Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 33877 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 33877 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/10/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato a LATINA il DATA_NASCITA NOME COGNOME nato in INDIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/02/2025 della Corte d’appello di Roma Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Lette le conclusioni scritte per l’udienza camerale ex art. 611 c.p.p., non avendo le parti chiesto la trattazione in pubblica udienza, del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza con cui il Gup del Tribunale di Latina il 23 novembre 2021, all’esito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato gli odierni ricorrenti COGNOME NOME e NOME colpevoli del reato di cui all’art. 603 bis , comma 1 n. 2 e comma 2 cod. pen. commesso in Sabaudia (LT) dal marzo 2018 al 10/10/2019 loro ascritto rispettivamente ai capi 1) e 3) della rubrica, ritenuto per il COGNOME nello stesso assorbito il reato dl cui all’art. 81, comma 2, 56, 610, comma 2, cod. pen. commesso in Sabaudia (LT) il 10/10/2019 di cui al capo 2) e riconosciuta per entrambi l’equivalenza delle circostanze attenuanti generiche con l’aggravante speciale ex art. 603 bis comma. 2 cod. pen., nonché applicata la riduzione per il rito, aveva condannato COGNOME NOME alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione ed euro 1.000 di multa e NOME COGNOME NOME alla pena di anno uno e mesi otto di reclusione ed euro 1000 dl multa, oltre ai pagamento delle spese dl custodia cautelare in carcere e processuali per entrambi.
Avverso tale provvedimento hanno proposto ricorso per Cassazione entrambi gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, deducendo i motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, co . 1, disp. att., cod. proc. pen.
NOME NOME propone un primo ricorso a mezzo dell’AVV_NOTAIO con due motivi.
Con il primo denuncia violazione dell’art. 62 n. 6 cod. pen. e vizio di motivazione laddove entrambi i giudici di merito hanno negato il riconoscimento della circostanza attenuante del risarcimento del danno.
In ricorso si ripercorre, allegando in copia tutti gli atti menzionati, l’iter che ha caratterizzato l’avvenuto risarcimento del danno in favore di tre delle quattro persone offese. Si ricorda che, in data 9 gennaio 2020 veniva notificata, tramite ufficiale giudiziario, a tutte le persone offese una proposta di risarcimento del danno per conto dell’imputato con allegati assegni circolari dell’importo di 2.000 euro ciascuno.
In data 27 febbraio 2020, dinanzi al Gip presso il Tribunale di Latina, si celebrava l’ udienza per l’assunzione, nelle forme dell’incidente probatorio, delle testimonianze delle persone offese.
Il Pubblico Ministero motivava la richiesta di procedere ex art. 392 cod. proc. pen. con la necessità di tener conto che le persone offese sono cittadini indiani presenti da tempo sul territorio italiano, ma privi di radicamento e stabile impiego
lavorativo, vivendo gli stessi di lavoro stagionale, con la conseguenza che vi è fondato motivo di ritenere che gli stessi potrebbero allontanarsi dal territorio italiano per tornare in India, ed in tal caso non potranno essere esaminati in dibattimento o si renderebbero irreperibili. Il Giudice per le indagini preliminari, ritenuta la fondatezza della richiesta, in accoglimento della stessa, fissava l’udienza del giorno 27 febbraio 2020 per procedere all’assunzione delle testimonianze richieste dal Pubblico Ministero. E nel corso dell’udienza ex art. 401 cod. proc. pen., all’esito dell’escussione di ognuna delle persone offese, veniva richiesto se vi era la volontà di accettare la somma proposta quale risarcimento danni e dinanzi al giudice le stesse accettavano.
Per il ricorrente, la dichiarazione di accettazione resa dinanzi il giudice, con conseguente ritiro degli assegni da parte delle persone offese, costituisce atto negoziale satisfattivo in quanto tale idoneo a provare l’avvenuto soddisfacimento delle pretese avanzate dagli stessi.
Ci si duole, tuttavia, che il giudice di primo grado, nel trattare alle pagine 10 e 11 della propria sentenza il tema della circostanza attenuante del risarcimento del danno, anziché prendere atto dell’intervenuto accordo tra le parti, abbia ritenuto testualmente la stessa ‘ esigua ‘ rispetto alla gravità dei fatti commessi, sul rilievo che il risarcimento deve essere integrale, ossia comprensivo della totale riparazione di ogni effetto dannoso e che la valutazione in ordine alla corrispondenza tra transazione e danno spetta al giudice, che può anche disattendere la richiesta della circostanza attenuante con adeguata motivazione pur in presenza di una dichiarazione satisfattiva resa dalla parte lesa.
