Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4530 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 4530  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
CASOLARI NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/10/2022 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
 Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Bologna del 24 marzo 2021, emessa a seguito di giudizio abbreviato, con cui COGNOME NOME era stata condannata alla pena di mesi due e giorni venti di arresto ed euro mille di ammenda in relazione al reato di cui all’art. 186, comma 2-bis, C.d.S..
L’imputata, a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello per violazione degli artt. 62, n. 6, cod. pen. e 185 cod. civ. per l’ingiustificato diniego della circostanza attenuante del risarcimento del danno.
Con riferimento all’unico motivo di ricorso, va ricordato che la responsabilità per il danno derivante da reato comprende anche i danni mediati ed indiretti, ma assumono rilievo ai fini dell’invocata attenuante ex art. 62, n. 6, cod. pen. i soli danni costituenti effetti normali dell’illecito secondo il criterio della cosiddetta regolari causale (Sez. 5, n. 4701 del 21/12/2016, dep. 2017, Pota, Rv. 269271), per tale dovendosi intendere la sequenza costante dello stato di cose posto in essere dal soggetto attivo.
Deve trattarsi, cioè, di danni causalmente derivanti dal reato.
Nel reato in oggetto la causazione di lesioni a terzi, pur sicuramente possibile quale conseguenza della condotta alla guida del soggetto in stato di alterazione, non costituisce per ciò stesso “effetto normale” di tale imputazione, in quanto il reato per cui il COGNOME è stato condannato è reato di pura condotta, e che ben può accadere (e di solito accade) che l’atto ” di guidare in stato d’ebbrezza (o sotto l’effetto di stupefacenti) non si traduca in danni a carico di altre persone.
La sussistenza della circostanza aggravante di aver provocato un incidente non sposta il problema della riferibilità causale del danno (ossia dei danni a tre autovetture e ad un segnale stradale) al reato così circostanziato: ed invero deve osservarsi che, per ascrivere all’imputato l’aggravante di cui all’art. 186, comma 2-bis, C.d.S., non si pone la necessità di verificare se la causazione dell’incidente stradale sia dipesa o meno dal fatto che il conducente guidava in stato di alterazione da alcoolici, essendo necessario unicamente accertare che costui versi in stato d’alterazione in occasione di un incidente da lui provocato.
In altri termini, l’aggravante non postula che la colpa sia riconducibile allo stato d’ebbrezza del conducente, ma solo al fatto che il conducente in stato d’ebbrezza stesse guidando quando provocò l’incidente: infatti, da un lato, la lettera della norma riconduce la causazione dell’incidente al “conducente in stato d’ebbrezza”, e non allo
“stato d’ebbrezza”, e dunque si rivolge alla condotta alla guida piuttosto che alla condizione d’alterazione in sé considerata; dall’altro, la soluzione avuta di mira dal legislatore appare coerente con tale assunto, in quanto il rimprovero mosso dall’ordinamento è rivolto a colui che, versando in stato d’ebbrezza, si sia messo alla guida, così ponendo in essere una condizione di pericolo; e il fatto che egli, in tali condizioni, abbia “provocato” un incidente appare qualificabile come la concretizzazione del rischio che il conducente, ponendosi alla guida in condizioni di alterazione, aveva introdotto, nonché come un fattore che aggrava intrinsecamente il disvalore del suo comportamento.
Ne deriva che il nesso meramente “occasionale” tra la causazione dell’incidente che provocò il danno e il reato oggetto di imputazione esclude che si possa parlare, di risarcimento di un danno derivante da una relazione di “regolarità causale” con il reato oggetto di addebito (Sez. 4, n. 7869 del 25/11/2022, dep. 2023, COGNOME, non massimata; Sez. 4, n. 31634 del 27/04/2018, Giussani, Rv. 273083).
Per tali ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 17 gennaio 2024.