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Risarcimento detenzione inumana: quando è escluso?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un detenuto che chiedeva un risarcimento per detenzione inumana. La decisione si fonda su due pilastri: il ricorso era generico e non contestava specificamente le motivazioni del giudice precedente; inoltre, le condizioni detentive, inclusi uno spazio pro capite superiore a 3 mq e una valutazione complessiva positiva, non superavano la soglia di sofferenza richiesta per configurare un trattamento contrario all’art. 3 CEDU. Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese e di un’ammenda.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Risarcimento Detenzione Inumana: Non Basta un Generico Reclamo

Il tema del risarcimento detenzione inumana è un argomento di cruciale importanza nel nostro ordinamento, poiché tocca i diritti fondamentali della persona anche in stato di privazione della libertà. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti essenziali sui presupposti necessari per ottenere tale compensazione, sottolineando che non ogni disagio è risarcibile e che i ricorsi devono essere specifici e puntuali. Analizziamo insieme questa decisione per capire i criteri applicati dai giudici.

I Fatti del Caso

Un detenuto aveva presentato un reclamo per ottenere un risarcimento ai sensi dell’art. 35-ter dell’ordinamento penitenziario, sostenendo di aver subito un trattamento contrario all’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) durante la sua permanenza in un istituto penitenziario. La sua richiesta era stata respinta prima dal Magistrato di Sorveglianza e poi, in sede di reclamo, dal Tribunale di Sorveglianza.

Il Tribunale aveva motivato il rigetto evidenziando che le condizioni detentive non integravano una violazione dell’art. 3 CEDU. In particolare, lo spazio a disposizione del detenuto (spazio pro capite) era sempre stato superiore alla soglia minima di 3 metri quadrati. Inoltre, una valutazione complessiva delle condizioni strutturali, logistiche e del regime trattamentale, basata sulle informative della direzione del carcere, non aveva rivelato criticità tali da configurare un trattamento inumano o degradante. Contro questa decisione, il detenuto ha proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della richiesta, ma la blocca a un livello preliminare per motivi procedurali e di sostanza. La conseguenza per il ricorrente è stata la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, a causa della sua colpa nel presentare un ricorso palesemente infondato.

Le motivazioni del mancato risarcimento per detenzione inumana

Le motivazioni della Corte si articolano su due punti fondamentali che ogni difensore e cittadino dovrebbe conoscere.

1. Il Principio di Specificità del Ricorso

Il primo motivo di inammissibilità risiede nella genericità dell’impugnazione. La Corte ha osservato che il ricorso si limitava a “reiterare pedissequamente le medesime argomentazioni già dedotte in sede di reclamo”. In altre parole, il detenuto non aveva mosso critiche specifiche al ragionamento logico-giuridico del Tribunale di Sorveglianza, ma aveva semplicemente ripresentato le sue lamentele. In sede di legittimità, non è sufficiente lamentarsi, ma è necessario spiegare perché la decisione impugnata è sbagliata dal punto di vista legale.

2. La Soglia della Sofferenza Rilevante

Il secondo e più sostanziale punto riguarda la definizione stessa di “trattamento inumano”. La Cassazione, richiamando la propria giurisprudenza consolidata, ha ribadito un principio chiave: non ogni violazione o disagio patito in carcere dà automaticamente diritto al rimedio compensativo. È necessario che la sofferenza superi una certa soglia.

Il trattamento contrario all’art. 3 CEDU si configura solo quando le condizioni sono idonee a provocare “uno sconforto e un’afflizione di intensità tale da eccedere l’inevitabile sofferenza legata alla detenzione“. Lo stato di detenzione comporta, per sua natura, un grado di sofferenza che è considerato “inevitabile”. Il risarcimento scatta solo quando si va oltre questo limite, entrando in una dimensione di umiliazione e degrado della dignità umana.

Nel caso specifico, la valutazione complessiva delle condizioni, inclusi lo spazio disponibile e il regime trattamentale, non ha permesso di riscontrare quel “quid pluris” di afflizione necessario per giustificare il risarcimento.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre due lezioni pratiche di grande importanza. In primo luogo, per ottenere un risarcimento per detenzione inumana, non è sufficiente lamentare disagi generici, ma è indispensabile dimostrare che le condizioni hanno causato una sofferenza superiore a quella intrinseca nello stato detentivo. In secondo luogo, qualsiasi impugnazione contro una decisione negativa deve essere specifica e mirata a criticare le motivazioni del giudice, pena l’inammissibilità del ricorso. La semplice riproposizione delle proprie lamentele si rivela una strategia processuale perdente, che può comportare anche la condanna al pagamento di ulteriori somme.

Avere a disposizione più di 3 metri quadrati in cella esclude automaticamente il diritto al risarcimento?
No, non automaticamente. Sebbene il rispetto dello spazio pro capite minimo sia un elemento cruciale, la valutazione del giudice deve essere ‘complessiva’, tenendo conto anche di altri fattori come le condizioni strutturali, logistiche e il regime trattamentale effettivo. Tuttavia, il superamento di questa soglia rende molto più difficile dimostrare l’esistenza di un trattamento inumano.

Per quale motivo principale il ricorso del detenuto è stato dichiarato inammissibile dalla Cassazione?
Il motivo principale è stata la ‘aspecificità’ del ricorso. Il ricorrente si è limitato a ripetere le stesse argomentazioni già presentate al Tribunale di Sorveglianza, senza contestare in modo puntuale e specifico il ragionamento giuridico espresso nell’ordinanza impugnata. Un ricorso in Cassazione deve attaccare gli errori di diritto della decisione precedente, non solo ripresentare i fatti.

Qualsiasi disagio o sofferenza in carcere dà diritto a un risarcimento per detenzione inumana?
No. Secondo la Corte, solo le violazioni che provocano ‘uno sconforto e un’afflizione di intensità tale da eccedere l’inevitabile sofferenza legata alla detenzione’ possono fondare una richiesta di risarcimento. Non ogni violazione o disagio, quindi, supera la soglia richiesta per essere considerato un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’art. 3 CEDU.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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