Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 1949 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 1949 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 05/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a ANCONA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/02/2023 della CORTE APPELLO di ANCONA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME
che ha concluso chiedendo
i v/
RITENUTO IN FATTO
Il ricorrente NOME COGNOME chiede l’annullamento senza rinvio della sentenza della Corte di appello di Ancona n. 321 del 14 Febbraio 2023 che ha confermato la condanna dell’imputato emessa dal Tribunale di Ancona in data 9 dicembre 2020 ma riqualificando la fattispecie ai sensi dell’art. 624bis cod. pen. in riferimento all’art. 625, n. 2, cod. pen.
Con un unico motivo di ricorso la difesa dell’imputato lamenta l’erronea applicazione dell’art. 597, comma 1, cod. proc. pen. in relazione al comma 3 dello stesso articolo, specificamente ritenendo che la Corte di appello di Ancona riqualificando la fattispecie ai sensi dell’art. 624-bis, comma 3, in riferimento all’art. 625, n. 2, cod. pen., abbia reso il fatto furtivo attribuito all’imputato procedibile non più a querela ma d’ufficio. Ritiene la difesa che con la nuova e più grave qualificazione giuridica data al fatto, pur non violando ex se il divieto di reformatio in peius, la Corte di appello ha effettuato un GLYPH indebito peggioramento della condizione processuale dell’imputato, in assenza di appello del pubblico ministero, su un punto della decisione non devoluto al giudice di secondo grado e pertanto violando l’art. 597, comma 3, cod. proc. pen.
Il procuratore generale ha chiesto dichiararsi l’inammisssibilità del ricorso.
A seguito di tale atto la difesa ha presentato una memoria con cui evidenzia la particolarità della riqualificazione giuridica del fatto laddove si proceda con rito abbreviato non condizionato all’integrazione probatoria, che presuppone la volontà di voler adire il rito alternativo sulla base dell’imputazione originaria, senza doversi trovare “di fronte ad una sorpresa processuale” data dalla riqualificazione del fatto. Inoltre la memoria osserva che la sopravvenuta procedibilità a querela ai sensi dell’art. 2, comma 2, cod. pen. GLYPH deve prevalere sulla GLYPH procedibilità di GLYPH ufficio emergente dalla riqualificazione del fatto decisa dalla corte di appello
CONSIDERATO IN DIRITTO
GLYPH L’unico motivo di ricorso presentato non merita l’accoglimento in quanto, pur in assenza dell’impugnazione da parte del pubblico ministero, il giudice ha il potere-dovere di dare la corretta qualificazione giuridica al fatto e se la conseguenza di tale riqualificazione comporta il mutamento del regime di procedibilità non v’è alcuna violazione del principio del divieto di reformatio in peius se non è conseguito alcun peggioramento del trattamento sanzionatorio.
Non si attagliano al caso in giudizio, pertanto, le decisioni citate dalla difesa (Sez. 5, n. 10543 del 24/01/2001, COGNOME, Rv. 218328-01 e Sez. 4, n. 31917 del 06/03/2009, COGNOME, P_IVA) che segnano un orientamento su una questione sostanzialmente differente e, comunque, risalente rispetto ai più recenti arresti di legittimità, corre da ultimo Sez. 6, n. 47488 del 17/11/2022, F., Rv. 284025 – 01, che stabilisce che “il giudice di appello, pur in difetto di gravame del pubblico ministero, può dare al fatto una diversa e più grave qualificazione giuridica, ove la questione sia strettamente connessa ad un capo o ad un punto della sentenza che abbia costituito oggetto dell’impugnazione, senza per questo violare il divieto di reformatio in peius, che investe solo il trattamento sanzionatorio in senso stretto, e, dunque, la specie e la quantità della pena.” In tal caso la Corte Suprema si è occupata di una fattispecie del tutto sovrapponibile a quella in esame, relativa a sentenza di appello che, riqualificando il delitto di cui all’art. 570, comma primo, cod. pen. in quello, procedibile di ufficio, di cui all’art. 570, comma secondo, n. 2, cod. pen., aveva neutralizzato l’intervenuta remissione di querela.
La difesa, invero, prospetta le proprie osservazioni, in base al principio devolutivo argomentando circa l’art. 597, comma 3, cod. proc. pen. e considerando che quanto stabilito dalla giurisprudenza in termini di ritenuta circostanza aggravante (con conseguente modifica della procedibilità) sia estensibile per analogia al caso di specie in cui dalla mera riqualificazione del fatto sia dipesa la procedibilità di ufficio.
Al riguardo si osservi che nella decisione impugnata l’aggravante ex art. 625, n. 2, cod. pen. era già originariamente contestata e nessuna novazione imputativa è avvenuta da parte della corte di apDello che ha soltanto riqualificato il fatto base, lasciando immutata la circostanza di aver eseguito il furto con violenza sulle cose. Il diverso regime di procedibilità segue automaticamente ad una mera riqualificazione del reato base (non opinata dalla difesa del ricorrente), riconducendo il fatto alla sua corretta configurazione giuridica ex art. 624-bis cod. pen., che era e rimane procedibile di ufficio anche dopo la recente riforma legislativa.
Non essendo stata ritenuta alcuna nuova circostanza, si noti che ai sensi dell’art. 597, comma 3, cod. proc. pen., quando l’appellante è l’imputato, dai limiti di intervento della Corte di appello è esclusa “la facoltà… di dare al fatto una definizione giuridica più grave” che quindi, sebbene entro i limiti previsti dal comma 1, può essere legittimamente disposta. Non v’è alcun riferimento nella disposizione citata ad una diversa proceclibilità quale automatica conseguenza di una diversa qualificazione giuridica. Pare evidente
pertanto che non rientra nello spettro dell’art. 597, comma 3, cod. proc. pen., il mutamento indiretto del regime di procedibilità.
Nella fattispecie la Corte di Ancona, peraltro, non ha trasformato un fatto ora procedibile a querela in un reato procedibile di ufficio ma ha semplicemente inquadrato giuridicamente il medesimo fatto che sarebbe stato comunque procedibile di ufficio se fosse stato correttamente qualificato già nel precedente grado di giudizio e in relazione al quale comunque è agli atti la denuncia-querela del 23 maggio 2022 presentata dalla p.o.
Non pare, peraltro, che siffatto esercizio del potere-dovere di riqualificazione del fatto digredisca dal principio devolutivo, atteso che è proprio sui binari del devolutum, quando appellante è l’imputato, che il giudice di appello ha “la facoltà, entro i limiti indicati nel comma 1, di dare una definizione giuridica più grave” (art. 597, comma 3, seconda parte, cod. proc. pen.).
Ne consegue la definizione del principio per cui la Corte di appello, in caso di appello presentato dal solo imputato, può procedere alla riqualificazione del fatto, anche se ciò comporta il mutamento da reato procedibile a querela a reato procedibile di ufficio, senza per questo violare il principio del divieto di reformatio in pelus.
Pertanto, si deve rigettare il motivo di ricorso e cDndannare il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 5 dicembre 2023
Il consigliere estensore