Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 23786 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 23786 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nata a Salemi il 14/04/1994
avverso la sentenza del 18/09/2024 della Corte di appello di Palermo
letti gli atti, il ricorso e la sentenza impugnata; udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; lette la memoria di replica del difensore, Avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il difensore di NOME COGNOME ricorre per l’annullamento della sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza resa in data 1 marzo 2023 dal locale Tribunale, riqualificava il fatto di cui al capo 1), originariamente contestato come resistenza a pubblico ufficiale, in quello di cui all’art. 341-bis cod. pen., riducendo la pena inflitta e confermando nel resto la sentenza appellata.
Il ricorso è articolato in due motivi.
1.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. in quanto, una volta esclusa la configurabilità del reato di resistenza a pubblico ufficiale, la Corte di appello avrebbe dovuto trasmettere gli atti al Pubblico ministero per esercitare l’azione penale per il fatto nuovo.
La Corte ha, invece, risolto il tema della diversa qualificazione giuridica del fatto facendo riferimento alla prevedibilità della stessa, peraltro, sollecitata dalle parti, mentre la difesa si era limitata a chiedere l’assoluzione per insussistenza del fatto o dell’elemento psicologico. Il ricorrente reputa insufficiente il rinvio all descrizione della condotta contenuta nel capo di imputazione, stante la diversità strutturale dei reati, e lesiva del diritto di difesa la riqualificazione operat nell’ambito di un procedimento a trattazione cartolare, in cui a fronte della minore gravitò del reato ravvisato, setale fosse stata l’originaria contestazione, all’imputata è stata preclusa l’opzione per un rito alternativo o l’estinzione del reato in forza di condotte riparatorie.
1.2. Con il secondo motivo denuncia la violazione di legge per intervenuta prescrizione del reato. La Corte di appello ha escluso la prescrizione, in quanto ha aggiunto al termine massimo, 1 anno, 5 mesi e 17 giorni ai sensi dell’art. 159, comma 2, cod. pen. nel testo vigente all’epoca del fatto ex I. n. 103/2017, nonostante la contravvenzione commessa il 23 aprile 2018 fosse già prescritta alla data della sentenza di appello (18 settembre 2024), dovendo calcolarsi solo la sospensione di 21 giorni per impedimento del difensore di cui si dà atto in sentenza. Come ritenuto da questa Corte, la disposizione indicata non si applica ai reati commessi dopo il 3 agosto 2017, in quanto ‘art. 2 lett. a) della legge n. 134 del 27 settembre 2021 ha abrogato l’art. 159, comma 2, cod. pen. e trattandosi di norma posteriore più favorevole si applica a tutti i processi in corso per i reati commessi dal 3 agosto 2017 al 31 dicembre 2019, sicché va eliminato il segmento temporale di sospensione del corso della prescrizione previsto dalla Legge Orlando.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi non consentiti nonché manifestamente infondati.
Il primo motivo è manifestamente infondato, non riscontrandosi la violazione dell’art. 521 cod. pen. in quanto non vi è mutamento del fatto, ma una mera riqualificazione giuridica, né è ravvisabile una trasformazione radicale del fatto nei suoi elementi essenziali o una incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa, alla cui tutela è preposta la norma che si assume violata.
Secondo il principio consolidato affermato da questa Corte sul punto, l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso riter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. 3, n. 24932 del 10/02/2023, Gargano, Rv. 284846-04).
Nel caso di specie la Corte di appello ha fatto corretta applicazione di tale principio.
Avendo escluso che nel fatto fossero ravvisabili gli elementi costitutivi della resistenza a pubblico ufficiale per mancanza di una condotta violenta o di una minaccia con finalità oppositiva all’azione dei militari intervenuti per sedare una lite e procedere al sequestro del coltello in possesso della ricorrente, che lo consegnava spontaneamente, ma si rivolgeva loro con espressioni ingiuriose, puntualmente riportate nel capo di imputazione e che la stessa difesa nell’atto di appello definiva come “pesanti e riprovevoli insulti indirizzati ai militari”, la Corte di appello ha qualificato la condotta come oltraggio, sussistendone gli elementi costitutivi. Le offese sono state, infatti, ritenute dirette a ledere sia l’onore che prestigio degli operanti, essendo state pronunciate a causa e nell’esercizio delle funzioni nonché in presenza di più persone.
Del tutto infondate sono anche le dedotte violazioni del diritto di difesa per non essere la riqualificazione avvenuta in contraddittorio, sia perché non si tratta di riqualificazione a sorpresa con inquadramento del fatto in fattispecie diversa e più grave, bensì in fattispecie meno grave e prevedibile in relazione a una condotta descritta precisamente nel capo di imputazione e dalla quale l’imputata si era potuta difendere, sia perché la garanzia del contraddittorio risulta, comunque, assicurata dalla possibilità di contestare la diversa qualificazione con il ricorso per cassazione, come nel caso di specie.
3. Privo di ogni fondatezza è anche il secondo motivo, stante la corretta risposta resa in sentenza in relazione alla dedotta prescrizione del reato contravvenzionale, commesso il 23 aprile 2018, alla data della sentenza di appello (18 settembre 2024), non essendo decorso il termine massimo di 5 anni, cui andavano aggiunti 21 giorni di sospensione per legittimo impedimento del difensore e il periodo di 1 anno, 5 mesi e 17 giorni ai sensi dell’art. 159, comma 2, codice di procedura penale nel testo vigente all’epoca di commissione del fatto. E ciò secondo la linea interpretativa di questa Corte, che in tema di prescrizione, ritiene applicabile ai reati commessi tra il 3 agosto 2017 e il 31 dicembre 2019 la disciplina prevista dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, cd. riforma Orlando, posto che il criterio della legge più favorevole stabilito all’art. 2,
comma quarto, cod. pen. assume come termini di raffronto la sospensione del decorso della prescrizione di cui all’art. 159, comma secondo, cod. pen., nel
testo previsto dall’art. 11, lett. b), legge cit. e l’art. 161-bis cod. pen., introdo dalla legge 27 settembre 2021, n. 134 (Sez. 4, n. 28474 del 10/07/2024,
COGNOME, Rv. 286811-02).
Interpretazione, questa, confermata dalla decisione delle Sezioni Unite del
12 dicembre 2024 – non sono ancora note le motivazioni-, secondo la quale per i reati commessi dal 3 agosto 2017 al 31 dicembre 2019 continua ad applicarsi la
disciplina della sospensione del corso della prescrizione di cui all’art. 159, commi secondo, terzo e quarto, cod. pen. nel testo introdotto dalla legge 23 giugno
2017, n. 103 anche dopo l’introduzione dell’art. 2, comma 1, a), della legge 27
novembre 2021, n. 134.
4. All’inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento
di una somma in favore della Cassa delle ammende, equitativamente determinata in tremila euro.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 9 maggio 2025
Il consigliere e e nsore
Il Pres ente