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Risarcimento simbolico: non basta per la messa alla prova

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza che ammetteva un imputato alla messa alla prova con la condizione di un risarcimento simbolico di 150 euro. Secondo la Corte, la quantificazione del danno non può essere meramente simbolica, ma deve essere adeguatamente motivata, tenendo conto della gravità del reato, del danno effettivo (anche morale) e delle capacità economiche dell’imputato, rappresentando un concreto sforzo riparatorio.

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Pubblicato il 22 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Risarcimento simbolico: la Cassazione stabilisce che non è sufficiente per la messa alla prova

L’istituto della messa alla prova, introdotto nel nostro ordinamento per gli adulti, rappresenta una fondamentale alternativa al processo penale tradizionale. Esso permette la sospensione del procedimento in cambio dello svolgimento di un programma di trattamento che include, tra l’altro, condotte riparatorie. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 37187/2024, ha affrontato un punto cruciale: la validità di un risarcimento simbolico come condizione per accedere a tale beneficio. La Corte ha stabilito principi chiari, sottolineando che la riparazione del danno non può essere un mero gesto formale.

I fatti del processo

Il caso trae origine da un procedimento dinanzi al Tribunale Militare di Roma per il reato di ingiuria. Il Giudice per le Indagini Preliminari aveva ammesso l’imputato alla messa alla prova, sospendendo il processo. Le condizioni imposte erano lo svolgimento di un lavoro di pubblica utilità per quattro mesi, la stesura di una lettera di scuse alla persona offesa e il versamento a quest’ultima di una somma di 150,00 euro a titolo di risarcimento.

Contro questa decisione, il Procuratore Militare ha proposto ricorso in Cassazione, contestando proprio la natura della somma risarcitoria. Secondo l’accusa, un importo definito ‘simbolico’ non rispetterebbe i requisiti di legge, in quanto non sarebbe idoneo a elidere o attenuare in modo concreto le conseguenze del reato. Inoltre, il giudice non aveva fornito alcuna motivazione sulla quantificazione di tale somma.

La questione del risarcimento simbolico e la decisione della Corte

Il Procuratore ha sostenuto che il risarcimento simbolico fosse in contrasto con l’articolo 168 bis del codice penale. Questa norma stabilisce che la messa alla prova comporta la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose del reato e, ove possibile, al risarcimento del danno. L’obiettivo non è solo punitivo, ma anche rieducativo e riparativo. Una somma irrisoria, secondo il ricorrente, svuoterebbe di significato questa finalità.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza del GIP e rinviando il caso per un nuovo giudizio. La motivazione della sentenza è netta e si fonda su principi cardine dell’istituto della messa alla prova.

I giudici hanno chiarito che l’attività riparatoria è una condizione imprescindibile per l’accesso al beneficio. Essa ha una duplice finalità: eliminare le conseguenze dannose del reato e risarcire la persona offesa. La determinazione del danno, anche se solo morale, non può essere liquidata in termini puramente simbolici senza un’adeguata giustificazione.

Il giudice, nel decidere sull’ammissione alla prova, deve valutare concretamente l’entità del pregiudizio arrecato e le possibilità materiali dell’imputato. La somma imposta deve essere espressione del ‘massimo sforzo’ esigibile dall’imputato e porsi in un rapporto di proporzione e adeguatezza con la materialità del reato e le sue conseguenze. Nel caso specifico, il GIP aveva completamente omesso di motivare i criteri utilizzati per arrivare alla cifra di 150 euro, violando così l’articolo 168 bis, comma 2, del codice penale. In pratica, il giudice non ha considerato né il danno subito dalla vittima né le condizioni economiche dell’imputato per verificare se la somma fosse realmente riparatoria.

Le conclusioni

La sentenza in esame rafforza la natura sostanziale e non meramente formale delle condotte riparatorie nella messa alla prova. Il principio affermato è che il risarcimento del danno deve essere un atto concreto e serio, non un gesto simbolico privo di effettivo valore riparatorio. I giudici di merito sono tenuti a fornire una motivazione puntuale sui criteri di quantificazione del risarcimento, bilanciando la gravità del fatto, il danno alla vittima e la capacità economica dell’imputato. Questa decisione rappresenta un importante monito per garantire che la messa alla prova mantenga la sua efficacia rieducativa e di tutela per le persone offese dal reato.

Un risarcimento puramente simbolico è sufficiente per accedere alla messa alla prova?
No. Secondo la Corte di Cassazione, un risarcimento meramente simbolico non è conforme ai principi della messa alla prova, poiché non rappresenta un’adeguata condotta riparatoria volta a eliminare o attenuare le conseguenze del reato.

Come deve essere quantificato il danno da risarcire nell’ambito della messa alla prova?
Il giudice deve quantificare il danno tenendo conto della reale entità del pregiudizio arrecato alla persona offesa (anche se solo morale), della gravità del reato e delle possibilità materiali dell’imputato. La somma deve rappresentare il ‘massimo sforzo’ esigibile e deve essere adeguatamente motivata.

Qual è il ruolo delle condotte riparatorie nel percorso della messa alla prova?
Le condotte riparatorie sono una condizione imprescindibile per accedere all’istituto. Hanno una duplice funzione: eliminare le conseguenze dannose o pericolose del reato e, nei limiti del possibile, risarcire il danno cagionato alla persona offesa, inserendosi in un percorso di recupero e rieducazione dell’imputato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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