Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 29480 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 29480 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MESSINA il 24/11/1975
avverso la sentenza del 12/02/2025 della CORTE APPELLO di MESSINA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di ROMA in qualità di sostituto processuale dell’avvocato NOMECOGNOME del foro di MESSINA difensore della parte civile COGNOME giusta nomina depositata in udienza, ai fini di poter patrocinare innanzi questa Corte, il quale deposita conclusioni scritte, nota spese e si riporta alla comparsa conclusionale depositata.
E presente l’avvocato COGNOME del foro di MESSINA in difesa di COGNOME il quale si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede raccoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Messina ha confermato la sentenza emessa il 02/02/2024 dal Tribunale di Messina nei confronti di NOME COGNOME – imputato del reato previsto dagli artt. 590-bis e 590-ter cod.pen. – con la quale lo stesso, previa riqualificazione dei fatti ascritt sotto la specie di quelli previsti dagli artt. 590 cod.pen. e 189, comma 7, d.lgs. 30 aprile 1992, n.285, era stato condannato alla pena di mesi nove di reclusione, oltre che al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile NOME COGNOME da liquidarsi in separato giudizio, con fissazione di una provvisionale di C 1.500,00, applicandosi altresì la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per la durata di un anno e sei mesi.
Era stato ascritto all’imputato di avere – nel percorrere a bordo del proprio motociclo la INDIRIZZO di Messina – effettuato una non consentita manovra di inversione di marcia, di modo che il conducente che lo seguiva, alla guida del proprio motociclo, per evitare l’impatto, era caduto a terra strisciando contro l’asfalto e procurandosi lesioni guaribili in giorni quindici.
La Corte territoriale ha rigettato il motivo riguardante la dedotta violazione degli artt. 423, 516 e 521 cod.proc.pen., fondato sul fatto che il pubblico ministero d’udienza aveva richiesto la riqualificazione dei fatti originariamente ascritti dopo le conclusioni del difensore e senza che lo stésso fosse stato posto nella condizione di richiedere un termine; ha ritenuto infondata la prospettazione evidenziando che la riqualificazione era stata prospettata in sede di requisitoria del p.m. e non, come sostenuto, dopo la chiusura della discussione e che, in ogni caso, non era intervenuta una modifica fattuale dell’imputazione e che, di fatto, non era stata lesa alcuna prerogativa difensiva.
Ha rigettato il motivo di appello riguardante la richiesta rinnovazione dell’istruttoria ai sensi dell’art.603 cod.proc.pen. oltre che la complessiva valutazione del materiale probatorio; ha infatti esposto che le dichiarazioni della persona offesa dovevano ritenersi del tutto lineari e coerenti oltre che riscontrate da quanto dichiarato dai testi oculari e non smentite dai rilievi effettuati dall Polizia Municipale; concludendone che non sussistevano le condizioni per procedere a un’integrazione probatoria con i soggetti già indicati in sede di richiesta formulata ai sensi dell’art.507 cod.proc.pen..
Infine, ha ritenuto infondato il motivo con il quale era stata richiesta l’applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art.131-bis cod.pen., atteso che l’offesa arrecata non poteva considerarsi di particolare tenuità ed era connotata da un rilevante disvalore penale.
Avverso la predetta sentenza ha presentato ricorso per cassazione NOME COGNOME tramite il proprio difensore, articolando cinque motivi di impugnazione.
Con il primo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett.b), ed) cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 521, 522, 423 e 516 cod.proc.pen..
Ha dedotto che la riqualificazione dei fatti ascritti era stata richiesta dal p.m. d’udienza dopo le conclusioni del difensore in sede di discussione, il tutto in complessiva violazione delle prerogative dell’imputato, impossibilitato a chiedere un termine a difesa; ha quindi dedotto il difetto di correlazione tra fatto ascritto fatto ritenuto in sentenza, essendo stato valutato sussistente il reato previsto dall’art.189, comma 7, C.d.s. in luogo della originaria circostanza aggravante prevista dall’art.590-ter cod.pen.; richiamando, sul punto, la giurisprudenza della CEDU con particolare riferimento al caso RAGIONE_SOCIALE e deducendo che la fattispecie prevista dall’art.189, comma 7, C.d.s. comportava un trattamento peggiorativo con specifico riferimento alla sanzione accessoria della sospensione della patente di guida.
