Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 22887 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 22887 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Foggia il 20/02/1984
avverso il decreto del 19/11/2024 del Tribunale di Firenze
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso udita la relazione del Consigliere, NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il decreto impugnato, il Tribunale di Firenze, in funzione di Giudice dell’esecuzione, ha dichiarato inammissibile l’istanza, proposta ex art. 671 cod. proc. pen., nell’interesse di COGNOME in quanto ritenuta reiterativa di precedente istanza presentata in data 6 marzo 2024.
Propone tempestivo ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore, denunciando erronea applicazione degli artt. 125, 127, 666, 671 cod. proc. pen. e vizio di motivazione.
La difesa precedentemente, in data 6 marzo 2024, aveva proposto altra istanza, decisa con provvedimento di rigetto, tendente ad ottenere il riconoscimento del vincolo della continuazione tra reati giudicati con due sentenze definitive emesse a carico del ricorrente.
Il provvedimento di rigetto indicato si consolidava per effetto della sentenza del 26 giugno 2024, resa da questa Corte di cassazione n. 37182 -24, ritenendo che la rapina, per la quale era stata pronunciata condanna da parte del Tribunale di Firenze, con la sentenza resa nel 2006, non avesse alcun legame col contesto associativo oggetto della sentenza emessa dal Tribunale di Prato. Né, in base al pronunciato della Corte di cassazione, vi erano elementi atti a reputare che i reati, oggetto delle due sentenze, fossero legati dall’elemento tipico del reato continuato, segnalando che la documentazione prodotta dalla difesa si riferiva a persone diverse dal ricorrente.
Il ricorrente deduce di aver avanzato una nuova istanza, allegando copiosa documentazione, acquisita successivamente al provvedimento di rigetto del 6 marzo 2024, diretta a dimostrare la preesistenza del disegno criminoso.
Alla seconda istanza difensiva, dichiarata inammissibile con il decreto impugnato, risulta allegato il certificato del casellario giudiziale del condannato che riporta le annotazioni relative a vari provvedimenti con i quali l’Autorità giudiziaria ha riconosciuto, in sede di cognizione e in sede esecutiva, la continuazione tra diversi reati di rapina, commessi dal ricorrente nei territori dell’Emilia Romagna, Toscana e Liguria, oltre a ordinanze di accoglimento della richiesta di continuazione, con le quali è stata riconosciuta l’esistenza di un unico disegno criminoso che, fin dall’originaria progettazione, nelle linee essenziali, collegava le varie rapine, tutte realizzate in danno di Istituti di credito.
Sono stati, quindi, prodotti, in allegato alla seconda istanza, nuovi e plurimi atti e documenti, mai valutati dal Giudice dell’esecuzione perché non allegati alla precedente.
Si richiama giurisprudenza di legittimità secondo la quale è consentita la pronuncia di inammissibilità qualora l’istanza costituisca mera riproposizione di una precedente, trattandosi di preclusione allo stato degli atti che, però, non opera quando vengono dedotti fatti o questioni che non hanno formato oggetto della precedente decisione.
La mera riproposizione, a parere del ricorrente, sussiste quando l’istanza nuova sia basata sui medesimi elementi di altra richiesta già rigettata. Diversamente, il principio del giudicato esecutivo viene meno laddove si sia in presenza di elementi di novità, valutabili dal giudice dell’esecuzione sia sotto il profilo del petitum , sia sotto il profilo della causa petendi .
Nel caso di specie, non è stato neanche sentito il Pubblico ministero e il decreto adottato ha pronunciato l’inammissibilità dell’istanza difensiva senza motivazione; infatti, alcun accenno viene fatto agli elementi di novità introdotti con la seconda istanza.
In definitiva, secondo il ricorrente, il Giudice dell’esecuzione non ha preso atto che alla nuova istanza erano stati allegati documenti mai esaminati e che
questa nuova istanza era finalizzata a una valutazione della posizione processuale, sotto profili mai valutati in sede di esecuzione. L’elemento di novità, rilevante sia quanto al petitum, sia quanto alla causa petendi, non è stato considerato dal Giudice dell’esecuzione, così rendendo un provvedimento in violazione di legge.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha concluso con requisitoria scritta chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, per le ragioni di seguito indicate.
Va premesso che il provvedimento impugnato è un decreto del Presidente del Tribunale di Firenze, adito in funzione di Giudice dell’esecuzione, con il quale, rilevato che la medesima richiesta proposta nell’interesse di Tumolo era stata definita con ordinanza collegiale del 6 marzo 2024, è stata dichiarata de plano l’inammissibilità dell’istanza ex art. 671 cod. proc. pen. de positata in data 4 novembre 2024.
2.1. Risulta in atti, come del resto indicato e documentato dallo stesso ricorrente, che in data 31 gennaio 2024 COGNOME ha presentato altra istanza di riconoscimento della continuazione tra i reati giudicati con le sentenze del 19 ottobre 2016 del Tribunale di Firenze, divenuta definitiva il 12 dicembre 2023 relativa al delitto di cui all’art. 628 cod. pen. commesso in data 27 maggio 2004 e quella del 6 ottobre 2005, emessa ex art. 444 cod. proc. pen. dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Prato, divenuta definitiva in data 8 dicembre 2005, relativa, tra gli altri reati, a più delitti di rapina, commessi dal 24 maggio 2004 al 15 ottobre 2004.
Rispetto a tale richiesta vi è stata ordinanza di rigetto del 6 marzo 2024, resa dal Tribunale di Firenze in composizione collegiale, divenuta definitiva all’esito di ricorso per cassazione definito con la sentenza n. 37182 -24 del 26 giugno 2024.
2.2. L’istanza sub iudice risulta avere ad oggetto la richiesta di riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati giudicati con le medesime sentenze definitive sopra indicate e a questa risulta allegata documentazione, anche successiva alla prima istanza ex art. 671 cod. proc. pen. proposta dal condannato , dunque mai esaminata dal giudice dell’esecuzione (cfr. istanza di applicazione della continuazione inoltrata in data 4 novembre 2024 con relativi allegati, indicati a p. 8 e ss. dell’istanza, tra i quali certificato penale datato 30 ottobre 2024) . L’istante ha dedotto la sussistenza di elementi di
novità, tra i quali si indicano altri provvedimenti, mai esaminati nella precedente procedura esecutiva, in cui risulta già riconosciuto il vincolo della continuazione tra reati di rapina (cd. in trasferta) ascritti a COGNOME, tutti commessi ai danni di Istituti di credito, con analoghe modalità operative, in tre regioni (Toscana, Emilia-Romagna e Liguria) e con più soggetti provenienti dalla sua stessa area geografica di origine.
2.3. Orbene, questa Corte ha generalmente ritenuto che la pronuncia del giudice dell’esecuzione di rigetto anche parziale della richiesta di applicazione della continuazione precluda la riproposizione della richiesta rispetto ai reati per cui è stato già escluso il riconoscimento del reato continuato (Sez. 1, n. 10320 del 6/10/2022, dep. 2023, Rv. 284242 – 01; Sez. 1, n. 36337 del 16/3/2016, Rv. 268562 – 01). Tuttavia, si è affermato che l’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui consente al giudice la pronuncia di inammissibilità, ove l’istanza costituisca una mera riproposizione di una richiesta già rigettata, configura una preclusione allo stato degli atti che, come tale, non opera quando vengano dedotti fatti o questioni che non hanno formato oggetto della precedente decisione (Sez. 1, n. 19358 del 5/10/2016, dep. 2017, Rv. 269841 01).
In materia di esecuzione, in definitiva, la preclusione che impedisce una nuova pronuncia sul medesimo petitum opera finché non si prospettino elementi che, riguardati per il loro significato sostanziale, possono essere effettivamente qualificati come nuovi elementi di fatto, sopravvenuti ovvero preesistenti, che comunque non abbiano già formato oggetto di valutazione ai fini della precedente decisione (Sez. 3, n. 50005 del 1/7/2014, Rv. 261394 – 01); con la conseguenza che la prospettazione di nuovi elementi di fatto, diversi da quelli precedentemente presi in considerazione, comporta che il relativo provvedimento possa essere assunto solo ad esito di procedimento camerale in contraddittorio (Sez. 3, n. 6051 del 27/9/2016, dep. 2017, Rv. 268834 – 01).
L’art. 666, comma 2, cod. proc. pen. stabilisce, infatti, che, se la richiesta presentata al giudice dell’esecuzione appare manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge, ovvero costituisce mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi, il Presidente, sentito il pubblico ministero, la dichiara inammissibile con decreto motivato, che è notificato entro cinque giorni all’interessato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il provvedimento de plano è giustificato dall ‘ immediata rilevabilità dell’infondatezza dell’istanza, ovvero dal rilievo che la stessa costituisce riproposizione di altra già respinta, in assenza di elementi nuovi; con la conseguenza che, al di fuori dei casi di insussistenza dei presupposti normativi della richiesta, deve seguire la fissazione dell’udienza per la trattazione camerale dell’istanza.
2.4. Il caso in scrutinio, invero, attiene proprio alla verifica della sussistenza o meno del requisito della novità che conduce all’apertura del procedimento camerale, da decidere, comunque, da parte del Tribunale in composizione collegiale, quale giudice dell’esecuzione .
Peraltro, secondo parte della giurisprudenza di questa Corte, le disposizioni contenute nell’articolo 666 cod. proc. pen. configurano – alla evidenza – una vera e propria competenza funzionale del Presidente dell’organo collegiale in ordine all ‘ adozione de plano , con la forma del decreto, della declaratoria di inammissibilità, ma nei casi – tassativamente previsti – della presentazione di una richiesta «manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge» ovvero della «mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi» (tra le altre, Sez. 1, n. 45981 del 19/11/2024, Rv. 287402 -01; Sez. 1, in tema di procedimento di sorveglianza).
Più precisamente, l’art. 666 cod. proc. pen. scandisce nel comma 2 e seguenti le attribuzioni, rispettivamente, del presidente e del collegio; istituisce il rito dei relativi procedimenti ( de plano quello del Presidente; camerale e partecipato con obbligatorio intervento del Pubblico Ministero e del difensore, quello del Collegio); stabilisce la forma dei relativi provvedimenti (decreto presidenziale e ordinanza collegiale) e la loro efficacia (conferendo la immediata esecutività alla sola ordinanza, ai termini dell’art. 666, comma 7, cod. proc. pen., e non anche al decreto de plano ).
Ne consegue che nella previsione normativa risulta esclusa la possibilità che il Presidente possa deliberare de plano fuori dai casi tassativamente previsti, con la conseguenza che anche la (eventuale) declaratoria di inammissibilità della richiesta deve essere adottata dal Collegio, con le forme di rito stabilite dalla legge: previa instaurazione del contraddittorio e mediante ordinanza, sentite le parti.
Segue l’ annullamento del provvedimento impugnato perché, libero nell’esito, il Tribunale di Firenze, in composizione collegiale, quale Giudice dell’esecuzione, svolga nuovo esame dell’istanza del 4 novembre 2024.
P.Q.M.
Annulla il decreto impugnato con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Firenze.
Così deciso, il 19 marzo 2025