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Risarcimento del danno da truffa: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha analizzato un caso di presunta truffa in cui l’imputata era stata assolta in appello. La parte civile ha impugnato la sentenza ai soli fini civili. La Suprema Corte ha annullato la decisione per motivazione contraddittoria, stabilendo che la negligenza della vittima non esclude la responsabilità dell’agente. Ha rinviato il caso al giudice civile per una nuova valutazione sul risarcimento del danno, separando la responsabilità civile da quella penale.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Risarcimento del Danno da Truffa: L’Assoluzione Penale Non Esclude la Responsabilità Civile

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 9943/2024 offre un’importante lezione sulla distinzione tra responsabilità penale e civile, in particolare nei casi di truffa. La pronuncia chiarisce che l’assoluzione dell’imputato in sede penale non impedisce alla vittima di ottenere il risarcimento del danno in sede civile, soprattutto quando la motivazione dell’assoluzione risulta debole o contraddittoria. Analizziamo insieme i dettagli di questa decisione fondamentale.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da una denuncia per truffa. Una persona sosteneva di essere stata indotta, con inganno, a consegnare una cospicua somma di denaro, pari a 46.500 euro, a titolo di prestito. L’imputata avrebbe utilizzato una serie di false rappresentazioni della realtà per convincere la vittima, promettendo una restituzione che non è mai avvenuta.

Il percorso giudiziario è stato complesso: in primo grado, il Tribunale aveva dichiarato il non doversi procedere per tardività della querela. La Corte di Appello, invece, ha riformato la decisione. Ritenendo il reato procedibile d’ufficio per la presenza di un’aggravante, è entrata nel merito e ha assolto l’imputata con la formula “per insussistenza del fatto”. Secondo i giudici d’appello, mancavano gli ‘artifizi e raggiri’ tipici del reato di truffa.

L’Impugnazione in Cassazione per il risarcimento del danno

La parte civile, ovvero la vittima del presunto raggiro, non si è arresa e ha presentato ricorso in Cassazione. L’impugnazione non mirava a ribaltare l’assoluzione penale, ormai definitiva, ma a contestare la sentenza esclusivamente ai fini della responsabilità civile. L’obiettivo era ottenere il risarcimento del danno patito.

I motivi del ricorso si basavano su due punti principali:
1. Erronea applicazione della legge penale: La Corte d’Appello avrebbe sbagliato nel ritenere inesistenti i raggiri, nonostante le prove e le testimonianze.
2. Contraddittorietà della motivazione: La sentenza di secondo grado, pur elencando diversi comportamenti mendaci tenuti dall’imputata, aveva concluso in modo illogico per l’insussistenza del fatto, sminuendoli a ‘mere rappresentazioni verbali di possibilità future’.

La Decisione della Corte: La Scissione tra Giudizio Penale e Civile

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della parte civile, annullando la sentenza d’appello limitatamente agli effetti civili e rinviando la causa a un giudice civile competente. Questo significa che, mentre l’assoluzione penale resta valida, un nuovo processo dovrà stabilire se l’imputata debba risarcire economicamente la vittima.

Il Principio dell’Illecito Aquiliano

La Suprema Corte ha ribadito un principio fondamentale: quando il giudice penale è chiamato a decidere solo sulla domanda di risarcimento del danno (perché l’azione penale si è conclusa con una prescrizione o, come in questo caso, con un’assoluzione non impugnata dal Pubblico Ministero), il suo compito cambia. Non deve più verificare se sussistono tutti gli elementi del reato penale, ma se la condotta dell’imputato integra una fattispecie di illecito civile, secondo l’articolo 2043 del codice civile (illecito aquiliano). In altre parole, deve accertare se quella condotta ha provocato un ‘danno ingiusto’ che merita di essere risarcito.

L’Irrilevanza della Negligenza della Vittima per il risarcimento del danno

Uno degli argomenti più interessanti della sentenza riguarda il comportamento della vittima. La Corte di Appello aveva implicitamente dato peso alla ‘superficialità’ della persona offesa, che si era ‘automaticamente accontentata’ delle promesse verbali. La Cassazione ha smontato questo ragionamento, riaffermando un principio consolidato: la negligenza o l’ingenuità della vittima non eliminano la responsabilità di chi ha agito in modo fraudolento. La responsabilità penale (e, di riflesso, quella civile) è sempre collegata al fatto dell’agente, indipendentemente dalla cooperazione, anche colposa, del soggetto ingannato (deceptus).

Le Motivazioni

La motivazione della Cassazione si fonda sulla palese contraddittorietà della sentenza di appello. I giudici di secondo grado avevano riportato una serie di circostanze false rappresentate dall’imputata alla vittima, ma le avevano liquidate come irrilevanti. Questo, secondo la Suprema Corte, è illogico. La fiducia riposta dalla persona offesa, anche senza garanzie scritte, non è sufficiente a escludere che l’imputata avesse agito fin dall’inizio con il proposito di non restituire la somma. Anzi, proprio le false rappresentazioni e il comportamento successivo potevano essere indizi di tale proposito.

La Corte ha quindi censurato l’analisi superficiale svolta in appello, ritenendola inadeguata a escludere la configurabilità di un illecito civile e il conseguente obbligo di risarcimento del danno. La valutazione dei fatti dovrà essere riesaminata da un giudice civile, che applicherà i parametri propri della responsabilità aquiliana, concentrandosi sulla presenza di una condotta illecita, di un danno e di un nesso di causalità tra i due.

Le Conclusioni

La sentenza n. 9943/2024 della Corte di Cassazione rafforza la tutela delle vittime di condotte fraudolente. Essa stabilisce chiaramente che la strada per ottenere il risarcimento del danno rimane aperta anche di fronte a un’assoluzione in sede penale. La responsabilità civile viaggia su un binario autonomo e richiede una valutazione dei fatti non legata rigidamente alla configurazione del reato, ma alla più ampia nozione di ‘danno ingiusto’. Per le vittime, ciò significa che non tutto è perduto se il processo penale non si conclude con una condanna, a patto di poter dimostrare, secondo le regole civili, di aver subito un danno a causa del comportamento scorretto altrui.

Se una persona viene assolta dal reato di truffa, la vittima può ancora ottenere il risarcimento del danno?
Sì. Come chiarito dalla sentenza, anche se l’assoluzione penale diventa definitiva, la parte civile può ottenere l’annullamento della sentenza ai soli fini civili. Il caso verrà quindi riesaminato da un giudice civile per accertare la sussistenza di un illecito civile (secondo l’art. 2043 c.c.) e il conseguente diritto al risarcimento.

La negligenza o l’ingenuità della vittima di una truffa escludono la responsabilità di chi ha commesso l’inganno?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito il principio consolidato secondo cui la responsabilità penale (e di conseguenza quella civile) è legata al fatto dell’agente ed è indipendente dall’eventuale cooperazione, anche colposa, della vittima. La superficialità del soggetto ingannato non fa venire meno la rilevanza della condotta fraudolenta.

Cosa significa che la sentenza è annullata ‘limitatamente agli effetti civili’?
Significa che l’assoluzione dell’imputato dal reato penale rimane ferma e non può essere più messa in discussione. Tuttavia, la parte della sentenza che negava il diritto al risarcimento del danno viene cancellata. Un nuovo processo, davanti a un giudice civile, dovrà decidere esclusivamente sulla domanda di risarcimento presentata dalla vittima, riesaminando i fatti secondo le regole del diritto civile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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