Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 26830 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 26830 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a POTENZA il 18/01/1988
avverso la sentenza del 25/10/2024 della CORTE APPELLO di POTENZA Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Procuratore generale, che ha concluso per l’inammissibilità
del ricorso;
letta la memoria del difensore, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Potenza, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la pronuncia con la quale il 7 maggio 2023 il Tribunale di Potenza aveva dichiarato COGNOME NOME responsabile del reato di cui a ll’ art. 73 d. lgs. 6 settembre 2011, n.159, previa riqualificazione del fatto, condannandolo alla pena di mesi sei di arresto.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME propone ricorso deducendo, con il primo motivo, violazione di legge e vizio di motivazione per erronea applicazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 73 d. lgs. n.159/2011 e 116, comma 15, d. lgs. 30 aprile 1992, n. 285.
Secondo la difesa la Corte territoriale, nel ritenere che la riqualificazione giuridica del fatto operata in primo grado sia conseguenza di una richiesta di
riqualificazione avanzata in una memoria difensiva, viola l’ art. 6, § 4 Dir. 2012/13/UE in quanto non tiene conto del fatto che un giudice che si pronuncia nel merito di un procedimento penale può adottare una qualificazione giuridica dei fatti contestati diversa da quella adottata dal pubblico ministero a condizione che l’imputato si a informato tempestivamente della nuova qualificazione in un momento e in condizioni che gli consentano di predisporre la difesa. Non rilevano, ai fini dell’eccepita violazione , la descrizione fattuale riportata in imputazione né la condivisione difensiva della valutazione giuridica in quanto la nuova qualificazione non è stata comunicata all’imputato. Pur essendo la pena irrogata astrattamente ricompresa nella forbice edittale di entrambe le fattispecie, il Tribunale ha individuato la pena nel minimo edittale del reato ritenuto in sentenza che è più alta di quella che, invece, avrebbe irrogato applicando il minimo edittale del reato contestato.
Con il secondo motivo, deduce violazione di legge e mancanza di motivazione circa la richiesta applicazione delle invocate pene sostitutive ex art. 53 legge 24 novembre 1981, n. 689. All’udienza del 25 ottobre 2024 il difensore ha depositato procura speciale e certificato dell’ Ufficio del L avoro chiedendo l’applicazione delle pene sostitutive, ma la Corte territoriale ha omesso di pronunciarsi su tale richiesta, così rendendo la motivazione sul punto del tutto mancante.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Il difensore del ricorrente ha depositato memoria di replica insistendo per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Nel capo d’imputazione era contestata la violazione dell’art. 116, comma 15, cod. strada perché il COGNOME guidava il motociclo Piaggio Liberty tg. BB47657 sprovvisto di patente di guida perché revocata a seguito di provvedimento della Prefettura di Potenza datato 14/03/2018, notificato in data 10/04/2018, dopo che nel biennio precedente gli era stata contestata analoga violazione; nella sentenza di primo grado l’imputato è stato ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 73 d. lgs. n.159/2011, in base al quale «Nel caso di guida di un autoveicolo o motoveicolo, senza patente, o dopo che la patente sia stata negata, sospesa o revocata, la pena è dell’arresto da sei mesi a tre anni, qualora si tratti di persona
già sottoposta, con provvedimento definitivo, a una misura di prevenzione personale».
La Corte territoriale ha, in primo luogo, evidenziato che il fatto descritto nel capo d’imputazione era pienamente corrispondente al reato ritenuto in sentenza, giacchè il provvedimento della Prefettura di Potenza era stato adottato in conseguenza dell’app licazione del regime di Sorveglianza Speciale; in secondo luogo, ha sottolineato come nel corso del giudizio di primo grado era stato proprio il difensore dell’imputato a sollecitare la riqualificazione giuridica della condotta.
I giudici di merito hanno, dunque, fatto corretta applicazione del principio, enunciato dalle Sezioni Unite, secondo il quale «In tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’ iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione» (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051 -01).
La ratio della disposizione di cui all’art. 521 cod. proc. pen. è che l’imputato sia posto in condizione di esperire efficacemente il diritto di difesa. La violazione del diritto di difesa non può ritenersi sussistente nel caso in cui, come pacificamente avvenuto nel presente processo, il capo di imputazione e la descrizione del fatto siano pienamente compatibili con il reato diversamente qualificato e, per altro verso, qualora sia proprio il difensore dell’imputato a sollecitare la riqualificazione giuridica della condotta.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto, secondo quanto emerge dall’esame degli atti , nonostante la sentenza di primo grado sia stata emessa in data successiva (7 marzo 2023) all’entrata in vigore del d. lgs. 10 ottobre 2022, n.150, solo all’udienza del 25 ottobre 2024 in grado di appello il difensore ha depositato una procura speciale r ilasciata dall’imputato «perché, in suo nome per suo conto, presti il consenso alla sostituzione della pena detentiva comminata con le pene sostitutive di cui al l’ art. 53, legge n.689/81». Nel verbale di udienza nulla è specificato in proposito.
E’ vero che, secondo quanto affermato in una precedente pronuncia, l a richiesta di pene sostitutive di pene detentive brevi può essere avanzata, per la
prima volta, anche in appello (Sez. 6, n. 8215 del 11/02/2025, Pesare, Rv. 287610 -01). Tuttavia, la richiesta di applicazione di pene sostitutive, in quanto fondata sui criteri di valutazione di cui a ll’ art. 133 cod. pen., deve essere circostanziata, non essendo altrimenti il giudice di merito tenuto a pronunciarsi su una richiesta generica e, in quanto tale, inammissibile.
Formulando una richiesta priva della «indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto» che la sostenevano, il procuratore speciale ha presentato un’istanza connotata da originaria inammissibilità, ai sensi del combinato disposto degli artt. 581, comma 1, lett. d), e 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. La sostituzione delle pene detentive brevi è, infatti, rimessa a una valutazione discrezionale del giudice, che deve essere condotta con l’osservanza dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., considerando la gravità del fatto e la personalità dell’imputato. Questo principio, affermato dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento alle sanzioni sostitutive disciplinate dall’originario art.53 legge n.689/1981 (Sez. 1, n. 35849 del 17/05/2019, COGNOME, Rv. 276716 – 01; Sez. 2, n. 13920 del 20/02/2015, NOME COGNOME, Rv. 263300 – 01; Sez. 3, n. 19326 del 27/01/2015, COGNOME, Rv. 263558 – 01), è valido anche per le nuove pene sostitutive di cui all’art. 20 bis cod. pen., atteso che l’art. 58 della stessa legge prevede che, nell’esercizio del «potere discrezionale del giudice nell’applicazione e nella scelta delle pene sostitutive», si debba tenere «conto dei criteri indicati nell’art. 133 del cod. pen.» (Sez. 3, n. 9708 del 16/02/2024, Tornese, Rv. 286031 – 01; Sez. 2, n. 8794 del 14/02/2024, Pesce, Rv. 286006 – 01). Alla luce di questi principi l’appellante aveva l’onere di supportare la richiesta con specifiche deduzioni inerenti al caso di cui si tratta (Sez. 2, n. 14168 del 25/03/2025, Consoli, Rv. 287820 -01; Sez. 2, n. 1188 del 22/11/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287460 -01); il mancato assolvimento di tale onere, che comporta la inammissibilità originaria della richiesta, priva di ogni rilievo l’omessa risposta sul punto fornita dalla Corte territoriale (Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019, COGNOME, Rv. 277281 -01; Sez. 2, n. 10173 del 16/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263157 -01).
Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così è deciso, 02/07/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME