Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 9457 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 9457 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/01/2024
SENTENZA
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sul ricorso proposto da
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avverso la sentenza del 12/04/2023 della Corte di appello di Torino
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LLL1!ìi visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria redatta ai sensi dell’art. 23 d.l. 28 ottobre 2020, n Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
lette la memoria e le conclusioni presentate dal difensore della parte civile NOME COGNOME COGNOME foro di Torino, che chiede l’inammissibilità o il riget ricorso e la condanna dell’imputata al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese, come da no allegata.
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RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, in parziale riforma della pronuncia resa dal G.u.p. del Tribunale di Torino all’esito del giudizio abbreviato e appellata dagli imputati, la Corte di appello di Torino, ai fini qui di interesse, riqualificava il ascritto a COGNOME E.F. COGNOME ai sensi degli artt. 40 cpv. 81 cpv., 609-bis, commi 1 e 2, cod. pen. – così come originariamente contestato, essendo poi stato riqualificato dal G.u.p. ai sensi dell’art. 591 cod. pen. – e, ferma restando la pena irrogata dal primo giudice, applicava le pene accessorie ex art. 609 -nonies cod. pen.
Avverso la sentenza, l’imputata, tramite il difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. 2.1. Con un primo motivo si deduce la violazione di legge in riferimento agli artt. 597, comma 3, cod. proc. pen., 111 Cost. e 6 CEDU per avere la Corte di merito riqualificato il fatto di abbandono di minore in violenza sessuale, in assenza dell’appello del pubblico ministero, così violando le garanzie difensive. Rappresenta il difensore che, per effetto della modifica della qualificazione giuridica del fatto operata dal G.u.p., il tema decisorio – e la conseguente. linea difensiva – è risultato differente in appello, stante la diversità, dal punto di vi dell’elemento oggettivo e di quello soggettivo, RAGIONE_SOCIALE fattispecie in esame, tenendo anche conto che il pubblico ministero non ha proposto appello. Ad avviso del difensore, il fatto di avere richiesto di omettere la relazione nel corso dell’udienza è indice della volontà della Corte di appello di riqualificare ” sorpresa” il fatto, in modo che non potessero essere spese argomentazioni contrarie. Aggiunge il difensore che la riqualificazione del fatto ha comportato conseguenze deteriori relativamente al trattamento punitivo, sia perché, nel caso in cui fosse revocata la sospensione condizionale – che è stata subordinata al risarcimento del danno -, si è in presenza di un regime carcerario più severo, sia perché sono state applicate le pene accessorie previste dall’art. 609-nonies cod. pen.. Di conseguenza, la Corte di merito ha violato l’art. 6 CEDU in quanto vi è stata una riqualificazione del fatto non prevedibile e che ha comportato conseguenze peggiorative sul terreno sanzionatorio. Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
2.2. Con un secondo motivo si lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. per avere applicato le pene accessorie previste dall’art. 609-nonies cod. pen. Ad avviso del ricorrente, la fattispecie ex art. 40 cpv. cod. pen. è autonoma e distinta da quella prevista dall’art. 609-bis cod. pen., con la conseguenza che non potrebbero essere applicate le pene accessorie, ciò che
comporterebbe la violazione degli art. 3 e 27 Cost., stante la diversità condotte.
2.3. Con un terzo motivo si eccepisce la violazione dell’art. 606, comma lett. e) c.p.p. in relazione alla conoscenza da parte dell’imputata della vi perpetrata dal marito e all’indicazione RAGIONE_SOCIALE condotte che avrebbero scongiur l’accadimento di tali fatti. Espone il difensore che la minore si era rivol 640madre raccontandole, in un caso, j.Prlentativo di baciarla da parte dell’imput «td -, in un altro ytentativo di costui di toglierle i pantaloni; l’imputata, nel prim aveva ricondotto il fatto nella logica di un rapporto genitore-figlio mentre secondo, aveva controllato che la minore non avere perdite ematiche continuando a chiedere alla figlia se fosse successo qualcos’altro e, infine, chiesto spiegazioni al marito. Aggiunge il difensore che, a fronte di situazione, l’imputata ha ritenuto ragionevole non allertare l’autorità, in non era a conoscenza di una situazione che fosse effettivamente pericolos sicché la donna aveva fatto tutto quanto era in suo potere.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e conseguentemente deve essere rigettato.
Il primo motivo è infondato.
Per impostare la questione posta dalla ricorrente, è necessario partire un dato pacifico e dirimente, ossia che l’imputata era stata tratta a giudiz rispondere del delitto di cui agli artt. 40 cpv. 81 cpv., 609-bis, commi 1 e 2 pen.; all’esito del giudizio di primo grado, il g.u.p. ha riqualificato il fatto immutato nella sua descrizione, come violazione dell’art. 591 cod. pen.