Si lamenta, in particolare, che il giudice di primo grado, nonostante espressamente indicato, non abbia valutato che l’importo devoluto risultava essere: quanto ad 800 euro la somma dovuta a titolo di remunerazione per l’attività svolta, quanto ai restanti 1.200 euro il risarcimento dei danni subiti dalle parti lese. E che lo stesso avrebbe dovuto fornire adeguata motivazione in ordine a tale diniego, tenuto conto della presenza di una dichiarazione satisfattiva della parte lesa, non potendo limitarsi a ritenerne la esiguità. Al contrario, si ritiene che dovesse indicare dettagliatamente – avendo testualmente ricordato che spetta al giudice la valutazione di tale congruità – gli elementi che rendevano la stessa non satisfattiva e soprattutto quali danni risultavano essere stati non valutati.
Ci si duole anche che i giudici del gravame del merito, anziché confrontarsi con le doglianze contenute nell’atto di appello, non abbiano in alcun modo colmato il vuoto motivazionale che caratterizzava la sentenza di primo grado essendosi limitati a ritenere la statuizione corretta e condivisibile.
Per il ricorrente appare arduo, se non impossibile, comprendere il richiamo, immotivatamente contenuto a pagina 9 della sentenza, ad una pronuncia della
giurisprudenza di legittimità relativa ad un caso assolutamente diverso, trattandosi in quel caso di tutela di parti deboli che potrebbero essere state indotte ad accettare un risarcimento insufficiente sulla base di indebite pressioni ricevute in sede extraprocessuale.
Sarebbe evidente -secondo la tesi proposta in ricorso – come tale richiamo si porrebbe in evidente contrasto con la vicenda oggetto del presente procedimento, nella quale la Corte territoriale non ha valutato che non vi è prova alcuna di pressioni ricevute in tal senso dalle persone offese, come desumibile dal contenuto della richiesta di incidente probatorio avanzata dal Pubblico Ministero, in cui il riferimento è al probabile allontanamento dal territorio nazionale della persone offese; ancora non avrebbe valutato la Corte di Appello che l’accettazione delle somme è avvenuta dopo che le persone offese, dinanzi il Gip presso il Tribunale di Latina, hanno ripercorso tutto quanto accaduto senza timore alcuno, e comunque banco iudicis , elementi tutti che escluderebbero la ricorrenza di un ‘ identità di situazione rispetto alla pronuncia richiamata dalla Corte.
Si assume essere di tutta evidenza che, nel caso in esame, sussistono entrambe le denunciate violazioni, sia quanto alla mancata concessione della circostanza attenuante nonostante il risarcimento risultasse essere omnicomprensivo di tutti i danni, sia quanto alla omessa motivazione; sì richiamano sul punto le pronunce di legittimità in cui è ribadito che il giudice è tenuto a motivare specificamente sulle ragioni per cui ritenga la dichiarazione inadeguata e il risarcimento, operato dall’imputato, comunque insufficiente (Sez. 6, n. 25264 del 12/05/2015, Rv. 263812 – 01; Sez. 5, n. 26388 del 20/03/2013, Rv. 256322 – 01; Sez. 2, n. 202 del 10/02/1965, Rv. 99585, secondo cui, agli effetti dell’art. 62 n. 6 cod. pen., la sufficienza della somma spontaneamente pagata dal colpevole per il risarcimento del danno morale cagionato dal reato alla persona offesa non può essere esclusa con una valutazione affatto sommaria, basata sulla semplice considerazione della esiguità della stessa somma essendo il giudice tenuto ad accertare la gravità del patema d’animo subito dall’offeso e le ripercussioni del fatto lesivo nell’ambito della vita familiare e della vita di relazione del medesimo).
Infine, quanto al rifiuto di una delle persone offese, richiamato in entrambe le sentenze, si rileva come anche su tale aspetto entrambi i giudici di merito non abbiano correttamente applicato il principio, ormai consolidato nella giurisprudenza, secondo cui nel caso in cui la persona offesa dal reato non abbia voluto accettare il risarcimento, per la configurabilità dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. è necessario e sufficiente che il colpevole abbia fatto offerta reale dell’indennizzo nei modi stabiliti dagli artt. 1209 e segg. del codice civile, cioè che questa sia seguita dal relativo deposito o da atto equipollente, sicché la somma
sia a completa disposizione della persona offesa e successivamente il giudice potrà così valutarne anche l’adeguatezza e la tempestività.
Si sostiene che, sostanzialmente, sarebbe quanto avvenuto nel presente procedimento tenuto conto che l’offerta è stata fatta alle persone offese tramite ufficiale giudiziario con allegato assegno circolare e che la stessa è stata riproposta dinanzi il giudice con immediata consegna degli assegni circolari intestati ad ognuna delle parti lese.
Con il secondo motivo si lamentano violazione di legge e vizio motivazionale in ordine alla eccessività della sanzione inflitta ed al mancato riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena nonostante la presenza di elementi secondo il ricorrente idonei a giustificare l’applicazione di una pena più mite contenuta entro il limite di anni due di reclusione.
Nello specifico si ricorda che erano stati evidenziati alla Corte territoriale, affinché operasse un attento esame sul punto, il comportamento serbato dal COGNOME, sia nell’immediatezza che successivamente, l’essersi adoperato per riparare le conseguenze del reato, l’essersi determinato alla richiesta di interrogatorio pur non avendo conoscenza degli atti di indagine, la scelta di rito, l’intensità del dolo, lo stato di incensuratezza, da intendersi non solo quale mancanza di precedenti condanne, ma altresì quale insussistenza di carichi pendenti a dimostrazione di come l’illecito oggetto del procedimento si ponga in rapporto di specialità rispetto ad una esistenza connotata dall’osservanza delle leggi.
Gli elementi sopra indicati, in particolare la corretta condotta processuale, il risarcimento del danno e la condizione di incensuratezza, che permane a distanza di sei anni dal fatto (l’illecito risale all’anno 2019 il giudizio di appello si è svolto nell’anno 2025), rendevano ad avviso del difensore certa la formulazione di una prognosi positiva di astensione dalla commissione di ulteriori reati, essendo evidente l’unicità del reato.
Per contro, la Corte territoriale, così come il giudice di primo grado, non avrebbe fornito giustificazione alcuna sul punto risolvendo in poche righe la valutazione di congruità della sanzione immotivatamente applicata nel precedente grado di giudizio.
Sarebbe di tutta evidenza come entrambi i giudici di merito non si siano adeguatamente confrontati con il materiale investigativo in atti, la cui attenta disamina e valutazione avrebbe condotto ad applicare al Sig. COGNOME una pena più mite.
Né risulta essere stato valutato -si lamenta- come l’imputato, stante il deposito della sentenza in data 23 novembre 2021, pertanto, ante riforma, non abbia
potuto beneficiare della diminuzione della pena in caso di rinuncia all’impugnazione, ovvero, tenuto conto della condanna inflittagli pari ad anni due mesi quattro di reclusione, la diminuzione di un sesto della pena.
NOME COGNOME propone poi altri tre motivi di ricorso a mezzo dell’AVV_NOTAIO che, con separato atto, testualmente sovrapponibile, propone i medesimi motivi di ricorso anche per NOME COGNOME.
Con il primo motivo, rubricato ‘violazione ex art. 606 lettera d cod. proc. pen.’ il difensore ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto ininfluente ai fini del decidere la richiesta della difesa di essere autorizzata alla visione dell’arma in sequestro per verificare se la stessa presentasse effettivamente i segni di colpi inferti al veicoli. Su tale vulnus . che per il ricorrente sicuramente avrebbe inficiato l’intero impianto motivazionale la Corte di Appello di Roma non avrebbe motivato adeguatamente nonostante per la difesa costituisse una prova decisiva.
Con il secondo motivo si denunciano mancanza contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa.
In ricorso si legge testualmente, in relazione a tale motivo che: «Il costrutto motivazionale reso dal giudice di secondo grado non ha colmato quel vulnus già presente nel procedimento di primo grado. Si tratta del tema riguardante l’attendibilità della parte offese, elemento che da solo ha fondato la responsabilità penale dell’odierno imputato e che, secondo il difensore ricorrente, non è stato affrontato dai giudici di appello che non avrebbero fatto altro che ribadire il solco tracciato dal primo giudice, senza in alcun modo condurre un’indagine più aderente al piano fattuale. L’indagine motivazionale sul punto difetterebbe di sufficienza circa le dichiarazioni delle parti offese definite “coerenti, chiare e genuine” senza darne contezza in punto di fatto e in punto di diritto».
