Risarcimento Detenzione Inumana: Non Basta un Generico Reclamo
Il tema del risarcimento detenzione inumana è un argomento di cruciale importanza nel nostro ordinamento, poiché tocca i diritti fondamentali della persona anche in stato di privazione della libertà. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti essenziali sui presupposti necessari per ottenere tale compensazione, sottolineando che non ogni disagio è risarcibile e che i ricorsi devono essere specifici e puntuali. Analizziamo insieme questa decisione per capire i criteri applicati dai giudici.
I Fatti del Caso
Un detenuto aveva presentato un reclamo per ottenere un risarcimento ai sensi dell’art. 35-ter dell’ordinamento penitenziario, sostenendo di aver subito un trattamento contrario all’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) durante la sua permanenza in un istituto penitenziario. La sua richiesta era stata respinta prima dal Magistrato di Sorveglianza e poi, in sede di reclamo, dal Tribunale di Sorveglianza.
Il Tribunale aveva motivato il rigetto evidenziando che le condizioni detentive non integravano una violazione dell’art. 3 CEDU. In particolare, lo spazio a disposizione del detenuto (spazio pro capite
) era sempre stato superiore alla soglia minima di 3 metri quadrati. Inoltre, una valutazione complessiva delle condizioni strutturali, logistiche e del regime trattamentale, basata sulle informative della direzione del carcere, non aveva rivelato criticità tali da configurare un trattamento inumano o degradante. Contro questa decisione, il detenuto ha proposto ricorso in Cassazione.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della richiesta, ma la blocca a un livello preliminare per motivi procedurali e di sostanza. La conseguenza per il ricorrente è stata la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, a causa della sua colpa nel presentare un ricorso palesemente infondato.
Le motivazioni del mancato risarcimento per detenzione inumana
Le motivazioni della Corte si articolano su due punti fondamentali che ogni difensore e cittadino dovrebbe conoscere.
1. Il Principio di Specificità del Ricorso
Il primo motivo di inammissibilità risiede nella genericità dell’impugnazione. La Corte ha osservato che il ricorso si limitava a “reiterare pedissequamente le medesime argomentazioni già dedotte in sede di reclamo”. In altre parole, il detenuto non aveva mosso critiche specifiche al ragionamento logico-giuridico del Tribunale di Sorveglianza, ma aveva semplicemente ripresentato le sue lamentele. In sede di legittimità, non è sufficiente lamentarsi, ma è necessario spiegare perché la decisione impugnata è sbagliata dal punto di vista legale.
2. La Soglia della Sofferenza Rilevante
Il secondo e più sostanziale punto riguarda la definizione stessa di “trattamento inumano”. La Cassazione, richiamando la propria giurisprudenza consolidata, ha ribadito un principio chiave: non ogni violazione o disagio patito in carcere dà automaticamente diritto al rimedio compensativo. È necessario che la sofferenza superi una certa soglia.
Il trattamento contrario all’art. 3 CEDU si configura solo quando le condizioni sono idonee a provocare “uno sconforto e un’afflizione di intensità tale da eccedere l’inevitabile sofferenza legata alla detenzione“. Lo stato di detenzione comporta, per sua natura, un grado di sofferenza che è considerato “inevitabile”. Il risarcimento scatta solo quando si va oltre questo limite, entrando in una dimensione di umiliazione e degrado della dignità umana.
Nel caso specifico, la valutazione complessiva delle condizioni, inclusi lo spazio disponibile e il regime trattamentale, non ha permesso di riscontrare quel “quid pluris” di afflizione necessario per giustificare il risarcimento.
Le Conclusioni
Questa ordinanza offre due lezioni pratiche di grande importanza. In primo luogo, per ottenere un risarcimento per detenzione inumana, non è sufficiente lamentare disagi generici, ma è indispensabile dimostrare che le condizioni hanno causato una sofferenza superiore a quella intrinseca nello stato detentivo. In secondo luogo, qualsiasi impugnazione contro una decisione negativa deve essere specifica e mirata a criticare le motivazioni del giudice, pena l’inammissibilità del ricorso. La semplice riproposizione delle proprie lamentele si rivela una strategia processuale perdente, che può comportare anche la condanna al pagamento di ulteriori somme.
Avere a disposizione più di 3 metri quadrati in cella esclude automaticamente il diritto al risarcimento?
No, non automaticamente. Sebbene il rispetto dello spazio pro capite minimo sia un elemento cruciale, la valutazione del giudice deve essere ‘complessiva’, tenendo conto anche di altri fattori come le condizioni strutturali, logistiche e il regime trattamentale effettivo. Tuttavia, il superamento di questa soglia rende molto più difficile dimostrare l’esistenza di un trattamento inumano.
Per quale motivo principale il ricorso del detenuto è stato dichiarato inammissibile dalla Cassazione?
Il motivo principale è stata la ‘aspecificità’ del ricorso. Il ricorrente si è limitato a ripetere le stesse argomentazioni già presentate al Tribunale di Sorveglianza, senza contestare in modo puntuale e specifico il ragionamento giuridico espresso nell’ordinanza impugnata. Un ricorso in Cassazione deve attaccare gli errori di diritto della decisione precedente, non solo ripresentare i fatti.
Qualsiasi disagio o sofferenza in carcere dà diritto a un risarcimento per detenzione inumana?
No. Secondo la Corte, solo le violazioni che provocano ‘uno sconforto e un’afflizione di intensità tale da eccedere l’inevitabile sofferenza legata alla detenzione’ possono fondare una richiesta di risarcimento. Non ogni violazione o disagio, quindi, supera la soglia richiesta per essere considerato un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’art. 3 CEDU.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 10723 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 10723 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il 13/01/1983
avverso l’ordinanza del 22/10/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di L’AQUILA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso l’ordinanza con la quale il Tribunale di sorveglianza di L’Aquila ha rigettato il suo reclamo avverso l’ordinanza del Magistrato di Pescara, la quale rigettava l’istanza, dal medesimo presentata, volta al risarcimento da inumana detenzione ex art. 35 -ter ord. pen. per il trattamento contrario all’art. 3 CEDU asseritamente subito presso l’Istituto di Teramo dal 30/06/2021 alla domanda;
Ritenuto che il ricorso non supera il vaglio preliminare di ammissibilità, non confrontandosi adeguatamente con il provvedimento impugnato, che risulta conforme alla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale «non ogni lesione astrattamente tutelabile con l’azione inibitoria di cui all’art. 35-bis ord. pen., può costituire la base giuridica per riconoscimento dello speciale rimedio compensativo, ma solo quelle che sono idonee a provocare all’interessato uno sconforto e un’afflizione di intensità tale da eccedere l’inevitabile sofferenza legata alla detenzione» (Sez. 1, n. 11602 del 27/01/2021, COGNOME, Rv. 280681);
Osservato in particolare che l’ordinanza impugnata ha ritenuto non ravvisabile alcuna violazione dell’art. 3 CEDU, non solo in considerazione dello spazio pro capite a disposizione del detenuto, sempre al di sopra dei 3 mq, ma anche alla stregua di una valutazione complessiva, tenuto conto delle condizioni strutturali e logistiche e del regime trattamentale effettivamente praticato, come risultante dalle dettagliate informative fornite dalla Direzione dell’istituto penitenziario;
Rilevato che, a fronte di tale esaustiva motivazione, il ricorso, peraltro consentito soltanto per violazione di legge, si limita a reiterare pedissequamente le medesime argomentazioni già dedotte in sede di reclamo, senza peraltro aggredire il ragionamento posto alla base della decisione impugnata che alle relative doglianze ha comunque fornito risposta, donde la sostanziale aspecificità dell’odierna impugnazione;
Ritenuto, pertanto, che deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 20/02/2025