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello ha preceduto, a sua volta, una nuova riqualificazione del fatto medesimo, reputando corretta l’originar contestazione ex artt. 40 cpv. 81 cpv., 609-bis, commi 1 e 2, cod. pen., ferma restando la pena inflitta in primo grado, in assenza di impugnazione da parte pubblico del ministero.
Orbene, al proposito, va richiamato il principio secondo cui il giudice appello, pur in difetto di gravame del pubblico ministero, può dare al fatto diversa e più grave qualificazione giuridica, ove la questione sia strettam connessa ad un capo o ad un punto della sentenza che abbia costituito oggett dell’impugnazione, senza per questo violare il divieto di reformatio in peius, che
investe solo il trattamento sanzionatorio in senso stretto, e, dunque, la specie e la quantità della pena (Sez. 6, n. 47488 del 17/11/2022, F., Rv. 284025).
Nel caso in esame, non è dato ravvisare alcuna violazione del divieto di reformatio in peius, in quanto la difesa, con l’atto di appello, aveva contestato la sussistenza del fatto, pur riqualificato dal g.u.p. nei termini dinanzi indicati sicché il fatto medesimo è stato devoluto alla cognizione della Corte di appello, la quale, legittimamente, ai sensi dell’art. 597, comma 3, cod. proc. pen., ha preceduto, a sua volta, a una nuova riqualificazione del fatto medesimo, reputando corretta la contestazione primigenia, ferma restando la pena inflitta in primo grado, in assenza di impugnazione da parte del pubblico ministero.
Nemmeno è ravvisabile alcuna violazione del diritto di difesa come tutelato dall’art. 6 CEDU.
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha affermato che è violato il diritto dell’imputato “ad essere informato in maniera dettagliata della natura e dei motivi dell’accusa formulata nei suoi confronti”, nonché il “diritto a disporre del tempo e RAGIONE_SOCIALE facilitazioni necessarie alla preparazione della sua difesa”, laddove “il ricorrente non sia stato avvertito della possibilità di una riqualificazion dell’accusa formulata nei suoi confronti e, ancora meno, che egli aveva avuto l’occasione di discutere in contraddittorio la nuova accusa” (C. EDU , sent. del 11/12/2007, n. 25575/04, RAGIONE_SOCIALE c. RAGIONE_SOCIALE; di recente, Corte di giustizia UE, sent. 9 novembre 2022, BK, C-175/22).
Nel caso di specie, era certamente prevedibile la riqualificazione del fatto, rimasto immutato nella sua dimensione fenomenica, essendo stata l’imputata condannata ai sensi degli artt. 40 cpv. 81 cpv., 609-bis, commi 1 e 2 n. 1, cod. pen.: sulla base, cioè, di quelle stesse norme incriminatrici che erano state originariamente addebitate con il decreto dispositivo del giudizio e in riferimento alle quali ha esercitato le proprie difese fin nel corso del giudizio di primo grado.
Va, quindi, riaffermata la validità del principio secondo il quale il giudice di appello, anche in presenza della sola impugnazione dell’imputato, può procedere alla riqualificazione giuridica del fatto nel rispetto del principio del gius processo previsto dall’art. 6 CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, anche senza disporre una rinnovazione totale o parziale dell’istruttoria dibattimentale, sempre che sia sufficientemente prevedibile la ridefinizione dell’accusa inizialmente formulata, che il condannato sia in condizione di far valere le proprie ragioni in merito alla nuova definizione giuridica del fatto e che questa non comporti una modifica in peius del trattamento sanzionatorio (così, tra le altre, Sez. 5, Sentenza n. 5083 del 14/01/2020, Prundu, Rv. 278143).
Né, infine, possono valere le doglianze relative all’omessa relazione da parte della Corte territoriale, rispetto alla quale le parti – e la stessa dife dell’imputata – hanno prestato l’assenso, posto che il difensore, in sede di discussione, ben avrebbe potuto difendersi anche dall’eventuale riqualificazione del fatto, essendo certamente prevedibile che, in forza dei poteri attribuiteli dall’art. 597, comma 3, cod. proc. pen., la Corte d’appello avrebbe potuto provvedervi d’ufficio, “recuperando” la qualificazione contestata nel decreto dispositivo del giudizio, come è poi accaduto.
