Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 33854 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 33854 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA
avverso la sentenza emessa il 21.09.2023 dalla Corte di appello di Napoli visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto di annullare senza rinvio la sentenza impugnata e quella di primo grado, disponendo la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero presso il Tribunale di Napoli;
lette le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, nell’interesse della parte civil RAGIONE_SOCIALE, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso e di condannare l’imputato alla refusione delle spese processuali.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME è stato citato a giudizio, con decreto del Pubblico Ministero di Tribunale di Napoli, per rispondere del reato di cui agli artt. 646, 61 n. 7 e 11 cod. pen., in quanto, nella qualità di titolare dell’impresa individuale “RAGIONE_SOCIALE“, dopo aver stipulato un contratto per la commercializzazione di giochi pubblici con la RAGIONE_SOCIALE, e al fine di procurarsi un profitto ingiusto, si sarebbe impossessato degli importi incassati con la raccolta delle scommesse, per un totale di euro 539.355,37, di cui aveva il possesso in virtù dell’incarico svolto; fatto commesso con l’aggravante dell’aver cagionato alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità e di aver commesso il fatto con abuso di prestazioni di opera.
Il Tribunale di Napoli, con sentenza emessa in data 12 aprile 2016 all’esito del giudizio dibattimentale, ha dichiarato l’imputato colpevole del reato ascrittogli e, riconosciute le attenuanti generiche, lo ha condannato alla pena sospesa di un anno e sei mesi di reclusione e al risarcimento del danno, da liquidarsi in sede civile, in favore della parte civile costituita.
La Corte di appello di Napoli, con la sentenza impugnata, previa riqualificazione del fatto contestato come peculato, ha confermato la pronuncia di primo grado, condannando l’imputato appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado e alla rifusione delle spese in favore della parte civile costituita.
AVV_NOTAIO, nell’interesse dell’imputato, ha presentato ricorso avverso tale sentenza e ne ha chiesto l’annullamento.
Con l’unico motivo il difensore deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto la Corte di appello ha illegittimamente operato la riqualificazione in peculato del delitto di appropriazione indebita originariamente contestato e medio tempore prescritto.
L’appropriazione sarebbe stata, infatti, commessa da un soggetto che non è legato alla pubblica amministrazione, in quanto l’imputato è esercente commerciale e la società RAGIONE_SOCIALE, dopo aver ottenuto l’autorizzazione in concessione governativa, sarebbe entrata nel libero mercato, tanto da essere divenuta una società controllata da azionisti esteri.
La Corte d’appello di Napoli, inoltre, non avrebbe tenuto conto del fatto che il reato di peculato è di competenza esclusiva del tribunale collegiale e, dunque, avrebbe dovuto disporre la trasmissione degli atti al tribunale, al fine di consentire all’imputato di difendersi innanzi al giudice competente, posto che era stato giudicato in primo grado dal tribunale in composizione monocratica.
Non essendo stata richiesta la trattazione orale del procedimento, il ricorso è stato trattato con procedura scritta.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 12 aprile 2024, il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, nella persona di NOME COGNOME, ha chiesto di annullare senza rinvio la sentenza impugnata e quella di primo grado, disponendo la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il Tribunale di Napoli.
Con memoria depositata in data 15 aprile 2024 l’AVV_NOTAIO ha chiesto di dichiarare inammissibile o di rigettare il ricorso e di condannare l’imputato alla rifusione delle spese processuali in favore della parte civile RAGIONE_SOCIALE
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere accolto.
Con l’unico motivo il difensore deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto la Corte di appello ha illegittimamente operato la riqualificazione in peculato del delitto di appropriazione indebita originariamente contestato e medio tempore prescritto.
Il motivo è infondato quanto alla dedotta violazione dell’art. 314 cod. pen. La riqualificazione operata dalla Corte di appello di Napoli è, infatti, conforme al diritto sostanziale.
Le Sezioni unite di questa Corte, infatti, hanno statuito che integra il delitto di peculato la condotta del gestore o dell’esercente degli apparecchi da gioco leciti di cui all’art. 110, sesto e settimo comma, T.U.L.P.S., che si impossessi dei proventi del gioco, anche per la parte destinata al pagamento del Prelievo Erariale Unico (PREU), non versandoli al concessionario competente, in quanto il denaro incassato appartiene alla pubblica amministrazione sin dal momento della sua riscossione Sez. U, n. 6087 del 24/09/2020 (dep. 2021), Rubbo, Rv. 280573 01).
Nella motivazione, la Corte ha precisato che il concessionario riveste la qualifica formale di «agente contabile» ed è incaricato di pubblico servizio, funzione cui partecipano il gestore e l’esercente, essendo loro delegate parte delle attività proprie del concessionario.
Parimenti, secondo la giurisprudenza di legittimità, integra il delitto di peculato la condotta del raccoglitore di scommesse ippiche che ometta il versamento delle somme riscosse alla RAGIONE_SOCIALE, concessionaria dell’RAGIONE_SOCIALE per l’esercizio di tali giochi,
in quanto il denaro incassato dall’agente, che riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio, è di pertinenza della pubblica amministrazione sin dal momento della sua riscossione (Sez. 6, n. 51582 del 02/10/2019, NOME, Rv. 277573 01).
Il motivo proposto è, invece, fondato sotto il profilo processuale.
4.1. Il ricorso sottopone all’esame della Corte la questione relativa alle conseguenze sulla sentenza impugnata (e su quella di primo grado) della riqualificazione operata dalla Corte di appello del reato di appropriazione indebita originariamente contestato in un reato (il peculato) che prevede la celebrazione, non tenutasi, dell’udienza preliminare.
Il dilemma riguarda l’ambito applicativo dell’art. 33 -octies, comma 1, cod. proc. pen. nei casi di riqualificazione dell’imputazione operata in sede di impugnazione.
Questa disposizione sancisce, infatti, che «l giudice di appello o la corte di cassazione pronuncia sentenza di annullamento e ordina la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice di primo grado quando ritiene l’inosservanza delle disposizioni sull’attribuzione dei reati alla cognizione del tribunale composizione collegiale o monocratica, purché la stessa sia stata tempestivamente eccepita e l’eccezione sia stata riproposta nei motivi di impugnazione».
4.2. Nella giurisprudenza di legittimità si registrano, infatti, orientament contrastanti sull’applicabilità di tale disposizione nel caso in cui l’attribuzione tribunale in composizione collegiale discenda dalla riqualificazione del fatto compiuta in sede di appello (o di legittimità).
4.3. Secondo l’orientamento più risalente (e attualmente minoritario), il giudice di appello che conferisca al fatto una qualificazione giuridica più grave, in relazione alla quale sia prevista (a differenza che per quella contestata) la cognizione del tribunale in composizione collegiale e non monocratica, non deve annullare la sentenza, dato che la prescrizione posta nell’art. 33 – octies cod. proc. pen. riguarda il caso di diretta violazione delle regole sul riparto di attribuzione il caso in cui il giudice monocratico si sia pronunciato su una fattispecie effettivamente rimessa alla sua valutazione (Sez. 2, n. 18607 del 16/04/2010, COGNOME, Rv. 247541; Sez. 6, n. 24808 del 14/05/2007, COGNOME, Rv. 236974; ancora, in motivazione, Sez. 2, n. 43309 dell’8/10/2015).
Una sentenza più recente ha, inoltre, riproposto questo orientamento, rilevando che la diversa qualificazione giuridica del fatto data dal giudice di appello, per effetto della quale il reato doveva essere giudicato dal tribunale in composizione collegiale anziché monocratica, non impone l’annullamento della sentenza di primo grado al fine di consentire la celebrazione del giudizio dinanzi
all’organo nella corretta composizione, in quanto, dalla lettura coordinata degli artt. 24 e 597, comma 3, cod. proc. perì., si evince che è consentito al giudice del gravame procedere alla riqualificazione, purché non sia superata la competenza del giudice di primo grado, mentre a nulla rileva l’inosservanza delle disposizioni sull’attribuzione degli affari al giudice collegiale anziché al giudice monocratico (Sez. 6, n. 23315 del 28/04/2021, COGNOME, Rv. 281524-01, pronuncia in un caso nel quale l’udienza preliminare per il reato originariamente contestato era stata tenuta).
