Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 26950 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 26950 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a BARI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 27/10/2023 della CORTE APPELLO di VENEZIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Procuratore generale, che ha concluso per il rigetto del ri
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RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Venezia, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione proposta nell’interesse di COGNOME NOME in relazione alla privazione della libertà personale subita nella forma della custodia in carcere dal 16 maggio al 7 giugno 2019 e nella forma degli arresti domiciliari sino al 18 dicembre 2019 in relazione ai reati associativi di cui all’art. 416 bis, commi 4 e 5, cod. pen. (capo 1) e di cui all’art.74, commi 3 e 4, d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309 (capo 2), confluiti all’esito delle indagini preliminari nell’unica imputazione di associazione ex art.74 T.U. Stup. aggravata.
NOME COGNOME propone ricorso per cassazione censurando l’ordinanza, con il primo motivo, per mancanza di motivazione in relazione al contenuto degli allegati all’istanza di riparazione per ingiusta detenzione concernenti la carenza del presupposto della colpa grave. La difesa aveva sottolineato che, in sede di riesame, il COGNOME aveva dettagliatamente dipanato la propria strategia difensiva formulando numerose osservazioni avverso la ricostruzione accusatoria che aveva portato all’applicazione della misura custodiale al fine di dimostrare la condotta cristallina assunta dopo l’applicazione della misura cautelare; tuttavia, la Corte di appello si è limitata a recepire in maniera acritica i soli elementi deducibili dall’ordinanza custodiale, così incorrendo nel vizio di motivazione. La motivazione risulta carente anche con riferimento alle ragioni dell’assoluzione, fondate sull’assenza di qualsivoglia apporto causale alla vita dell’associazione da parte del COGNOME, rilevanti in quanto incidenti sulla valutazione dell’incidenza del comportamento tenuto dal ricorrente sull’applicazione della misura cautelare.
2.1. Con il secondo motivo deduce inosservanza o erronea applicazione degli artt. 314 e 315 cod. proc. pen. e vizio di motivazione nella parte in cui la Corte territoriale ha valutato il rapporto causale tra colpa grave e misura cautelare sebbene il giudice di primo grado fosse pervenuto all’assoluzione per insussistenza del fatto sulla base dei medesimi elementi probatori utilizzati dal giudice della cautela in ragione dell’ammissione dell’imputato al rito abbreviato. La giurisprudenza di legittimità, in relazione alla ipotesi prevista dall’art. 314 comma 2, cod. proc. pen. ha affermato che nel momento in cui il giudice dell’assoluzione utilizza i medesimi elementi esaminati dal giudice della cautela la condotta del richiedente la riparazione diventa irrilevante.
2.2. Con il terzo motivo deduce manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui, nel valutare la condotta del richiedente, ha utilizzato comportamenti riconducibili a terze persone. La difesa sottolinea come il giudice della
riparazione abbia fatto riferimento a comportamenti di persone diverse dal COGNOME, tanto più ove si consideri che nel giudizio di cognizione i comportamenti del NOME non sono stati ritenuti causalmente rilevanti rispetto alla vita dell’associazione.
2.3. Con il quarto motivo deduce mancanza di motivazione in relazione al ritenuto carattere di gravità della colpa ostativa all’equa riparazione ed erronea applicazione degli artt. 314 e 315 cod. proc. pen. con riguardo all’elemento della colpa grave. La difesa lamenta che la Corte d’appello ha omesso qualsivoglia specifica argomentazione in ordine al ritenuto carattere di gravità della colpa, essendosi limitata ad affermarne apoditticamente la sussistenza.
Il Procuratore Generale, con requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei termini che seguono.
L’ipotesi accusatoria nei confronti di COGNOME NOME, quale partecipe di un’associazione finalizzata al narcotraffico, contemplava la condotta di referente dell’organizzazione criminale con il precipuo compito di fungere da portavoce di COGNOME NOME dopo l’arresto di quest’ultimo anche al fine di risolvere questioni legate al mancato pagamento delle partite di droga con soggetti che, in territorio pugliese, le avevano cedute al gruppo scaligero in conto vendita senza ricavarne alcunché a seguito dei numerosi sequestri effettuati dalle forze dell’ordine nonché, unitamente alla moglie NOME COGNOME, la condotta di aver messo intenzionalmente a disposizione del sodalizio un conto corrente bancario sul quale la moglie del capo NOME COGNOME, ossia NOME COGNOME, aveva potuto liberamente operare presentandosi sia di persona che telefonicamente come NOME COGNOME, verosimilmente all’insaputa dei dipendenti dell’Istituto bancario. In relazione a tale ipotesi accusatoria, il giudice dell’udienza preliminare, procedendo con rito abbreviato, ha accertato che il nome di COGNOME NOME fosse ripetutamente emerso nella fase successiva all’arresto di NOME COGNOME e che il COGNOME era titolare del conto corrente sul quale era stato tratto l’assegno postdatato consegnato a COGNOME NOME, dalla moglie di NOME COGNOME. Il giudice della cognizione, considerando che a sostegno dell’accusa vi fosse il legame di affinità tra COGNOME e NOME, avendo quest’ultimo sposato la sorella del primo, ha però ritenuto che dagli atti non fosse evidenziabile alcun apporto
causale fornito dal COGNOME alla vita dell’associazione nel tempo in cui venivano eseguiti i delitti fine.
