Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 30414 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 30414 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/06/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente sul ricorso proposto da:
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
L’avvocato COGNOME conclude chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso.
1.Con sentenza in data 9.7.2024, la Corte d’Appello di Roma ha confermato la sentenza del g.i.p. del Tribunale di Roma del 14.3.2019 che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato XXXXXXXXXXXXXXX, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, alla pena di tre anni di reclusione e 400 euro di multa per i reati di ricettazione, detenzione e porto di arma comune da sparo nonchØ di lesioni gravi ai danni di XXXXXXXXXXXXXXX, previa riqualificazione dell’originaria ipotesi di tentato omicidio.
Quanto, in particolare, al diniego dell’attenuante del risarcimento del danno – su cui si appunta l’unico motivo di ricorso per cassazione – , la Corte d’Appello concorda con la valutazione del giudice di primo grado, il quale ha rilevato in senso ostativo alla concessione della predetta attenuante la circostanza che la richiesta si fonda su una sola dichiarazione scritta della persona offesa di essere stata ristorata, senza che sia stato allegato in che modo e in che misura ciò sia avvenuto. Tanto non consente al giudice di valutare autonomamente la totale riparazione di ogni effetto dannoso e la corrispondenza tra transazione e danno.
Nel caso di specie, questa esigenza – scrivono i giudici di secondo grado – Ł ancora piø pressante perchØ la persona offesa, ‘evidentemente proveniente dalla medesima subcultura criminale dell’imputato, non ha mai denunciato il fatto, nØ ha contribuito alla ricostruzione del reato, mantenendo sempre un atteggiamento omertoso’.
A questo proposito, risulta dalla conforme sentenza di primo grado che XXXXXXX, sentito in ospedale dalla polizia giudiziaria, si era rifiutato di fornire notizie sulla dinamica del
– Relatore –
Sent. n. sez. 435/2025
UP – 13/06/2025
R.G.N. 12785/2025
fatto, nonostante conoscesse bene l’autore dell’aggressione ai suoi danni, come risultato da una conversazione telefonica intercettata e da una successiva dichiarazione a sua firma depositata dal difensore. Risulta, altresì, che anche la compagna di XXXXXXX, parlando con la madre dell’imputato in una conversazione intercettata, l’avesse tranquillizzata, assicurandole che il compagno non avrebbe dichiarato niente.
Di conseguenza, la dichiarazione della persona offesa – secondo la Corte d’Appello non Ł credibile in difetto di elementi che la supportino e l’eventuale risarcimento del danno sarebbe semplicemente un accordo transattivo avvenuto in ambiente criminale anzichØ una manifestazione di resipiscenza del reo.
2.Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso il difensore di XXXXXXXXXXXXXX, articolando un unico motivo, con il quale deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la carenza della motivazione in ordine al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 6), cod. pen.
La Corte d’Appello – rileva il ricorso – ha confermato la decisione del giudice di primo grado di negare il riconoscimento dell’attenuante del risarcimento del danno, osservando che la richiesta si fondava su una mera dichiarazione scritta dalla persona offesa di essere stata risarcita, senza che fosse stato allegato in che modo e in che misura ciò era avvenuto.
Questa motivazione trascura di considerare che la persona offesa il 4.7.2017 ha redatto e firmato di proprio pugno una dichiarazione di aver ricevuto a titolo di risarcimento la somma di 4.000 euro, piø ulteriori 1.000 euro da ricevere entro la fine dello stesso mese di luglio; con il medesimo atto, XXXXXXX dichiarava di ritenersi integralmente risarcito. In seguito, il 15.6.2024 la persona offesa firmava una ulteriore dichiarazione con cui ribadiva di aver ricevuto la somma complessiva di 5.000 euro a titolo di risarcimento, consegnata dal difensore dell’imputato al suo difensore di fiducia, manifestando al contempo la disponibilità a confermare quanto contenuto nell’atto dinanzi all’autorità giudiziaria.
Questo vuol dire che, al contrario di quanto ritenuto nella sentenza, sono stati allegati gli atti da cui emergono le modalità di consegna del denaro.