6. Il secondo motivo è infondato.
6.1. Sin dal 1998, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato il principio, mai messo in discussione, secondo cui, poiché l’art. 597, terzo comma, cod. proc. pen. non contempla, tra i provvedimenti peggiorativi inibiti al giudice d’appello nell’ipotesi di impugnazione proposta dal solo imputato, quelli concernenti le pene accessorie – le quali, secondo il disposto dell’art. 20 cod. pen., conseguono di diritto alla condanna come effetti penali di essa – al giudice di secondo grado è consentito applicare d’ufficio le pene predette qualora non vi abbia provveduto quello di primo grado, e ciò ancorché la cognizione della specifica questione non gli sia stata devoluta con il gravame del pubblico ministero (Sez. U, n. 8411 del 27/05/1998, p.m. in c. Isaka, Rv. 210979).
6.2. Né coglie nel segno l’argomentazione incentrata su una pretesa e indimostrata autonomia della fattispecie ex art. 40 cpv. cod. pen., in quanto tale clausola di equivalenza vale ad estendere la punibilità RAGIONE_SOCIALE norme incriminatrici in relazione alle quali essa può trovare applicazione, tra cui il delitto di cui all’a 609-bis, cod. pen. nei confronti di chi, come nel caso in esame, aveva un obbligo giuridico di impedire il verificarsi dell’evento lesivo, dovendosi ribadire che risponde del reato di cui agli artt. 110 e 609-bis cod. pen. il genitore che essendo a conoscenza degli abusi sessuali subiti dal proprio figlio minore li abbia tollerati e comunque non li abbia impediti, omettendo di denunciarli, atteso che sullo stesso grava l’obbligo di educazione e protezione del minore così da impedire se non il verificarsi quantomeno il protrarsi di fatti delittuosi in danno dello stesso (Sez. 3 n. 42210 del 06/12/2016, Radano, Rv. 235469).
Il terzo motivo è inammissibile perché generico e di contenuto eminentemente fattuale.
7.1. La Corte di merito, invero, sulla base degli elementi di fatto accertati dalla sentenza di primo grado – ha spiegato in modo adeguato le ragioni della ritenuta erroneità della riqualificazione dei fatti effettuata dal giudice di prim cure, soffermandosi sul comportamento dell’imputata che, pur essendo
consapevole RAGIONE_SOCIALE attenzioni sessuali poste in essere dal marito, suo coimputato, nei confronti della figlia minorenne, nulla ha fatto per impedirla.
La stessa imputata non ha mai posto in discussione la credibilità della figlia ed ha ammesso di non essere stata in grado di proteggerla, nonostante i “segnali” che figlia aveva cercato di dare alla madre in merito alle condotte sessuali subite dall R. 1(che la ragazzina considerava suo padre), riferendo sia del bacio ricevuto – ritenuto dalla madre quale uno scherzo e passibile di fraintendimento da parte di COGNOME H. -, sia del tentativo dell’uomo di toglierle i pantaloni e nonostante le rassicurazioni richieste dalla stessa madre alla figlia in merito all’assenza di rapporti sessuali, che hanno determinato l’imputata a controllare la figlia nelle parti intime, per scongiurare perdite ematiche.
Come ritenuto dalla Corte di merito, ciò ha determinato dubbi e sospetti nella madre – tanto che ella cercava rassicurazioni nella figlia, evitando di lasciarla da sola con il R. ed effettuando i sopra indicati controlli RAGIONE_SOCIALE parti intime – la quale, per tale effetto, pur nella consapevolezza della perpetrazione della condotta delittuosa da parte del marito, non si adoperava per intervenire fattivamente e richiedere aiuto ed impedire che tali atti continuassero. Invero, secondo quanto accertato dalla Corte di merito, pur informata in almeno due occasioni dalla figlia degli abusi subiti da parte del R. , l’imputata donna aveva rassicurato la figlia che sarebbe intervenuta, ma una volta portate a termine le pratiche per consentire alla zia (sorella materna) di giungere dal omissis in RAGIONE_SOCIALE (circostanza poi non verificatasi in conseguenza RAGIONE_SOCIALE condizioni di salute della stessa zia), nulla aveva fatto.
7.2. A fronte di tale apparato argomentativo, che certamente non può dirsi manifestamente illogico, il motivo confeziona censure tese ad accreditare una diversa e più favorevole spiegazione dei fatti, le quali non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità.
Per i motivi indicati, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del procedimento.
L’imputata deve essere altresì condannata alla refusione RAGIONE_SOCIALE spese sostenute nel grado dalla parte civile, ammessa al patrocinio a spese dello Stato, con pagamento in favore dello Stato, spese da liquidarsi dalla Corte di appello di Torino mediante l’emissione del decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 del citato d.P.R. (cfr. SU n. 5464 del 26/09/2019, dep. 12/02/2020, COGNOME Falco, Rv. 277760).
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE. Condanna, inoltre, l’imputata alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Torino con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.P.R. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
Così deciso il 19/01/2024.