Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 6262 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 6262 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato ad ASTI il 30/04/1968
avverso la sentenza del 23/04/2024 della CORTE APPELLO di TORINO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito l’avvocato NOME COGNOME del foro di ROMA in sostituzione, ex art.102 c.p.p. per delega scritta, dell’avvocato NOME COGNOME del foro di TORINO in difesa di COGNOME NOMECOGNOME il quale si riporta ai motivi di ricorso depositati ne chiede l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 23.4.2024, la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato improcedibile per difetto di querela il reato di furto della somma di euro 38.400,00 contestato a NOME COGNOME e ha riqualificato le restanti condotte, consistenti nell’indebito utilizzo dell carta bancomat intestata a NOME COGNOME, nel reato di cui agli artt. 81 cpv., 493-ter cod. pen., confermando nel resto.
La vicenda attiene ai prelievi effettuati dall’imputato, quale soggetto delegato ad operare sul conto corrente bancario intestato a NOME COGNOME, subito dopo il decesso di quest’ultimo, avvenuto alle ore 01.20 del 17.6.2018 a seguito di un incidente stradale, per un importo complessivo di euro 42.101,33.
Avverso la prefata sentenza propone ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentando (in sintesi, giusta il disposto di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.) quanto segue.
Violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla qualificazione giuridica diversa e più grave data al fatto dalla Corte torinese in assenza di appello del pubblico ministero ed in assenza di impugnazione dell’imputato in punto di qualificazione giuridica del fatto.
II) Violazione di legge quanto al coefficiente di imputazione soggettiva richiesto per pronunciare una condanna, non avendo l’imputato effettuato i prelievi in questione a fini di profitto.
III) Vizio di motivazione, per non essere stata raggiunta la prova della colpevolezza dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio, non potendosi escludere che l’imputato avesse agito non al fine di profitto ma per far fronte a debiti pregressi del titolare deceduto.
IV) Violazione di legge e vizio di motivazione, quanto alla mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.
Vizio di motivazione, in relazione alla conferma delle statuizioni civili ed alla condanna alla rifusione delle spese della parte civile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è infondato.
Si deve qui richiamare il condivisibile orientamento secondo cui il giudice di appello, pur in presenza dell’impugnazione del solo imputato, può procedere alla riqualificazione giuridica del fatto nel rispetto del principio del giu
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processo previsto dall’art. 6 CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, anche senza disporre la rinnovazione totale o parziale dell’istruttoria dibattimentale, sempre che sia sufficientemente prevedibile la ridefinizione dell’accusa inizialmente formulata, che il condannato sia in condizione di far valere le proprie ragioni in merito alla nuova definizione giuridica del fatto e che questa non comporti una modifica “in peius” del trattamento sanzionatorio (cfr. Sez. 3, n. 9457 del 19/01/2024, Rv. 286026 01). Sulla stessa linea, è stato affermato che il giudice di appello, pur in difett di gravame del pubblico ministero, può dare al fatto una diversa e più grave qualificazione giuridica, ove la questione sia strettamente connessa ad un capo o ad un punto della sentenza che abbia costituito oggetto dell’impugnazione, senza per questo violare il divieto di “reformatio in peius”, che investe solo trattamento sanzionatorio in senso stretto, e, dunque, la specie e la quantità della pena (cfr. Sez. 6, n. 47488 del 17/11/2022, Rv. 284025 – 01).
2.1. In altri termini, non si può negare al giudice il potere, immanente al sistema, di riqualificare giuridicamente il fatto, né si può prospettare una possibile violazione del principio del fair trial così come declinato dall’art. 6 CEDU. Anche per la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è possibile e consentita la riqualificazione giuridica del fatto, sempre che: a) sia sufficientemente prevedibile la ridefinizione dell’accusa inizialmente formulata; b) la riqualificazione giuridica non comporti una modifica “in peius” del trattamento sanzionatorio e del computo della prescrizione; c) il condannato sia stato messo in grado di far valere le proprie ragioni in merito alla nuova definizione giuridic del fatto (Sez. 2, n. 38049 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260585; Sez. 2, n. 2884 del 16/1/2015, COGNOME, Rv. 262285; Sez. 4, n. 23186 del 13/4/2016, Suffer, Rv. 268995; Sez. 2, n. 39961 del 19/7/2018, COGNOME, Rv. 273922).