Inoltre, la Corte di Appello ha rigettato la richiesta anche sulla base della considerazione che si trattasse di un accordo transattivo avvenuto in ambiente criminale e non di una manifestazione di resipiscenza del reo.
Ma, al riguardo, i giudici di secondo grado non hanno fornito alcuna indicazione circa la ipotizzata provenienza della persona offesa da ambiente criminale, desumendola soltanto dal fatto che XXXXXXX non abbia denunciato il fatto. Peraltro, secondo il ragionamento di cui alla sentenza non si comprende con quale altra modalità avrebbe potuto l’imputato risarcire il danno arrecato alla persona offesa.
La sentenza indica quale motivo di esclusione dell’attenuante l’assenza di resipiscenza del reo, ma anche questa affermazione non trova alcun fondamento logico perchØ omette di considerare che XXXXX, appena resosi conto delle conseguenze della sua condotta, si Ł spontaneamente presentato in carcere, rendendo dichiarazioni auto incriminanti per le quali Ł stato sottoposto alla misura della custodia carceraria e procedendo dopo circa cinque mesi dal fatto al risarcimento.
Quindi, la motivazione della Corte d’Appello non consente di comprendere le ragioni del diniego.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per le ragioni di seguito esposte.
Le conformi sentenze di merito non sindacano sostanzialmente la congruità del risarcimento del danno che la persona offesa avrebbe ricevuto dall’imputato, bensì prima
ancora la sua veridicità sotto il profilo storico.
Per quanto risulta dalle pronunce di primo e secondo grado, i dubbi espressi in proposito attengono, per un verso, al fatto che da subito la persona offesa sia stata reticente in ordine alla ricostruzione dell’accaduto e che i suoi familiari abbiano rassicurato quelli dell’imputato che XXXXXXX non avrebbe parlato; per l’altro, si stigmatizza che le dichiarazioni documentali della persona offesa che avrebbero dovuto comprovare la circostanza dell’avvenuto risarcimento siano generiche, in quanto prive di indicazioni sulle modalità del pagamento e, comunque, di elementi di supporto.
A proposito di questo secondo profilo, il collegio, a fronte dei motivi del ricorso che rivendica invece la trasparenza dell’iniziativa risarcitoria, deve innanzitutto prendere in considerazione i documenti allegati a fini di autosufficienza, costituiti da due dichiarazioni a firma di XXXXXXXXXXXXXXX, che comproverebbero la ricezione da parte di costui di una somma a titolo di risarcimento integralmente satisfattiva del danno subito.
A questo riguardo, non si può non rilevare, a maggior ragione se si tiene conto della specifica motivazione della sentenza impugnata, che:
la dichiarazione recante la data del 4.7.2017 risulta sottoscritta da persona che a rigore non Ł stata formalmente identificata, perchØ l’autentica in calce alla sua firma Ł stata apposta da mano ignota, in modo da non rendere possibile l’individuazione nØ della persona che l’ha eseguita, nØ della funzione nell’esercizio della quale l’ha eseguita (la sottoscrizione per autentica Ł illeggibile e priva di qualunque indicazione della qualifica di chi l’ha apposta);
la dichiarazione recante la data del 15.6.2024 presenta una apparente sottoscrizione di XXXXXXXXXXXXXXX, che però, in disparte ogni valutazione sulla conformità a quella apposta in calce alla dichiarazione del 2017, non Ł nemmeno autenticata;
entrambe le dichiarazioni fanno riferimento ad un presunto intervento dei difensori dell’imputato e della persona offesa nella consegna e nella ricezione della somma di denaro (evidentemente recapitata in contanti, perchØ nemmeno le modalità del pagamento sono precisate), ma nessuna delle dichiarazioni contiene una indicazione nominativa dei due avvocati.
Di conseguenza, le dichiarazioni in questione sono insuscettibili di qualsivoglia verifica sia sulla provenienza dei documenti stessi, sia sulla effettività delle circostanze in esso riferite a causa della impossibilità di risalire all’identità dei soggetti complessivamente coinvolti e alle modalità del presunto risarcimento, con la conseguenza che esse non riescono a scardinare la logicità delle argomentazioni sviluppate dai giudici di merito.
In questo quadro già di per sØ problematico, non v’Ł dubbio, allora, che anche le riserve ulteriormente esplicitate dalla Corte d’Appello e dal g.i.p. circa la credibilità del risarcimento e la sua attitudine a essere inteso come manifestazione di resipiscenza dell’imputato risultino del tutto ragionevoli.
Sotto questo profilo, la sentenza impugnata, dopo avere adeguatamente rilevato la reticenza della persona offesa nella fase investigativa e la sua provenienza ‘dalla medesima sub cultura criminale’ dell’imputato (desumendola evidentemente, piuttosto che dal casellario, dall’atteggiamento omertoso suo e dei suoi cari, particolarmente impegnati a rassicurare i familiari di XXXXX circa il suo scrupoloso rispetto della consegna del silenzio), considera in maniera nient’affatto illogica il risarcimento alla stregua di un accordo transattivo (reale o fittizio quanto al contenuto, poco rileva a questo punto) che in nulla può essere ritenuto sintomo di resipiscenza del reo e che assume piuttosto i profili di un accomodamento della vicenda al fine di assicurare all’imputato un piø benevolo trattamento sanzionatorio.
Acquisita la prova che XXXXXXX si era predisposto a non riferire alcunchØ di utile alle indagini e che le due famiglie brigavano per mettersi d’accordo, la affermazione secondo cui il risarcimento sia il frutto di questo compromesso per limitare le conseguenze dell’accaduto e venirsi vicendevolmente incontro, anzichØ di una reale volontà di riparazione, Ł certamente plausibile e legittima la conclusione che nella vicenda non c’Ł effettiva emenda del reo, di guisa che il fatto non può considerarsi sintomo di minore pericolosità sociale.
In questo modo, i giudici di appello hanno fatto corretta applicazione del principio secondo cui, ai fini del riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62, comma primo, n. 6), cod. pen., la quietanza integralmente liberatoria rilasciata dalla parte offesa non Ł “ex se” vincolante, essendo rimesso al sindacato del giudice l’apprezzamento dell’avvenuto ravvedimento del reo e della neutralizzazione della sua pericolosità sociale, che l’integrale risarcimento del danno implica (Sez. 5, n. 116 dell’8/10/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282424 – 01). In questa prospettiva, pertanto, il giudice può anche disattendere, con adeguata motivazione, ogni dichiarazione satisfattiva resa dalla parte lesa (Sez. 2, n. 51192 del 13/11/2019, C., Rv. 278368 – 02; Sez. 2, n. 53023 del 23/11/2016, Casti, Rv. 268714 – 01).
In definitiva, dunque, la sentenza impugnata trae anche dalla mancata dimostrazione delle modalità dei pagamenti la non irragionevole conclusione, nel contesto criminale in cui la vicenda si Ł consumata, che il pagamento, ove anche fosse effettivamente avvenuto, non sia indice di resipiscenza.
Il ricorso ambisce a confutare la motivazione della Corte d’Appello per il tramite della pedissequa riproposizione della questione già dichiarata infondata, senza tuttavia arrivare a confutare espressamente le ragioni posti alla base della decisione di secondo grado.
Nessun elemento idoneo a chiarire le modalità del risarcimento completa le generiche doglianze del ricorrente, che si limita a evidenziare nuovamente l’argomento della duplice dichiarazione della persona offesa, ma senza affatto superare le riserve formulate dai giudici di merito circa le concrete modalità del risarcimento e senza fornire alcuna dimostrazione della affermata, ma non comprovata, ricezione da parte della persona offesa stessa di una somma di denaro a titolo di ristoro dei danni.
Di conseguenza, il ricorso Ł privo della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste concretamente a fondamento dell’impugnazione.
Alla luce di quanto fin qui osservato, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e di una somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Si deve disporre, inoltre, che, in caso di diffusione del presente provvedimento, vengano omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. n. 196/03, in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. IN CASO DI DIFFUSIONE DEL PRESENTE PROVVEDIMENTO OMETTERE LE GENERALITA’ E GLI ALTRI DATI IDENTIFICATIVI A NORMA DELL’ART. 52 D.LGS. 196/03 E SS.MM.
Così Ł deciso, 13/06/2025