Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 8306 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 8306 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 26/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CASSINO il 14/03/1978
avverso l’ordinanza del 16/04/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG, in persona della sostituta NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
letta la memoria del MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza emessa in data 16 aprile 2024, la Corte di appello di Roma ha rigettato la richiesta di riparazione proposta nell’interesse di NOME per l’ingiusta detenzione da costui subita per complessivi 39 giorni in custodia cautelare (dal 9 aprile al 18 maggio 2020) e 319 giorni agli arresti domiciliari (fino al 2 aprile 2021) in relazione al reato di cui all 353 cod. pen., per avere turbato due procedure di gara a cui partecipava per il tramite di società a lui riconducibili e solo per la prima procedura, pe il reato di cui all’art. 355 cod. pen., di inadepimento di contratti di pubblic forniture.
In seguito a specifica segnalazione di CONSIP, era stato contestato a COGNOME, di essersi attivatosi in conseguenza delle procedure effettuate nel corso del primo periodo dell’emergenza pandennica da COVID 19, funzionali a reperire sul mercato, materiale atto a fronteggiare la diffusione del virus, di avere turbato la gara in due tempi: dapprima celando una causa di esclusione (ex art. 80 d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50) conseguente alla violazione di norme tributarie da parte della RAGIONE_SOCIALE, occultando la riconducibilità a sé della società e trasferendone la rappresentanza legale e le quote sociali a NOME COGNOME; successivamente, dopo che la RAGIONE_SOCIALE era stata esclusa dalla precedente gara, con annullamento in autotutela GLYPH della GLYPH aggiudicazione, GLYPH presentando GLYPH altra GLYPH domanda GLYPH di partecipazione con la RAGIONE_SOCIALE di cui era consigliere e legale rappresentante, senza dichiarare i precedenti penali suoi e di altri componenti del consiglio di amministrazione e accordandosi con NOME COGNOME presidente del consiglio, per non fare comparire nella compagine societaria la RAGIONE_SOCIALE di cui era socia NOME COGNOME che annoverava un precedente penale che avrebbe impedito la partecipazione alla gara. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nei confronti di COGNOME il 7 aprile 2020, veniva emessa ordinanza di custodia cautelare in carcere che veniva confermata dal Tribunale del riesame. Il 10 maggio 2020 il Gip sostituiva la misura di massimo rigore con quella degli arresti domiciliari. COGNOME Il Tribunale, COGNOME all’esito dell’istruttoria dibattimentale condannava l’odierno ricorrente in relazione al reato di turbativa d’asta e lo assolveva dal reato di inadempimento di contratti di pubbliche forniture.
La Corte di appello di Roma, con sentenza del 13 aprile 2021, confermava il giudizio espresso dai giudici di primo grado.
La Corte di Cassazione, con sentenza del 24 febbraio 2022, annullava senza rinvio la pronuncia della Corte di appello.
La Corte della riparazione rigettava la richiesta di riparazione proposta dallo COGNOME, ravvisando nel comportamento extraprocessuale dello stesso, condotte colpose ostative.
Avverso l’ordinanza, l’avv. NOME COGNOME difensore dello COGNOME, ha proposto ricorso affidandolo ad un unico motivo con il quale deduce motivazione mancante, contradditoria e manifestamente illogica.
Dopo avere ricostruito la vicenda processuale che lo riguardava, rispetto alla quale tanto il Tribunale quanto la Corte di appello di Roma lo avevano ritenuto responsabile del reato di turbativa d’asta, il ricorrente rileva che la Sesta Sezione di questa Corte, con la sentenza del 24 febbraio 2022, ha annullato senza rinvio la pronuncia della Corte territoriale, così assolvendo lo Ieffi dal reato ascrittogli con la formula perché il fatto no sussiste “sulla scorta di considerazioni giuridiche che avrebbero potuto essere svolte da tutti gli altri giudici che si sono succeduti tanto nel vicenda cautelare quanto in quella di cognizione”.
Secondo la difesa, il giudice della riparazione non avrebbe tenuto conto dei principi sanciti dalla Suprema Corte a Sezioni Unite “COGNOME“, in virtù dei quali quando la carenza dei presupposti applicativi delle misure cautelari personali è ravvisabile già dal giudice della cautela non vi può essere spazio per alcun giudizio che attenga al comportamento dell’istante poiché viene negata in radice l’efficienza causale della condotta dell’indagato rispetto alla adozione della misura cautelare.
Sotto altro profilo la difesa rileva la contraddittorietà e la illogi dell’ordinanza impugnata nella parte in cui individua condotte extraprocessuali colpose in quegli elementi che costituivano oggetto dell’esposto presentato da CONSIP laddove si denunciavano irregolarità fiscali e asserzioni non veritiere contenute nelle dichiarazioni ai fini del partecipazione alla proceduta di gara. Così operando, secondo la difesa, si è attribuito rilievo non a comportamenti ma all’essenza stessa della contestazione valorizzando impropriamente i rilievi svolti da CONSIP nell’esposto genetico. Le “banali cause di tali menzogne” venivano ricostruite dallo COGNOME già nell’interrogatorio di garanzia nel corso del qua aveva chiarito di svolgere la professione di imprenditore e di essere titolare di circa venti società tutte attive ed operanti in vari settori merceologici
che una di queste aveva dei debiti fiscali che venivano “trascurati” nella domanda di partecipazione, in assoluta buona fede e per dimenticanza, solo perché molto risalenti nel tempo. Tali argomenti erano ribaditi dal ricorrente in sede di esame dibattimentale laddove precisava di avere, prima di presentare domanda di partecipazione alla “gara” CONSIP, esaminato un estratto debitorio relativo alla RAGIONE_SOCIALE da cui risultava un debito di poche centinaia di euro. Di tali circostanze l’ordinanza non ha tenuto conto. L’ordinanza sarebbe illogica nella parte in cui si rileva la presunta inadeguatezza della capacità economica e finanziaria della società facente capo allo COGNOME o si valorizza il fatto che COGNOME sia gravato da pregiudi polizia in materia di reati contro la pubblica amministrazione e di frode fiscale indicandoli quali indici rivelatori di uno stile di vita anche in vir frequentazioni con soggetti che altro non erano che i consiglieri di amministrazione di una delle società dallo stesso partecipate e/o controllate.
Il P.G., in persona della sostituta NOME COGNOME ha depositato requisitoria scritta, chiedendo il rigetto del ricorso.
Il Ministero resistente ha depositato, per il tramite dell’Avvocatura dello Stato, memoria con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
Appare opportuno rammentare che l’art. 314 cod. proc. pen. disciplina due distinte ipotesi di riparazione a seguito di ingiusta detenzione. Il primo comma del detto articolo disciplina il diritto alla riparazione favore di chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non averlo commesso, perché non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, qualora non vi abbia dato causa o non abbia concorso a darvene, per dolo o colpa grave (c.d. ingiustizia sostanziale).
Il secondo comma dell’art. 314 cod. proc. pen. riconosce il diritto in parola al prosciolto per qualsiasi causa o al condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto a custodia cautelare, allorquando, con decisione irrevocabile, risulti accertato che il provvedimento che ha disposto la misura è stato emesso o mantenuto in mancanza delle condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 cod. proc. pen. (c.d. ingiustiz formale).
Nel caso di ingiustizia sostanziale, la valutazione della incidenza della condotta dolosa o colposa è doverosa e non rileva che gli elementi posti a sostegno dell’ordinanza custodiale fossero gli stessi sulla scorta dei quali è stata pronunciata l’assoluzione, con la conseguenza che il giudice della riparazione dovrà valutare se il soggetto privato della libertà personale abbia o meno tenuto condotte dolose o colpose ostative al riconoscimento del diritto che si siano poste in termini di causa o concausa rispetto all’adozione del provvedimento medesimo.
In tale caso il giudice della riparazione effettua una valutazione in “autonomia” rispetto al giudizio di merito poiché diverso è il piano di indagine sul quale operare e diversi i parametri da utilizzare (Sez. 4 n. 39500 del 18/06/2013, COGNOME, Rv. 256764).
Nel compiere tale valutazione il giudice della riparazione incontra il limite di non potere fondare il proprio giudizio su fatti esclusi dal giudi della cognizione, rimanendo, invece, libero di valutare tutti i fatti che in que giudizio sono stati accertati e non negati (Sez. 4, n. 46469 del 14/09/2018, COGNOME, Rv.274350).
Nel casi di “ingiustizia formale”, che ricorrono allorquando con decisione irrevocabile sia stata esclusa la ricorrenza dei presupposti per l’applicazione della misura, decisione che può intervenire a chiudere la fase cautelare o discendere da una diversa qualificazione giuridica del fatto, compiuta definitivamente nel giudizio di merito, la rilevanza sinergica della colpa grave, ostativa al riconoscimento dell’indennizzo, rimane esclusa se le condizioni di applicabilità della misura sono state ritenute insussistenti sulla scorta degli stessi elementi che avevano portato all’adozione del provvedimento privativo della libertà personale.
Avendo l’istituto natura civilistica, la diversità delle due ipotesi riflette sul contenuto della domanda di riparazione che richiede l’indicazione della causa petendi.
Ne consegue che anche la critica alla ordinanza impugnata deve rapprentare e dare dimostrazione che alla Corte della riparazione era stata prospettata la identità degli elementi che erano stati posti alla base dell’ordinanza cautelare rispetto a quelli che avevano condotto alla sentenza
Il ricorrente, assumendo che la Corte della riparazione non avrebbe fatto applicazione della sentenza delle Sezioni Unite “COGNOME” e avrebbe individuato condotte dolose o colpose ostative al riconoscimento del diritto alla riparazione, introduce il tema della c.d. ingiustizia formale di cui all’a 314, co. 2, cod. proc. pen. senza dimostrare di avere formulato una istanza
ai sensi del suddetto articolo e, men che meno, che la decisione assolutoria sia fondata sugli stessi elementi sottoposti al giudice della cautela che avrebbero dovuto dare conto di una situazione di accertata illegittimità della misura cautelare subita dall’istante, in quanto emessa in difetto dei presupposti di cui agli artt. 273 e 280 cod. proc. pen..
Con il ricorso, infatti, si evoca la intervenuta assoluzione ad opera della Corte di legittimità con la conseguenza che nel caso in esame vengono a mancare i presupposti per invocare una riparazione ai sensi del secondo comma dell’art. 314 cod. proc. pen (Sez. 4, n. 3004 del 14.11.2024 dep.2025).
4. Erra la difesa quando afferma che, nel caso in esame, non dovevano essere valutate condotte colpose ostative, alla luce della intervenuta assoluzione sulla scorta dei medesimi elementi posti a fondamento dell’ordinanza cautelare genetica. L’argomento, invero, sarebbe pertinente se fosse stato accertato, con decisione irrevocabile che la misura era stata disposta e mantenuta «senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280» del codice di rito, ma così non è nel caso di specie.
E’ lo stesso ricorrente ad affermare che in seguito alla adozione della misura cautelare nei confronti di COGNOME dopo l’interrogatorio di garanzia res dallo stesso, è stato proposto ricorso al Tribunale del riesame che ha confermato l’ordinanza custodiale e non risulta che sia stato proposto ricorso per cassazione.
Da quanto detto consegue che, nel caso in esame, la disposizione di cui all’art. 314 co. 2 cod. proc. pen. non troverebbe applicazione, non essendo intervenuta una decisione irrevocabile dalla quale ricavare che la misura sarebbe stata adottata in mancanza dei presupposti di legge.
A tale proposito va ricordato che la giurisprudenza di questa Corte riconosce all’indagato l’interesse a proporre ricorso per cassazione anche nel caso in cui la misura cautelare sia stata revocata o abbia perso efficacia, proprio in funzione dell’interesse a precostituirsi una decisione irrevocabile, utilizzabile ai fini della riparazione per la ingiusta detenzione e, quind limitatamente alla sussistenza degli indizi di colpevolezza, (Sez. 3, n. 42964 del 04/10/2007, COGNOME, Rv. 238107; Sez. 1, n. 25277 del 27/05/2008, COGNOME, Rv. 240944).
Del pari, deve essere rilevato che la pronunzia inoppugnabile di annullamento di una misura cautelare privativa della libertà personale adottata nel procedimento incidentale “de libertate” «costituisce “decisione irrevocabile”, idonea, nei casi di proscioglimento o di condanna di cui all’art.
314 comma secondo cod. proc. pen., a fondare il diritto dell’indagato alla riparazione per l’ingiusta detenzione» (Sez. U, n. 20 del 12/10/1993, Durante, Rv. 195355).
E’ stato, inoltre, affermato che l’interesse a coltivare il ricorso p cassazione al fine di ottenere una pronuncia a sé favorevole in vista di una futura ed eventuale richiesta di riparazione deve essere espressamente e specificamente dedotto evidenziando in termini concreti il pregiudizio che ne deriverebbe dal mancato conseguimento della stessa (Sez. U. n. 7931 del 16/12/2010, dep. 2011, COGNOME, Rv. 249002- 01; Sez. 4, n. 39297 del 10/07/2019).
Questa Corte di legittimità ha, altresì, affermato che per “decisione irrevocabile” deve intendersi non solo quella adottata in fase cautelare ma anche quella resa all’esito del giudizio di merito purchè dalla stessa si ricavi la mancanza, ab origine, delle condizioni di applicabilità della misura (Sez. 4, n. 8869 del 22/01/2007, COGNOME, Rv. 240332; Sez. 4, n. 39535 del 29/05/2014, COGNOME, Rv. 261408; Sez. 4, n. 29340 del 22/05/2018, Gallace, v. 273089).
5. Questa Corte, ha ricondotto nell’ambito di operatività dell’art. 314, co. 2, cod. proc. pen. casi nei quali, pur non essendo stato accertato in fase cautelare che la misura fosse stata disposta in mancanza delle condizioni di cui agli artt. 273 e 280 cod. proc. pen., la qualificazione attribuita ai f all’esito del giudizio portava a ritenere che le condizioni difettassero ab origine. Così è stato riconosciuto il diritto alla riparazione nel caso in cui misura cautelare sia stata applicata in mancanza di una condizione di procedibilità la cui condizione sia derivata dalla riqualificazione del fatt diversa da quella ritenuta nella fase cautelare (Sez. 4, n. 39535 del 20/05/2014, COGNOME, Rv. 261408). 0, ancora, nel caso in cui la diversa qualificazione giuridica abbia portato a ritenere applicabile una fattispecie incriminatrice che non consentiva l’adozione di misure cautelari in ragione del limite edittale della pena (Sez. 4, n. 16175 del 22/04/2021, COGNOME, Tv. 281038; Sez. 4, n. 26261 del 23/11/2016, Rv. 270099).
Per ragioni di completezza va osservato che questa Corte, interrogandosi sulla possibilità di applicare la causa ostativa di cui al prim comma dell’art. 314 cod. proc. pen., per coloro che abbiano dato causa o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave alla privazione della libertà personale, anche all’ipotesi di cui all’art. 314, co. 2, cod. proc. pen, h sottolineato che, se per un verso, ai fini del riconoscimento del diritto all’indennizzo si può prescindere dalla sussistenza di un “errore giudiziario,
stante l’antinomia strutturale tra custodia e assoluzione o quella funzionale tra la durata della custodia e l’eventuale misura della pena, ha, per altro verso rilevato che il fondamento solidaristico dell’istituto non consente di valutare “ingiusta” la privazione della libertà personale causata (o concausata) da una condotta dolosa o gravemente colposa dell’interessato (cfr: Sez. U., n.51779 del 28/11/2013, Nicosia, Rv. 257606; Sez. 4, n. 35689 del 09/07/2009, COGNOME, Rv.245311).
Si è, pertanto, ritenuto che nel valutare la condotta ostativa debba tenersi conto dei presupposti che hanno determinato la detenzione poi rivelatasi ingiusta secondo una valutazione ex ante e che tende a verificare se dal quadro indiziario a disposizione del giudice della cautela potesse desumersi l’apparenza della fondatezza delle accuse, pur successivamente smentita dall’esito del giudizio e se a questa apparenza abbia contribuito il comportamento extraprocessuale e processuale tenuto dal ricorrente (cfr. Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247663).
Si è pervenuti alla conclusione che la causa ostativa in esame opera anche con riferimento all’ipotesi prevista dall’art. 314, comma 2, cod. proc. pen.
6. A ben vedere, il ricorrente non ha chiesto la riparazione per una detenzione disposta in assenza dei presupposti di legge accertata con “decisione irrevocabile” ma in quanto detta detenzione è stata resa ingiusta, non all’esito di una articolata istruttoria dibattimentale, non all’esito giudizio di appello ma della valutazione espressa dalla Sesta Sezione penale di questa Corte, il che non comporta affatto che sia stata accertata la mancanza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura cautelare.
L’assoluzione pronunciata nei confronti del ricorrente, infatti, non determina di per sé che gli elementi posti a fondamento dell’ordinanza custodiale fossero gli stessi, né lo stesso ricorrente lo allega, non foss’altr che nell’ordinanza impugnata si dà atto, al punto 14, delle numerose udienze in cui si è articolata l’istruttoria dibattimentale svolta dinanzi al Tribuna E’ poi lo stesso ricorrente a pag. 9 del ricorso ad addurre di avere ricostruito “le banali cause di tali menzogne” sin dalll’nterrogatorio di garanzia … che erano ulteriormente e ancor più nel dettaglio chiarite in occasione dell’esame reso in sede dibattimentale… ove tra l’altro rappresentava e documentava”, di avere chiesto e ottenuto, prima di presentre la domanda di partecipazione alla “gara” Consip, un estratto debitorio completo relativo a RAGIONE_SOCIALE
La richiesta, dunque, si fonda non sul presupposto della assenza dei requisiti di cui agli artt. 273 e 280 cod. proc. pen. ma sulla circostanza che
la detenzione sarebbe stata resa ingiusta dalla assoluzione perché il fatto non sussiste, sulla scorta della valutazione espressa dalla Sesta Sezione penale di questa Corte, il che non equivale a dire che sia stata accertata la mancanza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura.
Proprio muovendo da tali premesse la sentenza della Sesta Sezione penale allegata, non ha accertato con decisione definitiva che la misura era stata adottata in violazione degli artt. 273 e 280 cod. proc. pen. né la sentenza ha negato le condotte poste in essere dallo Ieffi precisando che si tratta di omissioni e mendaci preliminari alla ammissione alla “gara” e anteriori al suo svolgimento che avrebbero potuto essere neutralizzate dai controlli della pubblica amministrazione.
7. In realtà, neppure il ricorrente sostiene che i comportamenti descritti dal giudice della riparazione sono stati esclusi dai giudici di cognizione, quanto piuttosto che la Corte della riparazione ha, piuttosto, valorizzato condotte alle quali non poteva essere attribuita valenza indiziaria adducendo che il “mendacio” nelle dichiarazioni rese era frutto di sviste, di disattenzion legate alla moltitudine di società riconducibili allo Ieffi.
Le argomentazioni poste dal giudice della riparazione a fondamento della ordinanza impugnata sono analitiche, dettagliate, conformi al principio di autoresponsabilità in virtù del quale la regola solidaristica posta fondamento del diritto alla riparazione non può essere invocata in presenza di una condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e confliggente con una prescrizione di legge. Né tale diritto può essere garantito a fronte delle molteplici condotte poste in essere dallo Ieffi individuate dal giudice della riparazione e non neutralizzate dalla sentenza assolutoria, che erano tali da determinare una situazione di allarme sociale tale da richiedere l’intervento dell’autorità giudiziaria.
Così, la Corte della riparazione, con motivazione non manifestamente illogica né contraddittoria ha escluso il diritto all’indennizzo in favore de Ieffi ritenendo che costui abbia contribuito con plurimi comportamenti gravemente colposi a indurre in errore il giudice della cautela rendendosi responsabile di una seria di condotte improntate al mendacio in relazione alla insussistenza di irregolarità fiscali, costituenti causa di esclusione del procedure di appalto ex art. 80, co. 4, d.lgs. n. 50/2016; in merito ad irregolarità fiscali che denotavano il carattere non veritiero dell dichiarazione ai fini della partecipazione alla procedura; le esposizioni debitorie nei confronti dell’Erario; l’essere gravato da precedenti di polizi in materia di reati contro la pubblica amminsitrazione e di frode fiscale oltre
che dell’essere risultato rappresentante di società che all’esito degli accertamenti, risultavano c.d. scatole vuote gravate da posizioni debitorie verso l’Erario.
Così facendo ha interpretato come gravemente colposi quei comportamenti che, per quanto non integranti il reato contestato, hanno determinato per negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti, una situazione tale da costituire una non voluta ma prevedibile ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si risolva nell adozione di un provvedimento limitativo della libertà personale.
Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al pagamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, ritenuto – alla luce della sentenza n. 186 del 13 giugno 2000 della Corte costituzionale – che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» nonché, infine, alla rifusione delle spese sostenute dall’Amministrazione resistente liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende nonché alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente, che liquida in complessivi euro 1.000,00.
Deciso il 26 novembre 2024
Salvato GLYPH