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Risarcimento del danno: illegittimo se non si valuta

La Corte di Cassazione ha annullato una prescrizione imposta da un Tribunale di sorveglianza che subordinava l’affidamento in prova al servizio sociale all’integrale risarcimento del danno alle vittime. La Corte ha stabilito che tale obbligo è illegittimo se non viene prima valutata la concreta capacità economica del condannato e se prevede la revoca automatica della misura in caso di inadempimento.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in prova e risarcimento del danno: la Cassazione fissa i paletti

L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta un pilastro del sistema penitenziario, orientato alla rieducazione del condannato. Tuttavia, le condizioni imposte non possono essere arbitrarie o impossibili da rispettare. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 30246/2025, interviene su un tema cruciale: l’obbligo di risarcimento del danno come condizione per la misura alternativa. La Corte ha chiarito che tale obbligo è illegittimo se imposto in modo automatico, senza una valutazione preliminare della capacità economica del condannato.

I Fatti del Caso

Il Tribunale di sorveglianza di Torino aveva concesso a un condannato l’affidamento in prova al servizio sociale. Tra le varie prescrizioni, ne aveva inserita una particolarmente gravosa: l’obbligo di risarcire integralmente il danno subito dalle parti offese, due società fallite. In caso di inadempimento, la misura alternativa sarebbe stata automaticamente revocata. Inoltre, il Tribunale aveva imposto il pagamento di pene pecuniarie e spese di giustizia relative anche ad altri procedimenti penali.
Il condannato, tramite il suo legale, ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo la violazione di legge e l’illogicità della motivazione. Secondo la difesa, il risarcimento non è un requisito indispensabile per l’ammissione al beneficio e, in ogni caso, il giudice avrebbe dovuto valutare la sua effettiva capacità economica prima di imporre una condizione così rigida.

Il Principio della Cassazione sul Risarcimento del Danno

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, basando la sua decisione su principi consolidati. L’articolo 47 dell’Ordinamento Penitenziario prevede che al condannato possa essere prescritto di adoperarsi “in quanto possibile” a favore della vittima, anche attraverso il risarcimento del danno. La clausola “in quanto possibile” è fondamentale: essa ancora l’obbligo risarcitorio al principio di esigibilità. In altre parole, non si può pretendere l’impossibile (ad impossibilia nemo tenetur).
Imporre un obbligo di risarcimento senza verificare se il condannato abbia le risorse economiche per farvi fronte trasforma una misura rieducativa in una sanzione sproporzionata. La revoca automatica, inoltre, svuota di significato il percorso di reinserimento sociale.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha ribadito che è illegittima un’ordinanza che subordina l’affidamento in prova all’adempimento di un obbligo risarcitorio senza:
1. Commisurare l’obbligo alle concrete condizioni economiche del reo.
2. Evitare automatismi, prevedendo una revoca automatica in caso di mancato pagamento.

Nel caso specifico, il Tribunale di sorveglianza non aveva svolto alcuna indagine sulla capacità patrimoniale del condannato, collegando in modo diretto e automatico la violazione della prescrizione alla revoca del beneficio. Questo approccio è stato giudicato contrario alla legge e alla funzione rieducativa della pena, sancita dall’art. 27 della Costituzione.
Inoltre, la Corte ha rilevato come il Tribunale avesse imposto un’ulteriore prescrizione non prevista dalla legge: quella di pagare pene pecuniarie e spese di giustizia relative a procedimenti penali diversi da quello per cui si procedeva. Anche questa condizione è stata ritenuta illegittima.

Le Conclusioni

La sentenza in esame rafforza un principio di civiltà giuridica: le misure alternative alla detenzione devono essere concrete e funzionali al reinserimento sociale. L’obbligo di risarcimento del danno, pur essendo un elemento importante del percorso riparativo, non può diventare una barriera insormontabile per chi non ha le possibilità economiche. La decisione del giudice deve sempre essere personalizzata e basata su una valutazione attenta della situazione reale del condannato, evitando automatismi che contraddicono lo spirito della legge.

È possibile subordinare l’affidamento in prova al risarcimento integrale del danno?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che è illegittimo imporre tale obbligo senza aver prima valutato le concrete condizioni economiche del condannato e prevedendo una revoca automatica della misura in caso di inadempimento.

Cosa significa la clausola “in quanto possibile” citata nella sentenza?
Significa che l’obbligo del condannato di adoperarsi in favore della vittima, anche tramite il risarcimento, è strettamente legato alla sua reale capacità economica. Si basa sul principio giuridico secondo cui nessuno può essere obbligato a fare cose impossibili.

Può il giudice dell’esecuzione imporre, come prescrizione per l’affidamento, il pagamento di multe o spese legali relative ad altri procedimenti penali?
No, la sentenza chiarisce che si tratta di una prescrizione non prevista dalla legge e, pertanto, illegittima.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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