Con il terzo motivo si lamenta violazione dell’art. 133 cod. pen. in relazione al mancato riconoscimento della circostanza attenuante del risarcimento del danno. La Corte di appello di Roma -ci si duole- ha considerato la modestia del risarcimento del danno operato dal ricorrente di ostacolo rispetto al riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. ma si sarebbe sottratta a un giudizio di proporzionalità e adeguatezza. E ciò non può trovare giustificazione alcuna ancora che si consideri che la globale valutazione del fatto, così come emersa all’esito delle risultanze acquisite al fascicolo del procedimento doveva necessariamente trovare riscontro nel calcolo della sanzione da irrogare in termini prossimi ai minimi edittale stante le modalità del fatto. Il difensore ricorrente insiste sull’ incensuratezza dell’imputato.
I ricorrenti chiedono , pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
Il PG presso questa Corte ha reso le conclusioni scritte riportate in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi sopra richiamati sono manifestamente infondati, in quanto assolutamente privi di specificità in tutte le loro articolazioni e del tutto assertivi.
Gli stessi, in particolare, non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito e non sono scanditi da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata
Ne deriva che i proposti ricorsi vanno dichiarato inammissibili.
I ricorrenti, in concreto, non si confrontano adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune da vizi di legittimità.
In premessa, per quanto attiene ai motivi di ricorso proposti dall’AVV_NOTAIO per entrambi i ricorrenti, va rilevato che gli stessi sono inammissibili in quanto del tutto generici, privi della puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il ricorso e dei correlati congrui riferimenti alla motivazione dell’atto impugnato, in cui, in particolare alle pagg. 6-8, la Corte capitolina ha dato atto delle tante prove che hanno portato a delineare, in danno dei lavoratori di cui all’imputazion e «un quadro di estremo degrado esistenziale e lavorativo, con violazioni tanto gravi dei diritti fondamentali della persona e del lavoratore che appaiono insuscettibili, per la loro gravità, di trovare adeguata tutela dinanzi al giudice del lavoro, trattandosi dl una complessiva situazione in cui oltre al diritti sindacali dei lavoratori era a rischio finanche la stessa incolumità fisica del braccianti» (pag. 8).
In tale quadro, peraltro, con motivazione logica e congrua, la Corte territoriale ha dato atto che: «Per ciò che attiene alla presunta lesione del diritto dl difesa che sarebbe derivata dall’impossibilità di esaminare l’arma asseritamente utilizzata per danneggiare il furgone da parte del prevenuto (trattasi del primo motivo di appello proposto per conto del COGNOME) rileva la Corte come si tratti di un accertamento ultroneo rispetto alle effettive esigenze istruttorie ed in ogni caso non Idoneo a segnare l’attivazione dei poteri ufficiosi di Integrazione probatoria che l’ordinamento assegna al giudice dell’udienza preliminare. Peraltro, non si comprende, nella prospettiva difensiva, quale sarebbe l’utilità dl una prova certa in ordine al danneggiamento del proprio furgone da parte del prevenuto con l’utilizzo del fucile, trattandosi anzi di un comportamento che comprova la sua rabbia incontrollabile e l’incapacità di resistere alle proprie pulsioni violente» (pag. 9).
Del tutto aspecifico è il lamentato vizio motivazionale circa l’attendibilità delle persone offese. Per contro, la Corte di appello -con motivazione priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto – ha ritenuto il racconto delle persone offese credibile in ragione del loro contenuto coerente circostanziato: ogni ulteriore vaglio critico circa il giudizio di attendibilità della deposizione delle persone offese è precluso in questa sede in ossequio al principio incontroverso nella giurisprudenza di legittimità secondo il quale la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato e, più in generale dei testi, rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni, che non si ravvisano nel caso di specie (Sezioni Unite Bellarte cit; in termini Sez. 6, n. 27322 del 2008, COGNOME Ritis, cit.; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, COGNOME, Rv 239342; Sez. 6, n. 443 del 04/11/2004, dep. 2005, COGNOME, Rv. 230899; Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, dep. 2004, Pacca, Rv. 227493; Sez. 3, n. 22848 del 27/03/2003, Assenza, Rv. 225232).
Anche il ricorso proposto dall’AVV_NOTAIO nell’interesse di NOME, ancorché più articolato, in concreto non si confronta adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune da vizi di legittimità.
Venendo al primo motivo, afferente al mancato riconoscimento della circostanza attenuante del risarcimento del danno (che peraltro aveva proposto anche l’AVV_NOTAIO), lo stesso è manifestamente infondato.
La Corte territoriale ritiene corretta e condivisibile la valutazione del primo giudice laddove ha riconosciuto che la modestia del risarcimento, seppure oggetto di un accordo economico (ma con le persone offese in una situazione evidentemente di grave bisogno) sia di ostacolo rispetto al riconoscimento dell’aggravante di cui all’articolo 62 n. 6 cod. pen. sottraendosi lo stesso, per il suo ammontare, ad un giudizio di proporzionalità e adeguatezza.
Ricorda conferentemente la sentenza impugnata il principio, affermato in tema di estinzione del reato per condotte riparatorie ma che appare suscettibile di essere esteso anche all’attenuante di cui all’art 62 n. 6 cod. pen., che il giudice può escludere l’avvenuto integrale risarcimento del danno anche qualora la persona offesa abbia giudicato congrua la somma offerta dall’imputato, accettando l’offerta risarcitoria (così Sez. 6, n. 52671 del 23/10/2018, Rv. 274579).
La sentenza, dunque, si colloca nel solco della costante giurisprudenza secondo cui, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma primo, n. 6, cod. pen., il risarcimento del danno deve essere integrale, ossia comprensivo della totale riparazione di ogni effetto dannoso, e la valutazione
in ordine alla corrispondenza fra transazione e danno spetta al giudice, che può anche disattendere, con adeguata motivazione, ogni dichiarazione satisfattiva resa dalla parte lesa (cfr. Sez. 2, n. 51192 del 13/11/2019, Rv. 278368), escludendo che l’avvenuto risarcimento del danno sia stato integrale, ciò anche qualora la persona offesa abbia giudicato congrua la somma offerta dall’imputato, accettando l’offerta risarcitoria (Sez. 6, n. 52671 del 23/10/2018, Rv. 274579). Questo perché -è stato spiegato – il riconoscimento del potere di escludere l’adeguatezza del risarcimento è funzionale alla tutela delle parti deboli, che potrebbero essere indotte ad accettare risarcimenti insufficienti sulla base di indebite pressioni ricevute in sede extra processuale.
Come ricorda la Corte capitolina in caso dl riparazione parziale o inadeguata, non rilevano la dichiarazione liberatoria della persona offesa o la considerazione degli sforzi economici affrontati per effettuarla (Sez. 5, n. 13282 del 17/01/2013, Rv. 255187).
Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse del COGNOME, con cui si deduce erronea applicazione della norma penale per eccessività della sanzione inflitta e al conseguente mancato riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena.
La motivazione in punto di dosimetria della pena nel provvedimento impugnato è logica, coerente e corretta in punto di diritto (sull’onere motivazionale del giudice in ordine alla determinazione della pena cfr. Sez. 3, n. 29968 del 22/2/2019, COGNOME, Rv. 276288-01; Sez. 2, n. 36104 del 27/4/2017, COGNOME, Rv. 271243).
Nel caso che occupa la Corte territoriale ha comunque motivato in ordine alla quantificazione della pena rimarcando la spregiudicatezza ed il disinvolto ricorso a metodi intimidatori da parte degli imputati che hanno approfittato della situazione di difficoltà delle persone offese giungendo a minacciarle con allarmante disinvoltura mediante colpi di fucile per spronarli ad una prestazione lavorativa più efficiente, mostrando la propria attitudine criminale e una inquietante disumanità, costringendo le persone offese a effettuare i propri bisogni sui campi previa minaccia di una riduzione della loro paga approfittando così dello stato di bisogno delle predette e trattandoli alla stregua di veri e propri schiavi.
L’onere motivatorio, pertanto, è pienamente adempiuto costituendo ius receptum che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, Nuciforo, Rv. 230278).
Ed invero, il giudice del merito esercita la discrezionalità che la legge gli conferisce, attraverso l’enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196; Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008, COGNOME, Rv. 239754).
Il sindacato di legittimità sussiste solo quando la quantificazione costituisca il frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico. Il che non è nel caso che ci occupa.
La Corte territoriale, conseguentemente, ha ritenuto che l’ammontare della pena determinata impedisca il riconoscimento dei richiesti benefici di legge, senza che possa valere quando rimarcato il ricorso, cioè che l’imputato avrebbe potuto beneficiare della diminuzione di pena in caso di rinuncia all’impugnazione posto che l’impugnazione vi è stata.
Essendo i ricorsi inammissibili e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 08/10/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME