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Risarcimento del danno: quando non basta a ridurre la pena

Un individuo, condannato per rapina aggravata, ha presentato ricorso in Cassazione sperando in una riduzione della pena. Il ricorso si basava sulla richiesta di riconoscere l’attenuante del risarcimento del danno, effettuato materialmente dal suo avvocato. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, sottolineando che, per essere valida, l’attenuante richiede una prova inequivocabile della volontà personale dell’imputato di risarcire, elemento non dimostrato nel caso specifico.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Risarcimento del danno: la volontà dell’imputato è decisiva

Il risarcimento del danno alla vittima di un reato è un gesto di grande importanza, che la legge incentiva prevedendo una specifica attenuante con conseguente riduzione della pena. Tuttavia, una recente sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito un punto fondamentale: non basta che il danno sia risarcito, è necessario che tale gesto promani direttamente dalla volontà dell’imputato. Vediamo insieme i dettagli di questa interessante pronuncia.

I fatti di causa

Il caso riguarda un uomo condannato in primo e secondo grado per il reato di rapina aggravata. Nonostante il riconoscimento delle attenuanti generiche e la riduzione per il rito abbreviato, la difesa decideva di ricorrere in Cassazione, lamentando due aspetti principali:

1. Il mancato riconoscimento dell’attenuante speciale del risarcimento del danno, nonostante il legale dell’imputato avesse provveduto a risarcire la persona offesa.
2. Una valutazione troppo severa nel concedere le attenuanti generiche, chiedendone l’applicazione nella massima estensione possibile.

La Corte d’Appello aveva confermato la decisione del primo giudice, ritenendo che il risarcimento effettuato dal difensore non potesse essere automaticamente attribuito alla volontà dell’imputato, che peraltro era rimasto assente durante il processo.

L’analisi della Cassazione sul risarcimento del danno

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo una spiegazione chiara e netta sulla natura dell’attenuante del risarcimento del danno. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: questa attenuante ha una natura “squisitamente soggettiva”.

Cosa significa? Significa che il suo riconoscimento non dipende solo dal dato oggettivo (l’avvenuto pagamento), ma soprattutto dall’aspetto psicologico e volontaristico dell’imputato. La legge vuole premiare non tanto l’atto materiale del risarcimento, quanto la condotta del colpevole che, dopo aver commesso il reato, dimostra di volerne eliminare le conseguenze dannose.

Di conseguenza, se il risarcimento viene effettuato da un terzo (come un familiare, un datore di lavoro o, come in questo caso, il difensore), non è sufficiente. È indispensabile provare che il terzo abbia agito su sollecitazione, d’accordo con l’imputato o come suo rappresentante, in modo che l’atto possa essere ricondotto alla “libera determinazione volitiva” di quest’ultimo.

Nel caso specifico, la difesa si è limitata ad affermare genericamente di aver agito in forza di un mandato, senza fornire elementi concreti da cui desumere la reale e personale volontà dell’assistito di compiere quel gesto riparatorio.

Le attenuanti generiche e la personalità dell’imputato

Anche il secondo motivo di ricorso è stato respinto. La difesa lamentava un’applicazione non sufficientemente generosa delle attenuanti generiche. La Cassazione ha però confermato la valutazione della Corte territoriale, la quale aveva giustificato la propria decisione richiamando i precedenti penali specifici dell’imputato e le pendenze giudiziarie per reati simili.

Questi elementi, secondo i giudici di merito, delineavano una “allarmante personalità” e una resistenza alle norme, rendendo ingiustificata una ulteriore riduzione della pena.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla necessità di interpretare l’articolo 62, n. 6 del codice penale in senso restrittivo e soggettivo. L’attenuante non è un mero automatismo legato al pagamento, ma uno strumento per valorizzare un effettivo ravvedimento post-delittuoso. La volontà di riparare il danno deve essere personale, genuina e dimostrata. Un semplice mandato professionale conferito al proprio avvocato, che include anche il potere di transigere, non è di per sé prova sufficiente a dimostrare questa volontà soggettiva. Per quanto riguarda le attenuanti generiche, la Corte ha ribadito che la valutazione del giudice di merito è insindacabile in Cassazione se, come in questo caso, è logicamente motivata e basata su elementi concreti, quali i precedenti penali e la personalità dell’imputato.

Le conclusioni

Questa sentenza offre un importante monito: per ottenere i benefici previsti dalla legge, non bastano le azioni, ma conta l’intenzione che le muove. Il risarcimento del danno rimane uno strumento fondamentale per mitigare le conseguenze del reato, ma deve essere espressione di una scelta personale e consapevole dell’imputato. Affidare semplicemente al proprio difensore il compito di pagare, senza manifestare in modo chiaro e documentabile la propria volontà, rischia di rendere il gesto inefficace ai fini della riduzione della pena. La decisione sottolinea come la condotta processuale e la personalità dell’imputato restino elementi centrali nella determinazione della sanzione penale.

Il risarcimento del danno pagato da una persona diversa dall’imputato (es. il difensore) vale per ottenere la riduzione della pena?
No, non automaticamente. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’attenuante del risarcimento del danno può essere riconosciuta solo se l’atto, pur compiuto materialmente da un terzo, è la conseguenza di una libera e volontaria determinazione dell’imputato.

Cosa deve dimostrare l’imputato perché il risarcimento effettuato da un terzo sia a lui attribuito?
L’imputato deve dimostrare che il terzo ha agito su sua specifica sollecitazione, d’accordo con lui o come suo rappresentante. Non è sufficiente un generico mandato professionale al difensore; serve la prova che l’iniziativa risarcitoria sia riconducibile alla personale volontà dell’imputato di riparare al danno causato.

Perché la Corte ha negato una maggiore riduzione per le attenuanti generiche?
La Corte ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito, i quali hanno negato la massima estensione delle attenuanti generiche sulla base dei precedenti penali specifici dell’imputato e delle pendenze giudiziarie per reati simili, elementi che indicavano una personalità incline a delinquere e resistente alle norme.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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