Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 1004 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 1004 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SAN GIORGIO SU LEGNANO il 02/04/1966
avverso l’ordinanza del 17/01/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME lette le conclusioni del PG, che ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Milano ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione formulata da NOME COGNOME in relazione alla misura cautelare della custodia in carcere applicata nei suoi confronti dal GIP presso il Tribunale di Milano dal 13/07/2020 sino al 08/06/2021, data nella quale – con pronuncia divenuta irrevocabile – lo stesso ricorrente era stato assolto dal Tribunale di Como in relazione a un capo di imputazione ipotizzante la commissione del reato previsto dagli artt. 81 cpv., 110, 629, 56 e 629 cod.pen., in relazione all’art.628, comma 3, n.3 cod.pen. e con l’aggravante di cui all’art.416bis.1 cod.pen..
La Corte d’appello, quale giudice adito ai sensi dell’art.315 cod.proc.pen., ha osservato che il ricorrente aveva contribuito a dare corso alla propria carcerazione con colpa grave.
In particolare, la Corte ha provveduto a una previa ricostruzione dell’intera vicenda processuale, premettendo come il capo di imputazione avesse ipotizzato che i predetti soggetti avessero costretto con violenza e minaccia NOME COGNOME – quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, a propria volta coindagato nel medesimo procedimento – a erogare loro diverse utilità e prestazioni, tra cui l’assunzione presso tale ditta di NOME COGNOME (genero di NOME COGNOME, ritenuto appartenente alla ‘ndrangheta) e l’erogazione ingiustificata di una somma di C 1.000,00 in favore dell’odierno ricorrente, tanto sulla base delle risultanze delle dichiarazioni rese dallo stesso COGNOME il 30/10/2019 e il 12/11/2019; la Corte ha quindi dato atto della motivazione della sentenza di assoluzione, nella quale era stato ritenuto che le dichiarazioni rese in dibattimento dal COGNOME si presentassero contraddittorie rispetto a quanto riferito nel corso delle indagini preliminari e comunque non idonee a fondare un giudizio di colpevolezza.
f La Corte territoriale ha quindi rilevato che la sentenza assolutoria aveva comunque attestato la commissione di condotte, da parte dell’istante, da qualificare come gravemente colpose; valutando, specificamente, il contenuto delle dichiarazioni rese dal COGNOME nel corso delle indagini e dkIle quali era comunque risultato che il COGNOME aveva tenuto comportamenti idonei a essere percepiti come indicativi di una sua contiguità alla predetta associazione di tipo mafioso, in particolare rendendo immediatamente noto il suo rapporto di parentela con NOME COGNOME presentato come il capo dell’organizzazione su base locale; aggiungendo, altresì, come fosse risultata
del tutto ingiustificata la richiesta di denaro operata nei confronti di COGNOME; ritenendo, quindi, che le suddette condotte avessero assunto una valenza sinergica rispetto all’adozione del provvedimento cautelare.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, articolando un unitario motivo di impugnazione, con il quale ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza di profili di colpa grave in capo all’istante.
Ha dedotto che la richiesta di riconoscimento dell’indennizzo era stata rigettata sulla base delle sole dichiarazioni rese dal COGNOME in sede di indagini preliminari, da ritenere peraltro – già in tale fase – come intrinsecamente contraddittorie sia in ordine alle modalità dell’incontro che all’autore della relativa iniziativa, elementi già posti alla base della sentenza di annullamento della decisione del Tribunale del riesame emessa da questa Corte y con sentenza n.33094/2020 1 e poi sovrapponibili a quelli addotti a giustificazione della successiva sentenza di assoluzione.
Ha altresì esposto che il ricorrente era stato sottoposto a carcerazione preventiva per essere stato individuato quale referente del fratello NOME COGNOME all’epoca dei fatti detenuto, elemento da considerare smentito anche alla luce dell’assoluzione pure di quest’ultimo dall’imputazione ascritta.
Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta, nella quale ha concluso per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, tramite l’Avvocatura dello Stato, ha depositato memoria nella quale ha chiesto di dichiarare inammissibile ovvero di rigettare il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Va premesso che, in tema di riparazione per ingiusta detenzione, costituisce causa ostativa al riconoscimento dell’indennizzo la sussistenza di un comportamento – da parte dell’istante – che abbia concorso a darvi luogo con dolo o colpa grave.
In particolare, la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, rappresentata dall’avere il richiedente dato causa all’ingiusta carcerazione, deve concretarsi in comportamenti, non esclusi dal giudice
della cognizione, di tipo extra-processuale (grave leggerezza o macroscopica trascuratezza tali da aver dato causa all’imputazione) o processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi), in ordine alla cui attribuzione all’interessato e incidenza sulla determinazione della detenzione il giudice è tenuto a motivare specificamente (Sez.4, n.34656 del 3/6/2010, COGNOME, RV. 248074; Sez.4, n. 4372 del 21/10/2014, dep.2015, COGNOME, RV. 263197; Sez.3, n. 28012 del 5/7/2022, Lepri, RV. 283411); in particolare, il giudice di merito, per stabilire se chi ha patito la detenzione vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione ex ante e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez.4, n. 3359 del 22/9/2016, dep.2017, COGNOME, RV. 268952), con particolare riferimento alla commissione di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti (Sez.4, n.27548 del 5/02/2019, COGNOME, RV. 276458).