Secondo questa decisione, dunque, l’art. 33-octies, comma 1, cod. proc. pen. non opera nei casi di riqualificazione dell’originaria contestazione nell’atto di appello, in quanto l’art. 597, comma 3, cod. proc. pen. consente al giudice di appello di dare al fatto una diversa definizione giuridica e di definire comunque nel merito l’impugnazione «purché non venga superata la competenza del giudice di primo grado».
Tale disposizione non fa, infatti, cenno al riparto di attribuzioni quale limite alla riqualificazione; piuttosto, coordinando tale previsione con quella di cui all’ar 24 dello stesso codice, il giudice dell’appello sarà costretto ad annullare la sentenza impugnata e trasmettere gli atti al giudice competente in primo grado solo in caso di qualificazione che comporti un difetto di competenza per materia (Sez. 1, n. 35909 del 7/5/2015, COGNOME, Rv. 264697; Sez. 6, n. 2828 dell’11/2/1999, D., Rv. 212889).
4.4. Secondo l’orientamento opposto e largamente prevalente, invece, nel caso in cui in sede di appello sia stata data al fatto, giudicato in primo grado dal tribunale in composizione monocratica, una diversa e più grave qualificazione giuridica, per effetto della quale esso rientri nelle attribuzioni del tribunale composizione collegiale, la Corte di cassazione, ove il giudice di appello non abbia provveduto in tal senso e l’eccezione di incompetenza risulti proposta con i motivi di impugnazione, deve annullare senza rinvio la sentenza di primo grado e quella di appello e trasmettere gli atti al pubblico ministero (Sez. 5, n. 19900 del 05/04/2023, COGNOME, Rv. 284784 – 01; Sez. 6, n. 8141 del 12/12/2019 (dep. 2020), COGNOME, Rv. 278356 – 01; Sez. 6, n. 22813 del 3/12/2016, Majer, Rv 267133; Sez. 2, 18/01/2006 n. 11857, COGNOME, Rv, 233800; Sez. 6, n. 48390 del 09/12/2008, COGNOME, Rv. 242422; Sez. 5, n. 10730 del 20/02/2007 n. 10730, COGNOME, Rv. 236069).
Questo orientamento della giurisprudenza di legittimità rileva che l’art. 33octies, comma 1, cod. proc. pen. impone al giudice di appello, all’esito della diversa qualificazione che porti alla riconduzione del fatto, giudicato dal tribunale in composizione monocratica, ad una ipotesi di reato attribuita alla cognizione del tribunale in composizione collegiale, di rilevare l’inosservanza delle disposizioni sull’attribuzione dei reati e pronunciare sentenza di annullamento.
Secondo quanto disposto l’art. 33-octies, comma 2, cod. proc. pen., infatti, la corte di appello potrebbe pronunciarsi nel merito solo nel caso in cui il reato che risulti all’esito della riqualificazione dell’originaria contestazione appartenga all cognizione del tribunale in composizione monocratica.
4.5. Il Collegio condivide l’orientamento prevalente, che ritiene applicabile la disposizione di cui all’art. 33-octies, comma 1, cod. proc. pen. anche nel caso riqualificazione operata nel giudizio di appello, in quanto lo stesso è maggiormente conforme al fondamento della previsione e alla ratio della sua introduzione nell’ordinamento.
4.6. Nella relazione ministeriale che accompagna il decreto legislativo n. 51 del 1998 si precisa che il legislatore delegato, sulla base dei principi e criteri direttivi dettati dalla legge delega, ha inteso delineare la disciplina processuale per l’inosservanza delle disposizioni relative alla composizione monocratica o collegiale del giudice unico in modo difforme dall’archetipo della disciplina della competenza, in quanto si è pur sempre al cospetto di diverse articolazioni di un ufficio concepito come unitario.
L’attuazione di questo principio ha, tuttavia, subito adattamenti con riferimento al processo penale, in quanto, secondo quanto previsto dall’art. 1, lett. e) della legge-delega 16 luglio 1997, n. 254, «nelle materie nelle quali il tribunale opera in composizione collegiale, si osservano le norme processuali vigenti per il procedimento innanzi al tribunale, mentre nelle restanti materie si osservano le norme processuali vigenti per il procedimento innanzi al pretore».
La Relazione, al paragrafo 4.1.2., rileva che, se nel processo civile il rito pretorile presenta «limitati elementi di differenziazione rispetto a quello davanti al tribunale (per di più quasi interamente concentrati nella fase decisionale), nel processo penale si caratterizza, di contro, come marcatamente autonomo e, nel complesso, meno “garantito”».
L’adozione del rito monocratico in luogo di quello collegiale, pur innanzi al medesimo giudice unico di primo grado, infatti, implica la “perdita” del controllo sul corretto esercizio dell’azione penale costituito dall’udienza preliminare, concretando una lesione del diritto di difesa (art. 24 Cost.).
Il legislatore delegato ha, dunque, escluso in materia penale, da un lato, la possibilità di delineare una disciplina dell’inosservanza delle disposizioni in tema di composizione del tribunale «di natura meramente “ordinatoria”, che metabolizzi il vizio di composizione risolvendolo in una questione di mera distribuzione degli affari “interna” all’ufficio giudiziario; dall’altro, quella di trasporre sic et simpliciter nel processo penale le soluzioni adottate in rapporto al processo civile (semplice rimessione della causa dal collegio al giudice monocratico e viceversa, nel caso di accertamento della violazione in primo grado; rilievo della nullità con decisione nel merito da parte del giudice di appello, nel caso di accertamento in sede di
gravame)».
Nella relazione si rileva, infatti, che tali «oluzioni… presenterebber invero, evidenti “rischi” sul piano della compatibilità con i principi costituzionali difesa e di precostituzione del giudice, soprattutto allorché venga acclarato che sul fatto per cui si procede avrebbe dovuto giudicare il collegio (secondo il rito “ordinario”) anziché il giudice monocratico.
Il legislatore delegato ha, dunque, per un verso, consentito la deduzione dell’inosservanza, tempestivamente eccepita dalla parte, anche nei successivi gradi di giudizio, e per l’altro, previsto ipotesi di regressione del procedimento, segnatamente allorquando il difetto investa il giudice monocratico.
In tal caso è stata espressamente prevista la rimessione degli atti al pubblico ministero, analogamente a quanto avviene nelle ipotesi di dichiarazione di incompetenza dopo le note manipolazioni additive degli articoli 23 e 24 cod. proc. pen. operate dalla Corte costituzionale nella prospettiva di non sottrarre all’imputato le garanzie del procedimento (tra cui, in primis, l’udienza preliminare).
Quando invece il procedimento sia stato erroneamente devoluto alla cognizione del collegio e condotto secondo le relative regole, nulla osta a che si verifichi una semplice translatio iudicii davanti al giudice monocratico, avendo in definitiva l’imputato fruito di garanzie processuali maggiori, senza alcuna lesione del suo diritto di difesa.
4.7. In questo contesto la disposizione di cui all’art. 33 -octies, comma 1, cod. proc. pen. trae il proprio fondamento dal fatto che, in tale ipotesi, essendosi il processo celebrato secondo il più celere rito monocratico, è mancato il presidio di garanzia per l’imputato costituito dall’udienza preliminare.
Nella valutazione del legislatore storico, tale evenienza determina una lesione del diritto di difesa, che fonda l’obbligo per il giudice dell’impugnazione d ordinare la rimessione degli atti al pubblico ministero, affinché questi promuova l’azione davanti al tribunale in composizione collegiale, a condizione che l’inosservanza delle disposizioni in questione sia stata tempestivamente eccepita e l’eccezione riproposta nei motivi di impugnazione.