2.2. Tutte le superiori condizioni sono rispettate nel caso in esame, in cui la Corte territoriale ha proceduto ad una riqualificazione giuridica della condotta ritenendola integrare la fattispecie di cui all’art. 493-ter, per avere l’imputa utilizzato una carta di debito di cui non era titolare, anziché quella di fur aggravato, tenuto conto della materialità della condotta, che rende “prevedibile” la diversa qualificazione giuridica come possibile epilogo decisorio rispetto all’iniziale accusa. Invero, nel rispetto della regola di sistema desumibile dalla pronuncia della Corte EDU Drassich c. Italia del 11 dicembre 2007 (in tema di correlazione tra accusa e sentenza), la diversa qualificazione del fatto effettuata dal giudice di appello non ha determinato alcun vulnus delle prerogative difensive né alcuna compressione o limitazione del diritto al contraddittorio, essendo rimasto consentito all’imputato di contestarla con il ricorso per cassazione, e non avendo, infine, la diversa qualificazione giuridica comportato,
in definitiva, un trattamento in peius (Sez. 5, n. 36157 del 30/04/2019, Rv. 277403 – 01; Sez. 5, n. 19380 del 12/2/2018, COGNOME, Rv. 273204; Sez. 2, n. 17782 del 11/4/2014, COGNOME, Rv. 259564; Sez. 3, n. 2341 del 7/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 25413). Peraltro, il ricorso non ha neppure indicato quale concreto pregiudizio sarebbe stato subito dalla linea di difesa.
Il secondo motivo non considera che il reato di indebita utilizzazione, a fini di profitto, di una carta di credito da parte di chi non ne sia titolar integrato indipendentemente dall’effettivo conseguimento di un profitto o dal verificarsi di un danno, non essendo richiesto dalla norma che la transazione giunga a buon fine (Sez. 5, n. 5692 del 11/12/2018 – dep. 2019, Rv. 275109) o che intervenga il prelievo di denaro (Sez. 5, n. 17923 del 12/01/2018, Rv. 273033) o che la carta sia stata bloccata (Sez. 2, n. 45901 del 15/11/2012, Rv. 254358).
L’apprezzamento sull’elemento soggettivo è stato motivatamente valutato dalla Corte territoriale sulla base della riscontrata consapevolezza dell’uso indebito della carta di credito e del fine di profitto perseguito, desunti dal modalità della condotta e dall’assenza di prova circa un’eventuale autorizzazione da parte del titolare della carta di credito. La Corte territoriale ha logicamente argomentato nel senso che l’imputato ben sapeva non solo di non essere titolare della carta di debito, ma anche che il titolare era deceduto e che quindi qualsiasi autorizzazione era divenuta inefficace.
Il terzo motivo è inammissibile, in quanto si limita a contrastare la ricostruzione operata dai giudici di merito, non confrontandosi adeguatamente con le molteplici argomentazioni sul punto e non indicando circostanze idonee a confutare il ragionamento dell’organo giudicante. La prospettazione difensiva risulta meramente ipotetica e del tutto disancorata dai dati acquisiti al processo – riportati principalmente a pagg. 7 e ss. della sentenza impugnata – e dunque inidonea a far emergere vizi motivazionali sotto il profilo della contraddittorietà o manifesta illogicità del percorso argomentativo seguito dai giudicanti.
Anche il quarto motivo è inammissibile, visto che con l’atto di appello la difesa dell’imputato non aveva richiesto l’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen.
Difatti, non sono deducibili con il ricorso per Cassazione questioni che non abbiano costituito oggetto di motivi di gravame, dovendosi evitare il rischio che in sede di legittimità sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della decisione rispetto al quale si configura a priori un inevitabile
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difetto di motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello (Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316; Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, COGNOME, Rv. 269745). Tale principio, di carattere generale, è stato riaffermato anche con specifico riferimento all’istituto di cu all’art. 131-bis cod. pen. .
Il quinto motivo è privo di pregio, non riscontrandosi alcun vizio di legittimità nel percorso motivazionale della sentenza impugnata, nella parte in cui ha giustificato il rigetto della richiesta difensiva di revoca delle statuiz civili, avuto riguardo alla ritenuta posizione di danneggiato di NOME COGNOME sotto il profilo morale, in rapporto alla sofferenza psichica cagionata dalla condotta illecita del prevenuto in un soggetto che era legato da uno stretto rapporto di parentela sia con il de cuius (con il quale, fra l’altro, conviveva) sia con i figli dello stesso.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 20 novembre 2024