Con il secondo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.d) ed e), cod.proc.pen. – l’erronea applicazione dell’art.603 cod.proc.pen..
Ha esposto che, sulla base della prospettazione difensiva sostenuta in sede di appello, non poteva.giungersi a una certa ricostruzione della dinamica del sinistro, stante il contrasto tra quanto riferito dall’imputato e dalla persona offesa, ragione per la quale non si era proceduto da parte della Polizia municipale alla contestazione di violazioni del codice della strada; ha quindi ritenuto che i giudici di merito avrebbero illogicamente ritenuto attendibili le dichiarazioni della persona offesa valorizzando anche i rilievi fotografici eseguiti dagli operanti, sulla base dei quali non era desumibile alcun effettivo riscontro rispetto a tale versione; ha altresì dedotto che la riqualificazione del fatto sotto la specie di quello previsto dall’art.189, comma 7, C.d.s., avrebbe dovuto indurre la Corte territoriale a rinnovare l’istruttoria mediante l’escussione dei soggetti indicati nella richiesta presentata ai sensi dell’art.507 cod.proc.pen..
Con il terzo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen. – l’errore compiuto dai giudici di merito nella valutazione delle dichiarazioni della persona offesa, nonostante le contraddizioni in cui questa sarebbe incorsa e il mancato riscontro in seno alle altre testimonianze e alla dinamica ricostruita dagli operanti,
Con il quarto motivo ha censurato la valutazione della Corte territoriale – ai sensi dell’art.606, comma 1, (ett.b), cod.proc.pen. – sotto il profilo della mancata applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art.131-bis cod.pen..
Ha dedotto la sussistenza di tutti i presupposti previsti dalla suddetta disposizione, atteso il modesto disvalore penale del fatto e la concreta dinamica del sinistro.
Con il quinto motivo ha formulato una richiesta di sospensione dell’efficacia esecutiva della provvisionale, attesa la mancanza di motivazioni addotte a fondamento da parte dei giudici di merito in punto di relativa quantificazione.
Il Procuratore generale ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Va premesso che, vertendosi – in punto di valutazione di responsabilità dell’odierno ricorrente – in una fattispecie di c.d. doppia conforme, le due decisioni di merito vanno lette congiuntamente, integrandosi le stesse a vicenda, secondo il tradizionale insegnamento della Suprema Corte; tanto in base al principio per cui «Il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità de motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato – GLYPH . GLYPH · GLYPH -organico ed inscindibile» (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, COGNOME, Rv. 209145 . ; in conformità, t -ra le numerose altre, Sez. 6, n. 11878 del 20/01/2003, Vigevano, Rv. 224079; Sez. 6, n. 23248 del 07/02/2003, COGNOME, Rv. 225671; Sez. 5, n. 14022·del 12/01/2016, Genitore, Rv. 266617).
Con il primo motivo di ricorso, l’imputato ha dedotto che l’originario capo di imputazione (facente riferimento al reato previsto dall’art.590-bis cod.pen., aggravato ai sensi dell’art.590-ter cod.pen.), sarebbe stato oggetto di irrituale modifica da parte del p.m. in sede di discussione finale; con la conseguenza che la condanna per i diversi reati previsti dall’art.590 cod.pen. e dall’art.189, comma 7, C.d.s. avrebbe determinato un vizio di nullità della sentenza, in riferimento all’art.522 cod.pen., derivante dalla mancata correlazione con l’originario capo di imputazione.
Il motivo, reiterativo di argomentazioni già esposte di fronte al giudice di appello, è infondato.