Deve altresì essere ricordato che, sulla base dell’arresto espresso da Sez. U, n.43 del 13/12/1995, dep.1996, COGNOME, RV. 203638, nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione è necessario distinguere nettamente l’operazione logica propria del giudice del processo penale, volta all’accertamento della sussistenza di un reato e della sua commissione da parte dell’imputato, da quella propria del giudice della riparazione il quale, pur dovendo operare, eventualmente, sullo stesso materiale, deve seguire un iter logico-motivazionale del tutto autonomo, perché è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si (sy«)./Lposte come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento “detenzione”; ed in relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertà di esaminare il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione (di natura civilistica), sia in senso positivo che negativo, compresa l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione; derivandone, in diretta conseguenza di tale principio, quello ulteriore in base al quale il giudice del procedimento di riparazione per ingiusta detenzione può rivalutare fatti emersi nel processo penale, ivi accertati o non esclusi, ma ciò al solo fine di decidere sulla sussistenza del diritto alla riparazione
(Sez.4, n.27397 del 10/06/2010, COGNOME, RV. 247867; Sez.4, n.3895 del 14/12/2017, dep.2018, P., RV. 271739); con il solo limite di non potere ritenere provati fatti che tali non sono stati considerati dal giudice d cognizione ovvero non provate circostanze che quest’ultimo ha valutato dimostrate (Sez. 4, Sentenza n. 12228 del 10/01/2017, Quaresima, Rv. 270039).
In relazione ancora più specifica rispetto alla fattispecie concreta i esame deve rilevarsi come il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione p ingiusta detenzione, consistente nell’incidenza causale del dolo o della colp grave dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento di custodi cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriorment che successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in generale, a momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico; il giudice di merito deve, in modo autonomo e in modo completo, apprezzare tutti gli elementi probatori a sua disposizione e rilevare se condotta tenuta dal richiedente abbia ingenerato o contribuito a ingenerare, nell’autorità procedente, la falsa apparenza della configurabilità della stes come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto (Sez.Un., n.32383 del 27/5/2010, COGNOME, RV. 247664).
19 E t/ / kD~gosiraltresì ricordare – con principio utilmente richiamabile nel caso di specie – che il diritto all’indennizzo spetta a chi è stato prosciolt sentenza irrevocabile di assoluzione con una delle formule indicate nella prima parte dell’art.314 cod. proc. pen. e a tal riguardo non ha rilievo s tale formula il giudice penale sia pervenuto per la accertata prova positiva non colpevolezza, ovvero per la insufficienza o contraddittorietà della prova (Sez. 4, n. 22924 del 30/03/2004, COGNOME, Rv. 228791).
Va quindi rilevato che, nella parte strettamente motivazionale dell’ordinanza impugnata, la Corte territoriale ha fondato la propria decisione sulla base degli elementi considerati dal giudice della cautela, ritenendo ch – dal complesso delle dichiarazioni rese dal COGNOME in questa fase – foss comunque emerso GLYPH il dato oggettivo della contiguità GLYPH rispetto all’organizzazione ‘ndranghetistica capeggiata dal fratello NOME COGNOME presentato dal ricorrente come un referente generale anche in relazione all’attività svolta dal COGNOME all’interno dell’impresa e dando altresì rile alla, non giustificata, richiesta di denaro formulata dal ricorrente in occasio dell’incontro con lo stesso COGNOME.
In tal modo, la Corte territoriale ha – di fatto – richiamato la giurisprudenza di legittimità in ordine al rilievo da attribuire, ai fini de riconoscimento del diritto all’indennizzo, alle frequentazioni ambigue ascrivibili alla parte istante.
Sul punto, difatti, questa Corte ha più volte ribadito che la frequentazione ambigua di soggetti coinvolti in traffici illeciti si presta oggettivamente ad essere interpretata come indizio di complicità e può, dunque, integrare la colpa grave ostativa al diritto alla riparazione (Sez. 4, n. 850 del 28/09/2021, dep. 2022, COGNOME Rv. 282565; Sez. 4, n. 53361 del 21/11/2018, Puro Rv. 274498; Sez. 4, n. 8914 del 18/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262436; Sez. 4, n. 1235 del 26/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258610; Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259082; Sez. 4, n. 51722 del 16/10/2013, COGNOME, Rv. 257878); nella maggior parte dei casi, si trattava di detenzione cautelare disposta nei confronti di persone indagate quali partecipi di associazioni per delinquere, in un ambito investigativo in cui gli intrecci, gli interessi e le connivenze tra sodali assumono valore altamente indiziario proprio in rapporto ai tratti tipici del delitto associativo.