Diversa disciplina è stata, per contro, dettata per l’ipotesi in cui il giudi dell’impugnazione ritenga che il procedimento si sia erroneamente incardinato davanti al tribunale in composizione collegiale in luogo di quello di quella monocratica.
In tal caso, il legislatore, all’art. 33 -octies, comma 2, cod. proc. pen., ha stabilito che il giudice di appello si pronuncerà, comunque, nel merito, ove ritenga che il reato appartenga alla cognizione del tribunale in composizione monocratica; la parte che avrebbe dovuto essere giudicata con il rito monocratico, non ha, infatti, subito alcuna lesione del suo diritto di difesa, in quanto il processo è stato celebrato secondo il più garantito rito collegiale.
4.8. Muovendo da tali premesse il Collegio ritiene di aderire all’orientamento largamente prevalente della giurisprudenza di legittimità, in quanto maggiormente rispondente al disegno sistematico del legislatore e alla specifica funzione attribuita al disposto dell’art. 33-octies, comma 1, cod. proc. pen.
Tale disposizione, dunque, deve essere applicata non solo nei casi in cui la violazione delle regole sulla ripartizione delle attribuzioni del tribunale collegia derivi dalla formulazione originaria dell’imputazione da parte del pubblico ministero, ma anche quando consegua alla riqualificazione dell’accusa operata dal giudice in sede di impugnazione.
Anche in questo caso, infatti, l’imputato subisce il pregiudizio al proprio diritto di difesa costituito dalla mancata verifica dell’imputazione ne contraddittorio dell’udienza preliminare.
La latitudine della formulazione dell’art. 33-octies, comma 1, cod. proc. pen., del resto, non autorizza l’esclusione di tale disposizione nei casi in cui la “perdita di garanzie per l’imputato consegua non già alla formulazione dell’imputazione da parte del pubblico ministero, ma alla riqualificazione della stessa da parte del giudice.
Non possono, del resto, essere tratti argomenti contrari a tale interpretazione dall’art. 597, comma 3, cod. proc. pen., che consente al giudice di appello di dare al fatto una definizione giuridica più grave, purché non venga superata la competenza del giudice di primo grado, in quanto tale disciplina riguarda la distribuzione dei processi tra uffici giudiziari diversi.
La devoluzione della questione al giudice collegiale, in sede di gravame, non può “sanare” il vulnus della originaria sua attribuzione, non rispettata, all’organo collegiale di primo grado, proprio in quanto l’art. 33-octies, comma 1, cod. proc. pen. assegna specifico rilievo nel giudizio di appello alla violazione delle regole sulla ripartizione delle attribuzioni tra il tribunale monocratico e quello collegial che fanno capo al medesimo ufficio giudiziario.
Declinando tali principi nel caso di specie, deve rilevarsi che la Corte di appello, con la sentenza impugnata, ha legittimamente operato la riqualificazione del delitto originariamente contestato di appropriazione indebita aggravata in peculato, ma ha disposto la conferma della sentenza di primo grado in violazione dell’art. 33 octies cod. proc. pen., in luogo di disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice di primo grado.
Il difensore ha, peraltro, tempestivamente eccepito, nel primo atto disponibile dopo l’intervenuta riqualificazione (e, dunque, con il ricorso per cassazione), la violazione dell’art. 33-octies, comma 1, cod. proc. pen,
L’imputato ha, dunque, diritto ad essere reintegrato nella garanzia processuale dell’udienza preliminare, in quanto la diversa qualificazione giuridica
attribuita al fatto esorbita le attribuzioni del Tribunale in composizione monocratica.
Alla stregua di tali rilievi, deve essere, dunque, annullata senza rinvio la sentenza impugnata, nonché quella di primo grado emessa dal Tribunale di Napoli il 12 aprile 2016, e deve essere disposta la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero presso la Procura del Tribunale di Napoli.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nonché quella di primo grado emessa dal Tribunale di Napoli il 12 aprile 2016, disponendo la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero presso la Procura del Tribunale di Napoli.
Così deciso in Roma, il 30 aprile 2024.