Va premesso, sul punto, che, allorché sia dedotto, mediante ricorso per cassazione, un error in procedendo ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la Corte di legittimità è giudice anche del fatto e, per risolvere l
relativa questione, può accedere all’esame diretto degli atti processuali, che resta, invece, precluso dal riferimento al testo del provvedimento impugnato contenuto nella lett. e), del citato articolo, quando risulti denunziata la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092, in senso conforme Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, dep. 2018, F., Rv. 273525).
In ordine alla relativa problematica, le Sezioni Unite hanno quindi affermato in più occasioni il principio in base al quale, in relazione al rispetto del combinato disposto degli artt. 521 e 522 cod.proc.pen., per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, cosicché si pervenga ad una incertezza sull’oggetto della imputazione da cui scaturisca, un reale pregiudizio dei diritti della difesa; conseguendone che l’indagine non va esaurita nel mero e pedissequo confronto puramente letterale tra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto della imputazione (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205619; Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051).
Specificamente, sulla base di argomentazioni speculari, questa Corte ha ritenuto violato il principio di correlazione – in materia di addebiti colposi, come quelli contestati nel caso di specie – solo nel caso di radicale mutamento, negli aspetti costitutivi essenziali, delle condotte contestate e delle regole cautelari che si ritengono violate, produttivo di un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa (Sez. 4, n. 18366 del 17/01/2024, T., Rv. 286379).
Peraltro, nel caso in esame, non vi è stata una modifica dei termini fattuali dell’originaria imputazione da parte del giudice adito bensì soltanto una richiesta da parte del p.m. d’udienza, al termine della discussione e in sede di repliche, di riqualificazione dei fatti ascritti sotto la specie dell’art.590 cod.pen. dell’art.189 C.d.s.; riqualificazione, incidentalmente, determinata dalla sopravvenuta modifica dell’art.590-bis cod.pen. intervenuta per effetto della I. 23 marzo 2016, n.41 e dall’inapplicabilità, in ordine alla condotta di fuga tenuta dopo l’incidente, dell’art.590-ter cod.pen., in quanto riferita alle sole ipotesi di lesi gravi o gravissime di cui all’attuale testo dell’art.590-bis cod.pen..
Infatti, deve rilevarsi che il pubblico ministero d’udienza non ha effettuato alcuna immutazione in punto di elementi fattuali dell’imputazione, limitandosi a una mera riqualificazione del medesimo fatto sotto la specie di diverse fattispecie astratte.
D’altra parte, dalla lettura del verbale si evince che la difesa aveva rinunciato a ulteriori “repliche”; mentre, quanto alla mancata concessione del termine a difesa da parte del giudice, prevista dallo stesso art.519 cod.proc.pen., la giurisprudenza di questa Corte ha comunque chiarito che si verte in un ambito di nullità a regime intermedio che, in quanto tale, deve essere dedotta dal difensore presente prima di ogni altra difesa e, conseguentemente, da ritenersi sanata dall’omessa eccezione al momento della modifica del capo di imputazione ai sensi dell’art.182 cod.proc.pen. (Sez. 3, n. 16848 del 03/02/2010, COGNOME, Rv. 246975; cfr. anche Sez. 4, n. 33869 del 28/10/2020, COGNOME, Rv. 279947).
In conclusione, deve ritenersi che non si sia perfezionata alcuna lesione dei diritti di difesa suscettibili di essere posti alla base di ricorso per cassazione.
Il secondo motivo – pure reiterativo di censure già spiegate di fronte al giudice di appello – è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Il ricorrente ha lamentato la mancata integrazione dell’istruttoria dibattimentale ai sensi dell’art.603 cod.proc.pen., da operarsi mediante soggetti dei quali era stata già chiesta l’escussione al giudice di primo grado ai sensi dell’art.507 cod.proc.pen..
Deve quindi pregiudizialmente rilevarsi, in ordine alla richiesta di attivazione dei poteri conferiti al giudice di appello da parte degli artt. 603, commi 1 e 3, cod.proc.pen., che l’istanza medesima deve essere condotta sulla scorta dei principi della assoluta necessarietà e decisività della prova, in relazione ai quali l’intervento del giudice di legittimità non può che essere ricondotto, prescindendo da strette valutazioni di merito, sui parametri della coerenza e logicità della decisione adottata da parte del giudice di appello.
Specificamente, questa Corte ha rilevato che deve ritenersi consolidato il principio secondo cui la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di appello costituisce un’evenienza eccezionale, subordinata a una valutazione giudiziale di assoluta necessità conseguente all’insufficienza degli elementi istruttori già acquisiti, che impone l’assunzione di ulteriori mezzi istruttori pur s le parti non abbiano provveduto a presentare la relativa istanza nel termine stabilito dall’art. 468 cod.proc.pen. (Sez. 2, n. 3458 del 01/12/2005, Di Gloria COGNOME, dep. 2006, Rv. 233391).
Proprio in ragione del carattere eccezionale della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello, il mancato accoglimento della richiesta intanto può essere censurato in sede di legittimità, in quanto risulti dimostrata la oggettiva necessità dell’adempimento in questione e, dunque, l’erroneità di quanto esplicitamente o implicitamente ritenuto dal giudice di merito circa la possibilità di
«decidere allo stato degli atti», come previsto dall’art. 603, comma 1, cod.proc.pen..
Ne discende che il ricorrente deve dimostrare l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate qualora fosse stato provveduto, come richiesto, all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in sede di appello (Sez. 1, n. 9151 del 28/06/1999, Capitani, Rv. 213923; Sez. 6, n. 1256 del 28/11/2013, dep. 2024, COGNOME, Rv. 258236; Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014, dep. 2015, PR, Rv. 261799) essendo quindi essenziale la desunnibilità, dal tessuto argonnentativo della sentenza, posto in relazione alle censure difensive, di una grave lacuna del ragionamento probatorio e della sua rappresentazione a livello motivazionale (Sez. 5, n. 32379 del 12/04/2018, COGNOME, Rv. 273577).
D’altro canto, sempre in riferimento alle censure suddette, costituisce pure principio consolidato quello per il quale la mancata assunzione di una prova decisiva, quale motivo d’impugnazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. d) cod. proc. pen., può essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione ai sensi dell’art. 495, comma 2, cod. proc. pen., sicché il motivo non potrà essere validamente articolato nel caso in cui – come in quello di specie – il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l’invito a giudice di merito ad avvalersi dei’ poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all’art. 507 cod. proc. pen. e da questi sia stato ritenuto non necessario ai fini della decisione (Sez. 2, n. 841 del 18/12/2012, COGNOME, Rv. 254052; Sez. 5, n. 4672 del 24/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269270; Sez. 2, n. 884 del 22/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285722).
Ne deriva che non sussisteva – in linea di principio – alcun obbligo da parte della Corte territoriale di attivare i poteri di rinnovazione istruttoria confe dall’art.603, comma 1-3, cod.proc.pen.; con la conseguenza che il rigetto delle relative richieste deve essere valutato in riferimento alla sola tenuta logica della parte argomentativa della sentenza.
Il ricorrente, quindi, nell’ambito dello stesso secondo motivo di impugnazione e del successivo terzo motivo ha censurato dal punto di vista della logicità la motivazione della sentenza gravata, nella parte in cui ha aderito alla ricostruzione fenomenica dell’evento operata da parte della persona offesa; la quale, nel corso del primo grado di giudizio, ha riferito che l’incidente si era verificato a causa di una manovra di inversione di marcia (in violazione delle disposizioni contenute nell’art. 154 C.d.s.) che aveva determinato, a seguito
dell’impossibilità di una tempestiva frenata, l’impatto con il motociclo condotto dall’imputato.
Deve quindi ritenersi che, sul punto, la motivazione dei giudici di merito non sia incorsa in alcuna violazione delle regole probatorie applicabili nel caso concreto.
Come è noto, questa Corte ha espresso il principio per cui le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, BellRAGIONE_SOCIALE, Rv. 253214).
Nel caso di specie, la Corte ha fondato il proprio convincimento – oltre che sulla intrinsecamente coerente testimonianza della persona offesa – anche sulle dichiarazioni rese dal teste NOME COGNOME che ha sostanzialmente confermato la dinamica del sinistro esposta dal COGNOME, nonché sulle sommarie informazioni testimoniali, acquisiti agli atti, di NOME COGNOME poi confermate in sede dibattimentale; deve quindi ritenersi che la versione della persona offesa, già di per sé intrinsecamente attendibile, sia stata espressamente confermata da altri elementi di prova.
Ne deriva che, in relazione a tale quadro probatorio, non assume rilevanza al fine di connotare di illogicità le conclusioni dei giudici di merito la sola circostanza dedotta dalla difesa, riguardante l’omessa contestazione di violazioni del codice della strada da parte della polizia municipale locale; a propria volta giustificata, sulla base della testimonianza dell’ispettore COGNOME, dal solo oggettivo contrasto delle dichiarazioni rese, nell’immediatezza del fatto, dall’imputato e dalla persona offesa.
Il quarto motivo di ricorso, attinente alla mancata concessione della causa di non punibilità prevista dall’art.131bis cod.pen., è infondato.
In ordine alla mancata applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art.131-bis cod.pen. va premesso che, come rilevato da Sez. U, 25/02/2016, n.13681, Tushaj, Rv. 266590-01, il fatto particolarmente tenue va individuato alla stregua di caratteri riconducibili a tre categorie di indicatori, ovvero le modalità della condotta, l’esiguità del danno o del pericolo, il grado della colpevolezza.
Da ciò consegue che il giudizio sulla tenuità del fatto richiede una valutazione complessa che ha ad oggetto le modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo valutate ai sensi dell’art. 133, comma 1, cod.pen.; si richiede, in
particolare, una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta e non solo di quelle che attengono all’entità dell’aggressione del bene giuridico protetto, tanto sul fondamentale rilievo che il disvalore penale del fatto, per assegnare allo stesso l’attributo della particolare tenuità, dipende dalla concreta manifestazione del reato, che ne segna perciò il disvalore.
Nel pervenire a tale conclusione, le Sezioni Unite hanno ritenuto illuminante il riferimento testuale, contenuto nell’art. 131bis cod. pen., alle modalità della condotta, segno che la nuova normativa non si interessa tanto della condotta tipica, bensì ha riguardo alle forme di estrinsecazione del comportamento, anche in considerazione delle componenti soggettive della condotta stessa, al fine di valutarne complessivamente la gravità, l’entità del contrasto rispetto alla legge e conseguentemente il bisogno di pena.
In altri termini, ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità, occorr avere riguardo, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, al fatto storico, alla situazione reale ed irripetibile costituita da tutti gli elementi di fatto concretament realizzati dall’agente perché non è in questione la conformità del fatto al tipo (la causa di non punibilità presuppone l’esistenza di un fatto conforme al tipo ed offensivo ma il cui grado di offesa sia particolarmente tenue tanto da non richiedere necessità di pena), bensì l’entità del suo complessivo disvalore e questo spiega il riferimento alla connotazione storica della condotta nella sua componente oggettiva e soggettiva.
La necessità di compiere questa complessa valutazione alla luce dell’art.133; comma 1, cod. pen. mette in campo, oltre alle caratteristiche dell’azione e alla gravità del danno o del pericolo, anche l’intensità del dolo e il grado della colpa, per cui essendo richiesta, nell’ottica delle Sezioni Unite, la ponderazione della colpevolezza in termini di esiguità e quindi la sua graduazione, è del tutto naturale che il giudice sia chiamato ad un apprezzamento di tutte le rilevanti contingenze che caratterizzano ciascuna vicenda concreta ed in specie di quelle afferenti alla condotta; ed anche riguardo alla ponderazione dell’entità del danno o del pericolo occorre compiere una valutazione mirata sulla manifestazione del reato, sulle sue conseguenze, sicché l’esiguità del disvalore è frutto di una valutazione congiunta degli indicatori afferenti alla condotta, al danno ed alla colpevolezza.
E potrà ben accadere che si sia in presenza di elementi di giudizio di segno opposto da soppesare e bilanciare prudentemente, fermo restando che la valutazione debba essere ancorata ad elementi connotanti il caso concreto.
