Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 29352 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 29352 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SALO’ il 05/06/1971
avverso la sentenza del 13/11/2024 della CORTE di APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale COGNOME che ha chiesto rigettarsi il ricorso; letta la memoria presentata dal difensore del ricorrente, Avv. COGNOME il quale ha insistito per l’annullamento della sentenza impugnata, in accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Brescia, con sentenza del 13 novembre 2024, riqualificava il fatto ascritto ad NOME COGNOME come appropriazione indebita aggravata ex art. 61 n.11 cod. pen. (originariamente era contestato il reato di truffa) e rideterminava la pena inflitta in mesi quattro di reclusione ed euro 2.000,00 di multa e, in accoglimento dell’impugnazione proposta dal Pubblico ministero, disponeva la confisca del profitto del reato; avverso la sentenza ricorre per cassazione il difensore di COGNOME, eccependo:
1.1 in relazione al punto relativo alla disposizione della confisca, inosservanza degli artt. 443 comma 3, 597 comma 3 e 609 comma 1 cod. proc. pen. per mancanza di motivazione: in forza dell’art. 443 comma 3 cod. proc. pen. il Pubblico ministero non aveva il potere di proporre appello contro la sentenza di condanna, atteso che non vi era stato mutamento del titolo di reato, per cui il ricorso per cassazione proposto dalla Procura generale, ancorché convertito in appello in applicazione dell’art. 580 cod. proc. pen., avrebbe dovuto essere valutato esclusivamente secondo il canone indicato dall’art. 609 cod. proc. pen.: il motivo unico di ricorso della Procura generale era circoscritto alla omessa indicazione della confisca obbligat oria in relazione al delitto di cui all’art. 640 comma 2 n.1 cod. pen. per cui, una volta riqualificato il reato originariamente contestato in una diversa fattispecie illecita per la quale la legge non prevede alcuna ipotesi di confisca obbligatoria, la Corte di appello non avrebbe potuto disporre la confisca facoltativa dei beni ritenuti profitto della appropriazione indebita; peraltro, il giudice di appello aveva disposto la confisca senza spendere una sola parola al riguardo e non si comprendeva come era stata determinata la somma di 5.000 euro, che avrebbe dovuto rappresentare il valore dei beni oggetto di appropriazione indebita.
1.2 erronea applicazione dell’art. 646 cod. pen. e travisamento della prova decisiva, violazione degli artt. 516, 521 e 522 cod. proc. pen.: la Corte di appello di Brescia aveva affermato che COGNOME era ‘assistente amministrativo al magazzino’, ma sostenu to apoditticamente che avesse anche la responsabilità della custodia dei beni, quando in realtà non era il responsabile fisico del magazzino, ma solo il responsabile contabile; peraltro, nella scuola alberghiera teatro dei fatti non era nemmeno prevista la figura del magazziniere, dato che la dispensa didattica era accessibile a chiunque, per cui mancava in capo all’imputato quel potere sui beni del tutto autonomo consistente nel possesso; inoltre, la riqualificazione operata in sentenza sottendeva un fatto strutturalmente diverso che aveva comportato la violazione del principio del giusto processo di cui agli artt. 111 comma 3 Cost. e 6 CEDU; infine, in difetto di una contestazione in forma chiara e precisa del fatto nuovo, la sentenza non era riuscita nemmeno ad individuare l’oggetto esatto della presunta appropriazione indebita ;
1.3 violazione dell’art. 131 -bis cod. pen. e del divieto di reformatio in peius : il giudice di primo grado aveva mantenuto la pena per il reato di truffa nel minimo edittale, mentre il giudice di appello aveva espressamente affermato che la pena doveva discostarsi al minimo edittale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
1.1 Partendo dal secondo motivo di ricorso, si deve rilevare come questa Corte abbia più volte ribadito che ‘in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051-01).
Nel caso in esame, l’imputato ha avuto la possibilità di difendersi dall’imputazione, visto che il fatto storico contestato è rimasto identico (si veda, in particolare, Sez. 2, n. 1378 del 12/12/2014, dep. 14/01/2015, COGNOME, Rv. 261861 secondo cui ‘n on incorre nella violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza il giudice di appello che ritenga colpevole l’imputato del delitto di appropriazione indebita, così diversamente qualificata l’originaria imputazione di truffa, non essendo configurabile alcuna violazione del diritto di difesa in quanto tale fatto costituisce una porzione della condotta originariamente contestata, nella specie, l’essersi l’imputato illegittimamente appropriato di denaro della persona offesa, senza ricorrere ad artifici o raggiri.); si deve poi rilevare che la errata qualificazione del reato contestato era stata sostenuta dalla stessa difesa nell’atto di appello, nella parte in cui si evidenziavano l’assenza di artifici e raggiri nella condotta dell’imputato e la ‘dissociazione tra soggetto raggirato e soggetto che avrebbe patito la depauperazione del propr io patrimonio’ (pag. 3 atto di appello).
Le rimanenti censure attengono al merito della vicenda, come tali inammissibili in sede di legittimità, avendo ad esse la Corte di appello contrapposto argomentazioni giuridicamente corrette ed immuni da possibili censure ex art. 606, comma 1, lett. E), cod. proc. pen. (si vedano in particolare le pagg. 12 e seguenti della sentenza impugnata).
1.2 Costituiscono censure di merito anche quelle relative alla mancata applicazione dell’art. 131 -bis cod. pen., sulle quali la motivazione della Corte di appello, contenuta a pag. 14 della sentenza impugnata, è congrua e coerente con le risultante processuali; nessuna violazione del divieto della reformatio in peius vi è stata, visto che la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che
‘n on viola il divieto di reformatio in peius il giudice dell’impugnazione che, riqualificando il fatto in altra meno grave fattispecie di reato, individui una pena base di identica entità rispetto a quella stabilita nel minimo edittale dal giudice di primo grado in relazione all’originaria imputazione, purchè venga irrogata in concreto una sanzione finale non superiore a quella in precedenza inflitta ‘ (Sez. 5, n. 1281 del 12/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274390).
1.3 Relativamente alla confisca (primo motivo di ricorso), si deve rilevare che il Pubblico ministero aveva chiesto la confisca in base al fatto come qualificato in primo grado, correttamente proponendo -a fronte del rigetto della richiesta oppostogli dal Tribunale – ricorso per cassazione; la conversione del ricorso in appello è avvenuta a seguito della contestuale proposizione dell’appello da parte dell’imputato, il che evidenzia che non vi è stata alcuna violazione dell’art. 443 cod. proc. pen. Peraltro, come si è detto, il mutamento della qualificazione giuridica del fatto è avvenuto proprio in parziale accoglimento di doglianze formulate dall’imputato in sede di gravame ; a ciò si aggiunga che la Corte di appello aveva la facoltà di disporre la confisca del profitto del reato in base al principio generale di cui all’art. 240 cod. pen.
Relativamente alla quantificazione della somma della confisca, la sentenza di primo grado (pag. 8) aveva espressamente quantificato il valore dei generi alimentari di cui si era appropriato l’imputato in € 5.000,00 in base alle risultanze processuali (puntualmente confluite nel sintetico riepilogo dei fatti ritenuti verificatisi emergente dal capo di imputazione, sul quale non era mai stata espressa alcuna censura); il ricorrente avrebbe avuto l’onere di contestare tale importo fin dal primo grado di giudizio, per cui l ‘eccezione sul punto appare tardiva, risolvendosi nella richiesta per la prima volta in sede di legittimità di verifiche di natura fattuale mai in precedenza sollecitate ai giudici del merito.
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
2.1. A i sensi dell’art. 616 cod. proc. pen ., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 08/07/2025