Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 4524 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 4524 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 12/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Villa San Giovanni il 20/10/1953
avverso la sentenza del 11/06/2024 della Corte di appello di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1, Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Reggio Calabria ha dichiarato inammissibile per carenza di interesse l’appello proposto dalla parte civile, COGNOME COGNOME avverso la sentenza emessa il 13 settembre 2017 dal Tribunale di Reggio Calabria nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME dichiarata non punibile per speciale tenuità del fatto, con condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile, da liquidarsi in separata sede.
Si contestava alla COGNOME di essersi fatta arbitrariamente ragione da sé, al fine di esercitare un preteso diritto di proprietà su un immobile di proprietà di Panuccio Pasquale, chiudendo con mattoni e malta una apertura preesistente nel muro perimetrale del predetto immobile (fatto commesso il 3 aprile 2014).
Il Tribunale di Reggio Calabria, dopo avere ricostruito la complessiva contesa, aveva emesso pronuncia ex art. 131-bis cod. pen. per particolare tenuità del fatto.
Nell’atto di appello la parte civile aveva investito sia il profilo della sussistenza del reato, contestando la ritenuta tenuità del fatto, dal momento che la condotta dolosa non si esauriva in un singolo episodio, sia le questioni civili, evidenziando che il Tribunale non aveva statuito nulla riguardo al risarcimento del danno.
La Corte di appello, nel dichiarare inammissibile l’impugnazione, ha evidenziato la carenza di interesse di COGNOME per due ordini di ragioni: 1) perché il reato ascritto si era medio tempore estinto per prescrizione, 2) perché la sentenza di assoluzione per tenuità del fatto non produceva alcun effetto pregiudizievole nel giudizio civile in conseguenza di quanto previsto dall’art. 651bis cod. proc. pen.
La Corte d’appello aveva, infatti, condannato l’imputata al risarcimento del danno in favore della parte civile da liquidarsi in separata sede, in applicazione della sentenza n. 173/2022 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 538 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che il giudice, quando pronuncia sentenza di proscioglimento per la particolare tenuità del fatto, decide anche sulla domanda per la restituzione e il risarcimento del danno eventualmente proposta dalla parte civile, a norma degli artt. 74 e seguenti cod. proc. pen.
Avverso la sentenza ricorre per cassazione l’imputata, deducendo i motivi di annullamento di seguito sintetizzati ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Vizio di motivazione per avere la Corte di appello statuito sulla domanda di risarcimento del danno dopo avere dichiarato l’appello inammissibile e in seguito a una sentenza di primo grado di assoluzione.
2.2. Violazione di legge, anche processuale e vizio di motivazione in relazione agli artt. 591, 581 e 578 cod. proc. pen. per avere dichiarato inammissibile l’appello senza specificare il vizio di cui agli artt. sopra indicati e per avere disatteso e disapplicato l’art. 651-bis cod. proc. pen., avendo statuito sugli interessi civili pur se palesemente prescritti sotto il profilo civilistico, disapplicando i limiti di cui all’art. 578 cod. proc. pen., nonché inosservanza ed erronea applicazione delle norme processuali atteso che la prova sulle questioni civili non è stata acquisita agli atti e non poteva essere esaminata compiutamente da entrambi i giudici di merito, con conseguente nullità della sentenza.
La Corte di appello, dopo aver dichiarato inammissibile l’appello per carenza di interesse, poiché già al deposito della sentenza di primo grado ben poteva procedere la parte civile davanti al giudice civile per ottenere il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 651-bis cod. proc. pen., non avrebbe potuto condannare l’imputata al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede, in tal modo sanando l’intervenuta prescrizione della domanda risarcitoria, che, ai sensi dell’art. 2947 cod. civ. si prescrive in cinque anni, con dies a quo decorrente dal termine per proporre l’appello risalente al gennaio 2018.
In motivazione la Corte di appello, in modo assai contraddittorio, ha, infatti, ravvisato la carenza di interesse ad impugnare ricollegabile anche alla prescrizione del reato, tentando, con tale ultima precisazione, di sanare il vizio di prescrizione civile dedotto, così da potere condannare l’imputata al risarcimento danni, in applicazione della recente sentenza della Corte costituzionale.
