Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 19567 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 19567 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Pescasseroli il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/01/2023 della Corte appello di L’Aquila visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
sentito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso;
sentito il difensore, AVV_NOTAIO COGNOME, quale sostituto dell’AVV_NOTAIO, difensore della parte civile NOME COGNOME, che si riporta alle conclusioni già depositate e chiede l’inammissibilità del ricorso;
sentito il difensore di fiducia di COGNOME, AVV_NOTAIO, che insiste nei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME, per il tramite del difensore, ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di L’Aquila che, in parziale riforma della sentenza del 6 luglio 2020 del Tribunale di Sulmona – che per quel che in questa sede rileva aveva condannato il COGNOME alla pena di euro 200 di multa -, ha assolto il
medesimo dal reato di cui all’art. 392 cod. pen. in quanto non punibile ex art. 131-bis cod. pen., con conferma nel resto della decisione impugnata e la condanna dell’imputato a rifondere alla parte civile costituita le spese del grado.
Il ricorrente è accusato, al fine di esercitare il preteso diritto di proprie sulla corte di pertinenza dell’immobile di proprietà di NOME COGNOME, pur potendo ricorrere al giudice, di essersi fatto giustizia da sé mediante violenza sulle cose consistita nell’apporre una porta in ferro con lucchetto, così da impedire al NOME di accedere al proprio immobile.
2. Il ricorrente ha formulato tre motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo deduce vizi di motivazione nella parte della decisione che ha confermato la condanna al risarcimento senza che fossero indicati gli elementi su cui fonda l’an ed il quantum della relativa liquidazione.
2.2. Con il secondo motivo si deducono violazioni degli artt. 1226, 2056 e 2059 cod. civ., 185 cod. pen. in relazione all’art. 131-bis cod. pen. nella parte in cui la Corte di appello non ha esplicitato quali fossero i criteri di valutazion adottati per la liquidazione del danno.
2.3. Con il terzo motivo si deducono vizi di motivazione e violazione dell’art. 538 e 574, comma 4, cod. pen. con riferimento all’art. 131-bis cod. pen. nella parte in cui ha confermato le statuizioni civili nonostante il Tribunale avesse fondato la quantificazione della stessa su differenti parametri.
Il Tribunale aveva tenuto conto, al fine di poter correttamente quantificare il danno, dei presupposti di cui all’art. 133 cod. pen.; nonostante detta valutazione avesse subito una significativa modifica da parte della decisione di appello allorché la condotta è stata ritenuta di scarsa offensività ed applicata la causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen., la Corte distrettuale ha illogicamente confermato l’entità del risarcimento.
La valutazione in ordine alla gravità oggettiva della condotta ritenuta di particolare tenuità rende asimmetrici i giudizi che presiedono alla liquidazione in modo uguale di danni diversamente soppesati; la circostanza imponeva alla Corte di appello di rideterminare, d’ufficio, l’importo liquidato a titolo risarcimento del danno.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato limitatamente al terzo motivo, con la conseguente necessità di rilevare d’ufficio ex art. 129 cod. proc. pen. l’intervenuta prescrizione del delitto.
Indeducibili risultano il primo ed il secondo motivo, che rivolgono critiche alla parte della decisione che ha confermato le statuizioni civili.
Dette censure non risultano proposte in sede di gravame, ove è stato accolto il motivo in merito alla ritenuta causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen., esito che nessun effetto riverbera (con eccezione della sola parte della decisione che riguarda la quantificazione, su cui si argomenterà in seguito) sulla parte afferente all’an della condanna.
Fondato risulta, invece, il terzo motivo di ricorso (e parte del primo in cui si contesta il quantum del risarcimento), all’esito della differente valutazione operata dalla Corte di appello che, accogliendo il motivo di gravame con cui si richiedeva l’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., ha lasciato immutata, a fronte della diversa valutazione in ordine alla gravità del fatto rispetto a quella operata dal Tribunale, la quantificazione del risarcimento.
Questa Corte ha in più occasioni rilevato che la sentenza di appello che riconosce la sussistenza di una o più circostanze attenuanti, poiché si pronuncia sulla responsabilità penale dell’imputato e concorre a definirne la concreta configurazione, dispiega efficacia anche sulla quantificazione del risarcimento del danno che, pur in assenza di specifico gravame sul punto, in forza dell’effetto devolutivo ex art. 574, comma 4, cod. proc. pen., deve essere dalla Corte territoriale rideterminato rispetto a quello, deteriore, contenuto nella decisione di primo grado (Sez. 3, n. 36020 del 15/02/2017, R., Rv. 271180).
Analogo principio è stato ritenuto applicabile allorché la sentenza di appello, in parziale riforma di quella di primo grado, escluda la responsabilità in ordine ad uno o più reati contestati all’imputato (Sez. 6, n. 1611 del 26/11/2020, dep. 2021, S., Rv. 280583), così come in ipotesi di riqualificazione in appello nella fattispecie meno grave (Sez. 1, n. 34555 del 10/06/2022, Scaglione, non massimata).
I citati principi di diritto implicano, pertanto, che il diverso apprezzamento in ordine alla complessiva configurazione della responsabilità, sia che essa attenga al singolo fatto di reato, sia che afferisca alla coesistenza di plurime contestazioni che vengono meno o mutano anche in termini di differente qualificazione nel corso del processo, assume diretta valenza e si ripercuote sulla quantificazione dell’ammontare del risarcimento che pertanto dovrà, anche d’ufficio, essere ricalibrato.
Non sfugge a tale principio di diritto – precipitato di quello devolutivo ex art. 574, comma 4, cod. pen. in ipotesi di impugnazione dell’imputato per gli interessi civili – il caso in esame, in cui, a fronte di una valutazione operata da
Tribunale all’atto della quantificazione del danno (testualmente: “tenendo conto del lungo tempo trascorso dai fatti e del perseverare nella condotta da parte dell’imputato che, di fatto, in tutto il tempo ha negato l’accesso alla p.o. e la possibilità concreta di godere il bene”), veniva contrapposta altra e certamente differente valutazione che ha portato la Corte territoriale, seppure sotto il distinto aspetto della offensività, a riconoscere la causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen., fondata sulla tenuità dell’offesa (pag. 4 sentenza impugnata) che viene apprezzata anche con riferimento alla “modalità della condotta”.
La differente valutazione in chiave di scarsa offensività della condotta / cui perveniva la Corte territoriale allorché ha accolto il motivo di gravame con cui si richiedeva l’applicazione della causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen., avrebbe imposto, anche d’ufficio, la rivalutazione della quantificazione del risarcimento del danno in precedenza fondato su differenti parametri.
La conseguente corretta instaurazione del rapporto processuale consente a questa Corte di rilevare d’ufficio le cause di non punibilità di cui all’art. 12 comma 1, cod. proc. pen. che non comportino la necessità di accertamenti in fatto o di valutazioni di merito incompatibili con i limiti del giudizio di legitti (cfr. Sez. 1, n. 9288 del 20/01/2014, COGNOME, Rv. 259788, secondo cui, anche quanto sia impugnata una sentenza di patteggiamento, deve essere disposta la prescrizione del reato della sentenza, avverso la quale era stato proposto ricorso per cassazione, di cui erano da ritenersi ammissibili unicamente i motivi riferiti alle statuizioni sulle spese in favore della parte civile).
Nonostante la sentenza impugnata avesse riconosciuto al ricorrente la causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., la declaratoria di estinzione d reato per prescrizione prevale sull’esclusione della punibilità che, estinguendo il reato, costituisce un esito più favorevole per l’imputato rispetto alla seconda, che lascia inalterato l’illecito penale nella sua materialità storica e giuridica (Sez 1, n. 43700 del 28/09/2021, COGNOME, Rv. 282214; Sez. 3, n. 27055 del 26/05/2015, COGNOME, Rv. 263885).
5. Deve dichiararsi, allora, l’estinzione per prescrizione del reato che risulta intervenuta il 9 novembre 2023, data successiva alla sentenza di secondo grado, con annullamento senza rinvio della sentenza ai fini penali; deve invece disporsi l’annullamento con rinvio al Giudice civile competente per valore in grado d’appello ex art. 622 cod. proc. pen. della parte della decisione che ha confermato le statuizioni civili della sentenza di condanna in ordine al citato delitto, secondo quanto rilevato, supra, nel par. 3 del “considerato in diritto”.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, perché il reato è estinto per prescrizione.
Annulla, altresì la sentenza impugnata agli effetti civili con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Così deciso il 11/04/2024