Dall’esame delle pronunce in cui il principio è stato affermato deve peraltro trarsi il limite all’applicazione del medesimo; se, infatti, in termini assoluti, la frequentazione di persone coinvolte in attività illecite è condotta idonea a concretare il comportamento ostativo al diritto alla riparazione, deve però anche chiarirsi che non tutte le frequentazioni sono tali da integrare la colpa ma solo quelle che (secondo il tenore letterale dell’art.314 cod. proc. pen., a mente del quale rileva il comportamento che, per dolo o colpa grave, abbia dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare subita) siano da porre in relazione, quanto meno, di concausalità con il provvedimento restrittivo adottato (Sez. 4, n. 1921 del 20/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 25848601); al giudice della riparazione spetta, dunque, il compito di rilevare il tipo e la qualità di dette frequentazioni, con lo scopo di evidenziare l’incidenza del comportamento tenuto sulla determinazione della detenzione (Sez. 3, n. 39199 del 01/07/2014, COGNOME, Rv. 260397; Sez. 4, n. 34656 del 03/06/2010, COGNOME, Rv. 248074; Sez. 4, n. 8163 del 12/12/2001, COGNOME, Rv. 2209840).
Va quindi rilevato che la motivazione della Corte territoriale si presenta oggettivamente carente, nella parte in cui ha valorizzato il predetto elemento tenendo però unicamente conto delle dichiarazioni rese dal COGNOME nel corso delle indagini preliminari; in tal modo finendo per omettere
qualsiasi dovuto confronto con le argomentazioni spese nella motivazione della sentenza di assoluzione, ricordando il principio già richiamato in base al quale il potere di rivalutazione conferito al giudice della riparazione trova il limite di non potere ritenere provati fatti che tali non sono stati considerati dal giudice della cognizione ovvero non provate circostanze che quest’ultimo ha valutato dimostrate (Sez. 4, Sentenza n. 12228 del 10/01/2017, Quaresima, Rv. 270039).
Va quindi rilevato che, sulla base della motivazione della predetta sentenza – pure ampiamente riportata nel testo del provvedimento impugnato – il giudice della cognizione ha rilevato la complessiva mancanza di coerenza intrinseca delle dichiarazioni rese dal COGNOME, anche in riferimento alla versione fornita nel secondo interrogatorio, reso a soli dodici giorni di distanza dal primo nonché in relazione a quanto esposto in sede dibattimentale.
In particolare, i giudici della cognizione hanno evidenziato che il COGNOME non era stato in grado di illustrare con precisione le effettive ragioni dell’incontro con il COGNOME, insinuando il dubbio che lo stesso fosse stato sollecitato dallo stesso COGNOME al fine di chiedere conto in ordine al comportamento del COGNOME; mentre è altresì stata sottolineata la conddittorietà delle dichiarazioni suddette in ordine all’effettiva entità delle somme richieste dal COGNOME, in modo altresì da far dubitare sull’effettiva natura estorsiva di tale richiesta, tanto da fare ipotizzare allo stesso dichiarante che si fosse trattato di un’istanza di riconoscimento di una “ricompensa” per il suo interessamento relativo alla vicenda inerente ai rapporti con il COGNOME.
Aggiungendo, altresì, che la Corte territoriale ha evidenziato l’assoluta carenza di riscontri esterni rispetto alle dichiarazioni rese dal COGNOME; mentre di rango del tutto generico deve ritenersi la citazione del passaggio della sentenza in cui i giudici di merito hanno sottolineato che, da quanto esposto da un terzo dichiarante, era emersa la “pacifica affiliazione di COGNOME NOME all’associazione criminale diretta dal fratello”.
L -) D~J, quindi, necessariamente richiamare, sul punto, il principio in base al quale, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice, per l’autonomia del giudizio rispetto a quello di cognizione, può utilizzare, ai fini della verifica dei fattori ostativi del dolo o della colpa grave, anche le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari da soggetti che, in dibattimento, si sono sottratti all’esame o hanno ritrattato, salvo che nel giudizio di cognizione, a seguito di una complessa valutazione di inattendibilità del dichiarante, i fatti individuabili come fattori ostativi sian
stati esclusi o ritenuti non sufficientemente provati (Sez. 4, n. 39748 del 19/07/2018, COGNOME, Rv. 273832; Sez. 4, Sentenza n. 482 del 09/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282595).
Sulla base di tali considerazioni, deve quindi ritenersi che il giudice della riparazione non si sia adeguatamente confrontato con i predetti principi generali; in particolare non provvedendo adeguatamente a calarli all’interno di una vicenda concreta in cui le dichiarazioni rese in sede di indagini, uniche ad essere valorizzate ai fini del rigetto della domanda, sono state smentite in sede di sentenza di assoluzione.
Al fine di colmare tali lacune motivazionali, l’ordinanza impugnata va quindi annulla’ con rinvio alla Corte d’appello di Milano, cui va altresì rimessa la regolamentazione delle spese tra le parti per questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, alla Corte di Appello di Milano cui demanda altresì la regolamentazione delle spese tra le parti relativamente al presente giudizio di legittimità.
Così deciso il 10 dicembre 2024
TO N CA
1 0 0Eine lA if
Il Cønsigliere estensore
Presidente