Appare incongruente inserire l’argomento della maturata prescrizione quando la mancanza di interesse era già esistente al momento della proposizione dell’appello ai sensi dell’art. 651-bis cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è parzialmente fondato e la sentenza deve essere annullata con riferimento agli effetti civili, con rinvio, per nuovo giudizio, al giudice civile competente per valore in grado di appello.
I due motivi del ricorso possono essere trattati congiuntamente, avendo entrambi ad oggetto la contraddittorietà della sentenza che, dopo avere dichiarato l’inammissibilità dell’appello, ha disposto il risarcimento dei danni a carico dell’imputata.
Occorre preliminarmente evidenziare che, sotto il profilo penale, in assenza di impugnazione del Pubblico ministero, la parte civile non poteva appellare il giudizio di particolare tenuità del fatto e, quindi, l’impugnazione andava dichiarata inammissibile a prescindere dalla prescrizione del reato.
4.Per quanto concerne, invece, gli effetti civili, va -41 evidenziato che incorre in errore la difesa allorché sostiene l prescrizione del diritto al risarcimento del danno. Ai sensi dell’art. 2943 cod. civ.13 -prescrizione è, infatti, interrotta dalla notifica dell’atto con la quale inizia il giudizio e, ai sensi dell’ar 2945 cod. civ., la stessa riprende a decorrere con il passaggio in giudicato della
sentenza che definisce il giudizio. Nel caso di costituzione di parte civile, infine, e tale atto a interrompere la prescrizione.
4.1. Ciò premesso, la sentenza impugnata è , tuttavia, palesemente contraddittoria, poiché:
-ha ritenuto inammissibile in toto l’appello per carenza di interesse, richiamando la giurisprudenza che ritiene che la parte civile non abbia interesse, in assenza di impugnazione del Pubblico ministero, a ricorrere avverso la sentenza con la quale sia stata dichiarata la non punibilità dell’imputato per la particolare tenuità del fatto, in quanto priva di effetti pregiudizievoli per detta parte nel giudizio civile secondo quanto previsto dall’art. 651-bis cod. proc. pen. in tema di efficacia della sentenza in sede civile quanto a sussistenza, illiceità penale del fatto e commissione dello stesso da parte dell’imputato;
richiamando la sentenza n. 173/2022 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 538 cod. proc. pen., ha, tuttavia, deciso anche sulla domanda per la restituzione e il risarcimento del danno proposta dalla parte civile, a norma degli artt. 74 e seguenti cod. proc. pen.
d 4.2. Ritiene il Collegio che quest’ultimo richiamol corretto, ma che la motivazione della sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria cada in contraddizione allorchè, da un lato dichiara inammissibile l’appello e dall’altro condanna l’imputata al risarcimento del danno.
Anche, poi, a volere prescindere da tale contraddittorietà e pur essendo la suindicata condanna generica, il giudice di appello avrebbe dovuto procedere alla verifica della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e dell’esistenza di un nesso di causalità tra questo e il pregiudizio lamentato (Sez. 1, n. 51160 del 31/10/2023, GLYPH COGNOME, GLYPH Rv. 285612; Sez. 6, n. 28216 del 25/09/2020, COGNOME, Rv. 279625).
Sul punto la sentenza impugnata si limita, infatti, a sottolineare che «la sentenza di proscioglimento per tenuità del fatto contiene tutti gli elementi necessari per statuire sulla pretesa risarcitoria; ne consegue la condanna dell’imputata al risarcimento del danno in favore della parte civile da liquidarsi in separata sede».
Tuttavia, la pronuncia del Tribunale di Reggio Calabria non conteneva alcuna valutazione sul danno proprio perché, come si è detto, all’epoca in cui venne emessa, l’art. 538 cod. proc. pen. non prevedeva che il Giudice che pronunciava sentenza di proscioglimento per la particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., decidesse contestualmente sulla domanda di risarcimento del danno.
5.La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata con riferimento agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio al Giudice civile competente per valore in grado di appello.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con riferimento agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio al Giudice civile competente per valore in grado di appello.
Così deciso il 12 novembre 2024
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