Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 5080 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6   Num. 5080  AVV_NOTAIO 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA
avverso la sentenza emessa il 06/03/2023 dalla Corte di appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il hcorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito il Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso; udito il difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con atto del proprio difensore, NOME COGNOME impugna la sentenza della Corte di appello di Roma in epigrafe indicata, che ne ha confermato la condanna per il delitto di induzione indebita ex art. 319-quater, cod. pen., per avere, in concorso con altri, abusando della qualità di funzionario dell’Agenzia delle entrate di uno di essi, indotto tale COGNOME a versare loro un’ingente somma di denaro,
al fine di addomesticare una prospettata verifica fiscale, in realtà non prevista e inesistente.
1.1. Egli si duole, anzitutto, della declaratoria d’inammissibilità della questione relativa alla riqualificazione del fatto nel reato di truffa, da lui proposta con motivi d’appello aggiunti.
La Corte distrettuale ha così deciso, in ragione della rilevata estraneità di tale questione rispetto ai motivi d’appello originari, limitati al trattamento sanzionatorio; in tal modo, però, essa sarebbe venuta meno – si sostiene – al proprio potere-dovere di esatta qualificazione gNOME del fatto, anche in assenza di specifico motivo d’impugnazione su tale profilo (si citano, in proposito, vari precedenti di legittimità).
1.2. Con la seconda doglianza si rappresenta la necessità di riqualificazione del fatto nell’ipotesi di truffa, per una duplice ragione, ovvero: a) perché nessuno dei concorrenti nel reato rivestiva la necessaria qualifica pubblica, in quanto l’unico prima d’allora effettivamente in servizio presso l’Agenzia delle entrate era stato nel frattempo collocato in quiescenza e non svolgeva neppure di fatto funzioni pubbliche; b) perché, comunque, il reato è stato posto in essere con inganno e non con un effettivo abuso della qualità da parte di un agente pubblico, secondo quanto affermato da questa Corte con la sentenza n. 1566 del 2021, emessa nei confronti di un altro dei concorrenti nel reato.
Ha depositato memoria scritta il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, concludendo per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN IDIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
L’art. 521, comma 1, cod. proc. pen., secondo cui «nella sentenza il giudice può dare al fatto una definizione gNOME diversa», è espressione del principio di legalità, sul quale è fondato il nostro ordinamento.
La corretta sussunzione della fattispecie concreta in quella tipica legale, l’accertamento, cioè, che fatto e schema legale coincidano, costituisce, perciò, indefettibile funzione della giurisdizione, imprescindibile corollario dello ius dicere (in questi termini, in motivazione, Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME Francesco, Rv. 205617).
Questo significa, dunque, che il potere di riqualificazione gNOME del fatto, così come può essere indiscutibilmente esercitato dal giudice d’appello di propria
iniziativa, a maggior ra g ione può e deve esserlo in presenza di una sollecitazione in tal senso di una delle parti processuali.
Tale potere, che, in q uanto coessenziale allo ius dicere, rappresenta un dovere per il g iudice, non può trovare ostacolo nel principio devolutivo delle impu g nazioni (fissato, per l’appello, dall’art. 597, comma 1, cod. proc. pen.), che è re g ola essenzialmente procedurale, funzionale, al pari di molte altre, a delimitare l’accesso alla g iurisdizione, ma che non può impedire la manifestazione essenziale di tale funzione, che è q uella di dare ad un fatto della realtà la sua corretta disciplina g NOME.
Del resto, se è vero che finanche la Corte di Cassazione può procedere alla ri q ualificazione gNOME del fatto pur q uando il relativo motivo non sia stato enunciato dall’imputato in appello (tra le tantissime, Sez. 6, n. 6578 del 25/01/2013, Piacentini, Rv. 254543), a ma gg ior ra g ione ciò deve ritenersi possibile per lo stesso g iudice d’appello, q uando la q uestione g li ven g a comun q ue sottoposta, con motivi nuovi presentati a norma dell’art. 585, comma 4, cod. proc. pen., od anche soltanto con le conclusioni rasse g nat in sede di discussione finale.
Ciò non di meno, non è possibile in q uesta sede dar se g uito alla ri q ualificazione del fatto, invocata dal ricorrente con il secondo motivo di ricorso.
La Corte di cassazione potrebbe procedervi soltanto entro i limiti in cui il fatto fosse stato g ià storicamente ricostruito in modo certo dai g iudici di merito (tra le tante: Sez. 2, n. 7462 del 30/01/2018, Lunarcli, Rv. 272091).
Nello specifico, invece, un tale accertamento manca del tutto, non avendo la Corte d’appello – coerentemente con la ritenuta inammissibilità delle q uestioni verificato la fondatezza o meno, nel merito, delle alle g azioni sulla scorta delle q uali si pretende di ricondurre i fatti ad un’ipotesi di truffa.
La sentenza impug nata, pertanto, dev’essere annullata con rinvio, rimettendo al  g iudice di merito la relativa inda g ine.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impu g nata, con rinvio per nuovo g iudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
Così deciso in Roma, il 9 g ennaio 2024.