Il giudice della riparazione, sottolineando che la sentenza assolutoria si fosse incentrata sull’apporto causale dato dal COGNOME all’associazione durante la commissione dei reati-fine e che pertanto le condotte sulle quali si era fondata la misura custodiale fossero rimaste «terreno vergine» da apprezzamenti del giudice della cognizione, ha ritenuto che alcuni comportamenti emersi nella fase delle indagini avessero avuto efficacia sinergica rispetto all’ordinanza applicativa della misura cautelare. In particolare, la Corte ha valorizzato un incontro tra il COGNOME COGNOME il COGNOME COGNOME COGNOME l’esercizio pubblico gestito da NOME COGNOME, che quest’ultimo utilizzava come luogo d’incontri per trattare le questioni di droga, la sottoscrizione di alcuni assegni in bianco tratti dal conto corrente del COGNOME, utilizzati per corrispondere somme nella gestione di rapporti con i fMRiliari o con i protagonisti di vicende connesse alla droga, i contatti con altri coimputati (ad esempio COGNOME COGNOME COGNOMECOGNOME, il mandato ricevuto da NOME COGNOME di dire ai pugliesi di fermarsi e di mantenere un atteggiamento «freddo e rispettoso ma distaccato dai problemi», i molteplici incontri in carcere indicativi dell’incarico datogli dal COGNOME in relazione alle pretese dei creditori pugliesi per la droga, la disponibilità piena, senza riserve e consapevole del COGNOME alle richieste del cognato in merito ai rapporti con i sodali del COGNOME e anche a proposito dell’assegno mensile di sostegno che NOME COGNOME avrebbe dovuto ricevere, l’interlocuzione consapevole con il COGNOME in merito alla questione degli «stipendi da corrispondere»
Va evidenziato che il ricorso omette ogni confronto con tale elenco di condotte, la cui pluralità e reiterazione sono state efficacemente spiegate come indicative di una condotta gravemente colposa in rapporto sinergico rispetto alla misura custodiale, per tale verso essendo manifestamente infondato il quarto motivo di ricorso. Per decidere se l’imputato abbia dato causa per dolo o colpa grave alla privazione della libertà personale, si deve infatti valutare il comportamento dell’interessato alla luce del quadro indiziario su cui si è fondato il titolo cautelare, sempre che gli elementi indiziari non siano stati dichiarati espressamente inutilizzabili ovvero siano stati esclusi o neutralizzati nella loro valenza nel giudizio di assoluzione (Sez. 4, n. 7225 del 12/12/2023, dep.2024, Cannarile, Rv. 285828 – 01).
4.1. La questione posta nel primo, secondo e terzo motivo attiene, dunque, alla riferibilità al COGNOME delle condotte ritenute ostative, alla condott endoprocessuale del medesimo e alla possibilità per il giudice della riparazione di
valutare gli elementi investigativi sui quali si è fondata l’ordinanza applicativa della misura cautelare, non espressamente esclusi dal giudice della cognizione, qualora tuttavia la sentenza assolutoria sia stata emessa sulla base del medesimo compendio indiziario.
Sotto tale ultimo profilo, atteso che il giudice della cognizione, come espressamente spiegato nell’ordinanza impugnata, non ha escluso le condotte poste a fondamento dell’ordinanza cautelare in quanto si è limitato ad escluderne la valenza indiziaria a fronte di qualsivoglia riscontro dell’apporto partecipativo del RAGIONE_SOCIALE alla compagine associativa nella fase della piena operatività del sodalizio, l’ordinanza ha fatto corretta applicazione del principio secondo il quale nel giudizio avente a oggetto la riparazione per ingiusta detenzione, ai fini dell’accertamento della condizione ostativa del dolo o della colpa grave, può darsi rilievo ai fatti esaminati nel giudizio penale di cognizione, senza che rilevi che quest’ultimo si sia definito con l’assoluzione dell’imputato sulla base degli stessi elementi posti a fondamento del provvedimento applicativo della misura cautelare, trattandosi di un’evenienza fisiologicamente correlata alle diverse regole di giudizio applicabili nella fase cautelare e in quella di merito, valendo soltanto in quest’ultima il criterio dell’oltre ogni ragionevole dubbio (Sez. 4, n 2145 del 13/01/2021, Calzaretta, Rv. 280246 – 01).
4.2. E’ manifestamente infondato l’assunto secondo il quale il giudice della riparazione avrebbe preso in considerazione condotte non direttamente ascrivibili al COGNOME; è, a tal fine, sufficiente constatare la riconducibilità al tanto della messa a disposizione del COGNOME di assegni tratti dal suo conto corrente quanto della partecipazione a colloqui in carcere con il cognato NOME COGNOME aventi a tema la sistemazione di pendenze economiche di varia origine quanto l’incontro con sodali del COGNOME.
5. L’ordinanza impugnata merita, tuttavia, di essere annullata con rinvio, per nuovo esame, alla Corte di appello di Venezia con riferimento al comportamento endoprocessuale dell’indagato, avendo i giudici della riparazione del tutto trascurato di verificare in che misura tale comportamento, segnatamente il deposito di note difensive nell’ambito del procedimento de libertate tendenti a fornire un apporto chiarificatore circa la posizione dell’indagato, avrebbe potuto spiegare o meno efficacia sinergica rispetto al mantenimento della misura cautelare.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte d’appello di Venezia.
Così deciso il 20 giugno 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente