Riqualificazione del Reato: Quando la Competenza del Giudice Non Cambia
L’ordinanza della Corte di Cassazione in esame affronta un’interessante questione di procedura penale relativa alla riqualificazione del reato e ai suoi effetti sulla competenza del giudice. Il caso, partito come un’accusa di tentata rapina, si è concluso con una condanna per il meno grave reato di percosse. Questa modifica ha sollevato dubbi sulla corretta sede processuale, portando la vicenda fino al vaglio della Suprema Corte.
I Fatti del Caso
Un giovane uomo veniva inizialmente accusato di tentata rapina. Secondo la ricostruzione basata sulle dichiarazioni della persona offesa, l’imputato l’avrebbe prima aggredita fisicamente e poi avrebbe tentato di strapparle una collanina, senza riuscire a impossessarsene. Un fatto che, così descritto, integrava chiaramente il reato previsto dagli artt. 56 e 628 del codice penale, di competenza del Tribunale.
Durante il processo, tuttavia, il Tribunale ha accolto una diversa versione dei fatti. Dando credito alla difesa dell’imputato, che sosteneva di aver agito in stato di ebbrezza alcolica con il solo scopo di schernire la vittima, i giudici hanno escluso la volontà di impossessarsi del bene. Di conseguenza, hanno operato una riqualificazione del reato, derubricando l’accusa da tentata rapina a semplice percosse (art. 581 cod. pen.), un illecito di competenza del Giudice di Pace.
La Corte d’Appello confermava la condanna per percosse, riducendo la pena a una multa. Contro questa decisione, l’imputato proponeva ricorso in Cassazione.
La Riqualificazione del Reato e il Principio di Competenza
Il motivo principale del ricorso si basava proprio sulla questione della competenza. La difesa sosteneva che, una volta riqualificato il fatto come percosse, il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare la propria incompetenza in favore del Giudice di Pace, l’organo naturalmente preposto a giudicare tale reato. Secondo questa tesi, il processo svoltosi davanti al Tribunale sarebbe stato, quindi, viziato.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo chiarimenti decisivi sul principio della perpetuatio iurisdictionis nel processo penale. I giudici hanno stabilito che il primo motivo di ricorso era manifestamente infondato.
Il punto centrale della decisione risiede nel momento in cui si determina la competenza. La giurisprudenza di legittimità, in particolare a Sezioni Unite, ha consolidato il principio secondo cui la competenza del giudice rimane fissa (perpetuatio iurisdictionis) quando il reato gli è stato correttamente attribuito all’inizio del procedimento (ab origine). In questo caso, l’imputazione originaria per tentata rapina era stata correttamente formulata dal pubblico ministero sulla base delle prove iniziali e attribuita al Tribunale, che era il giudice competente per quel reato.
La successiva riqualificazione del reato non è derivata da un errore iniziale di attribuzione, ma da una diversa valutazione delle prove emersa durante il dibattimento. È stato all’esito dell’istruttoria che il giudice, con una decisione definita ‘benevola’, ha ritenuto non provato il dolo di rapina. Questo cambiamento nella qualificazione giuridica, avvenuto nel corso del processo, non può avere l’effetto retroattivo di spostare la competenza a un altro giudice.
Inoltre, la Corte ha dichiarato inammissibile anche il secondo motivo di ricorso, relativo a presunti vizi di motivazione. È stato ricordato che, per i reati di competenza del Giudice di Pace (come le percosse), l’articolo 606, comma 2-bis, del codice di procedura penale esclude la possibilità di ricorrere in Cassazione per vizio di motivazione avverso le sentenze d’appello.
Le Conclusioni
L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale per la stabilità e la certezza del processo penale: la competenza si radica al momento dell’esercizio dell’azione penale sulla base dell’imputazione formulata. Se tale imputazione è corretta, eventuali modifiche successive della qualificazione giuridica del fatto, dovute all’approfondimento probatorio, non incidono sulla competenza del giudice già individuato. Questa regola evita che i processi subiscano interruzioni e spostamenti a causa delle dinamiche istruttorie, garantendo una maggiore efficienza della giustizia.
Se un reato viene riqualificato in uno di competenza del Giudice di Pace, il processo deve spostarsi davanti a quest’ultimo?
No. Secondo la Corte, se l’imputazione originale era corretta e di competenza del Tribunale, quest’ultimo mantiene la giurisdizione anche dopo la riqualificazione del reato in una fattispecie minore. Si applica il principio della
perpetuatio iurisdictionis.
Perché la competenza del Tribunale è rimasta valida in questo caso?
Perché l’accusa iniziale di tentata rapina, basata sulle dichiarazioni della vittima, era stata correttamente attribuita alla competenza del Tribunale. La successiva riqualificazione in percosse è derivata da una diversa valutazione delle prove emersa solo nel corso del dibattimento.
È possibile contestare in Cassazione la motivazione di una sentenza d’appello per un reato di competenza del Giudice di Pace?
No, l’ordinanza chiarisce che per i reati di competenza del Giudice di Pace, il ricorso per cassazione avverso le sentenze di appello non può basarsi su un vizio di motivazione, come previsto dall’art. 606, comma 2-bis, del codice di procedura penale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20449 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20449 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) nato a FIRENZE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 26/10/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che l’imputato COGNOME ricorre avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Firenze ne ha confermato la condanna per il reato percosse ex art. 581, cod. pen. (così riqualificata l’originaria imputazione di tentata rapina), riducendo però la pena inflitta ad euro 1.000 di multa in applicazione dell’art. 52 d. Igs. n. 274 del 2000;
Considerato che il primo motivo di ricorso, che eccepisce l’incompetenza del Tribunale in favore del giudice di pace, è manifestamente infondato in quanto:
secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, nel caso di riqualificazione del fatto in un reato di competenza del giudice di pace, la competenza del giudice togato rimane ferma in applicazione del criterio della “perpetuatio iurisdictionis” quando il reato gli sia stato correl:tamente attribuito “ah origine” e la riqualificazione sia dovuta ad acquisizioni probatorie sopravvenute nel corso del processo (Sez. U, n. 28908 del 27/09/2018, dep. 2019, Balais, Rv. 275869 – 01);
nella specie il reato era stato correttamente attribuito al Tribunale dato che, in base alle dichiarazioni rese dalla persona offesa, l’imputato, dopo aver aggredito fisicamente la vittima, aveva strappato di dosso a quest’ultima la collanina senza però riuscire ad impossessarsene: fatto pacificamente riconducibile al reato di cui agli artt. 56-628 cod. pen., correttamente contestato dal pubblico ministero e attribuito alla competenza del Tribunale;
il Tribunale, con una decisione particolarmente benevola, escludevano la volontà di impossessamento del bene, assegnando fiducia alle dichiarazioni dell’imputato che aveva riferito di aver agito in stato di ebbrezza alcolica con l’unica finalità di schernire la vittima;
è evidente che la riqualificazione è derivata da una diversa valutazione di un elemento costitutivo del reato (Sez. 5, n. 13799, del 12/02/2020, Rv. 279158-01) svolta dal giudice del dibattimento, all’esito dell’istruttoria;
Ritenuto che il secondo motivo di ricorso è inammissibile:
nella parte in cui denuncia un vizio di motivazione che, però, non deducibile ex art. artt. 606, comma 2-bis, nel caso di ricorso avverso le sentenze di appello pronunciate per reati di competenza del giudice di pace;
nella parte in cui lamenta l’inosservanza dell’art. 110 cod. pen., poiché si risolve in mere doglianze in punto di fatto volte a prefigurare una non consentita rilettura delle fonti probatorie;
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 08/05/2024