Da tale premessa deriva come la particolare tenuità dell’offesa costituisca la risultante della positiva valutazione tanto delle modalità della condotta nella sua componente oggettiva (avuto riguardo alla natura, alla specie, ai mezzi, all’oggetto, al tempo, al luogo e ad ogni altra modalità dell’azione secondo quanto
prevede l’art.133, comma 1, n. 1 cod. pen.) e nella sua componente soggettiva (avuto riguardo all’intensità del dolo o al grado della colpa secondo quanto prevede l’art. 133, comma 1, n. 3 cod. pen.), quanto del danno o del pericolo (avuto riguardo all’entità del danno o del pericolo cagionato secondo quanto prevede l’art. 133, comma 1, n. 2 cod. pen.); tenendo altresì conto – sulla base della modifica operata dall’art.1, comma 1, lett.c), n.1), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n.150 – del parametro costituito dal comportamento susseguente al reato.
All’interno di ogni indicatore il giudice è quindi chiamato a operare un bilanciamento tra i vari elementi del caso concreto (riferito all’episodio della vita e alle specifiche e singolari forme di manifestazione del reato, che ovviamente variano da caso a caso pure in presenza della violazione di una stessa norma penale), conseguendone che il giudizio finale di particolare tenuità dell’offesa postula necessariamente la positiva valutazione di tutte le componenti richieste per l’integrazione della fattispecie, sicché i criteri indicati nel primo comma dell’art. 131bis cod. pen. sono cumulativi quanto al giudizio finale circa la particolare tenuità dell’offesa ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità e alternativi quanto al diniego, nel senso che l’applicazione della causa di non punibilità in questione è preclusa dalla valutazione negativa anche di uno solo di essi (infatti, secondo il tenore letterale dell’art. 131bis cod. pen., nella parte d primo comma che qui interessa, la punibilità è esclusa quando, sia per le modalità della condotta che per l’esiguità del danno o del pericolo, l’offesa è di particolare tenuità; in senso conforme Sez. – 6, n. 55107 dà – 08)11/2018, Miloie Rv. 274647).
Nel caso di specie, NOMECOGNOME – orié dell’applicazione della relativa causa di non punibilità appare congrua, avendo la Corte dato adeguato rilievo all’elemento del danno o del pericolo e alle modalità della condotta, sulla base del disvalore del fatto desumibile – oltre che dalla dinamica del sinistro – specificamente dal comportamento tenuto dall’imputato dopo l’incidente.
7. Quanto alla richiesta di sospensione dei capi civili della sentenza impugnata (istanza proponibile anche nei riguardi della provvisionale, Sez. U, n. 53153 del 27/10/2016, C., Rv. 268180), la stessa è condizionata alla deduzione un pregiudizio eccessivo per il debitore, che può consistere nella distruzione di un bene non reintegrabile ovvero, se si tratta di somme di denaro, nel nocumento derivante dal palese stato di insolvibilità del destinatario della provvisionale, tale da rendere impossibile o altamente difficoltoso il recupero di quanto pagato, nel caso di modifica della condanna (Sez. 4, n. 927 28/09/2022, COGNOME, Rv. 283931).
Si tratta di tematica da ritenersi comunque assorbita per effetto del mancato accoglimento dei precedenti motivi di ricorso
8. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla refusione delle spese sostenute dalla parte civile nel
presente giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.
In ordine alla deduzione spiegata dal difensore dell’imputato in sede di discussione, va rilevato che le spese possono essere riconosciute anche alla parte
civile rappresentata da avvocato non cassazionista, qualora questi (come nel caso di specie) abbia designato quale sostituto, per il deposito delle relative conclusioni,
un avvocato regolarmente abilitato (in applicazione del principio dettato da Sez.
U, n. 40517 del 28/04/2016, COGNOME, Rv. 267627).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese di giudizio sostenute nel presente grado di
legittimità dalla parte civile COGNOME NOMECOGNOME che liquida in euro tremila. oltr accessori come per legge.