovesse essere inquadrata come oltraggio anziché come minaccia.
2. Mancato riconoscimento dell’attenuante: lamentava la mancata concessione dell’attenuante per aver risarcito il danno, avendo offerto una somma di denaro alle persone offese.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha rigettato entrambe le censure, dichiarando il ricorso inammissibile.
Sul primo punto, i giudici hanno ritenuto la doglianza manifestamente infondata, evidenziando come le sentenze di merito avessero correttamente identificato la presenza di “esplicite minacce” direttamente collegate all’atto che i pubblici ufficiali stavano compiendo, integrando così pienamente la fattispecie contestata.
È sul secondo motivo, tuttavia, che la Corte si sofferma con maggiore interesse, fornendo chiarimenti cruciali sulla natura del risarcimento ai fini dell’applicazione della relativa attenuante.
Le Motivazioni: la questione del risarcimento simbolico
La Corte ha stabilito che l’ulteriore motivo di ricorso, relativo al mancato riconoscimento dell’attenuante del risarcimento del danno, era infondato. La motivazione della sentenza impugnata, integrata con quella di primo grado, aveva già chiarito un punto fondamentale: il risarcimento offerto era stato “sostanzialmente simbolico” e di “minima rilevanza”.
Secondo gli Ermellini, un’offerta di tale natura è inidonea a garantire l'”integrale riparazione del danno arrecato”. La finalità dell’attenuante non è premiare un gesto puramente formale, ma incentivare una condotta che elimini, per quanto possibile, tutte le conseguenze negative del reato. Un importo irrisorio non raggiunge questo scopo. La Corte precisa inoltre un aspetto decisivo: è del tutto irrilevante che le persone offese abbiano accettato l’importo offerto senza porre riserve. La valutazione sulla congruità ed integralità del risarcimento spetta unicamente al giudice, che deve verificarne l’effettiva capacità riparatoria a prescindere dalla volontà della parte lesa.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa pronuncia consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro: per ottenere l’attenuante del risarcimento del danno, non è sufficiente un gesto pro forma. L’imputato deve dimostrare una volontà concreta e seria di riparare al danno causato, attraverso un’offerta che sia effettivamente proporzionata al pregiudizio arrecato. Un risarcimento simbolico non solo non estingue l’obbligazione morale e giuridica verso la vittima, ma si rivela processualmente inutile ai fini di uno sconto di pena. La decisione finale sulla congruità dell’importo spetta sempre e solo al giudice, la cui valutazione prescinde dall’eventuale accettazione da parte della persona offesa.
Quando un risarcimento è sufficiente per ottenere l’attenuante?
Secondo la Corte, il risarcimento deve essere idoneo a garantire l'”integrale riparazione del danno arrecato”. Un’offerta meramente simbolica o di minima rilevanza non è considerata sufficiente.
Perché le minacce rivolte ai pubblici ufficiali non sono state qualificate come oltraggio?
La Corte ha ritenuto che le frasi rivolte dall’imputato agli agenti contenessero delle “esplicite minacce”, direttamente collegate al compimento di un atto d’ufficio, integrando così la fattispecie di minaccia a pubblico ufficiale (art. 336 c.p.) e non quella di oltraggio.
Cosa succede se la persona offesa accetta un risarcimento simbolico?
L’accettazione da parte della persona offesa di un importo simbolico è irrilevante ai fini della concessione dell’attenuante. La valutazione sulla congruità e sull’integralità del risarcimento spetta esclusivamente al giudice.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19243 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19243 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a TREVIGLIO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/12/2022 della CORTE APPELLO di BRESCIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
OSSERVA
letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza in epigrafe indicata;
ritenuta la manifesta infondatezza del primo motivo, con il quale si deduce l’erronea qualificazione della condotta in termini di minaccia ex art. 336 cod. pen., anziché di oltraggio, posto che le concordi sentenze di merito danno atto del tenore delle frasi rivolte dall’imputato agli operanti, contenenti delle esplicite minacce, direttamente collegate al compimento dell’atto (sanzione amministrativa);
ritenuto che l’ulteriore motivo, relativo al mancato riconoscimento dell’attenuante del risarcimento del danno, non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, integrata da quella di primo grado, dalle quali emerge che il risarcimento è stato sostanzialmente simbolico, risultando di minima rilevanza e, quindi, ritenuto inidoneo a garantire l’integrale riparazione del danno arrecato, il che prescinde dal fatto che le persone offese possano aver ritenuto di accettare l’importo offerto senza riserve;
ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 22 marzo 2024
Il Consigliere est re
Il Presidente