Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 24289 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 24289 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 05/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Marina di Gioiosa Ionica il 30/10/1959
parte resistente:
Ministero dell’Economia e delle Finanze
avverso l’ordinanza del 05/12/2024 della Corte d’appello di Reggio Calabria.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del P.G.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Reggio Calabria, quale giudice della riparazione, con l’ordinanza impugnata ha respinto la domanda con la quale NOME COGNOME ha chiesto la riparazione per la custodia cautelare subita nell’ambito di un procedimento penale in ordine al reato associativo di cui all’art. 416-bis cod. pen. dal quale è stato definitivamente assolto.
Avverso la suddetta ordinanza, tramite il difensore di fiducia, propone ricorso l’interessato, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 314 cod. proc. pen.
Lamenta la manifesta illogicità della motivazione e la sua carenza sia in termini di individuazione della condotta ostativa sia sul piano della concreta incidenza dell’asserito contributo colposo dell’istante nella erronea emissione del
provvedimento coercitivo. Evidenzia che nulla è stato argomentato in merito al fatto che COGNOME sapesse del ruolo di capo mafioso di COGNOME COGNOME. In sede di interrogatorio l’istante aveva dichiarato di conoscere COGNOME con cui aveva condiviso diversi anni di militanza nella stessa squadra di calcio, senza supporre alcunché della sua caratura criminale, trattandosi quindi di un rapporto di conoscenza penalmente irrilevante.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
Si è costituito il Ministero dell’Economia e delle Finanze, resistendo al ricorso e chiedendone la reiezione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
La Corte territoriale ha correttamente esaminato la questione sottoposta al suo esame secondo i parametri richiesti dalla disposizione di cui all’art. 314 cod. proc. pen., valutando in maniera congrua e logica, e con l’autonomia che è propria del giudizio di riparazione, la ricorrenza di una condotta ostativa determinata da dolo o colpa grave, avente effetto sinergico rispetto all ‘emissione della misura custodiale nei confronti de ll’interessat o.
È infatti noto che, in materia di riparazione per ingiusta detenzione, la colpa che vale ad escludere l’indennizzo è rappresentata dalla violazione di regole, da una condotta macroscopicamente negligente o imprudente dalla quale può insorgere, grazie all’efficienza sinergica di un errore dell’Autorità giudiziaria, una misura restrittiva della libertà personale. Il concetto di colpa che assume rilievo quale condizione ostativa al riconoscimento dell’indennizzo non si identifica con la ‘colpa penale’, venendo in rilievo la sola componente oggettiva della stessa, nel senso di condotta che, secondo il parametro dell’ id quod plerumque accidit , possa aver creato una situazione di prevedibile e doveroso intervento dell’Autorità giudiziaria. Anche la prevedibilità va intesa in senso oggettivo, quindi non come giudizio di prevedibilità del singolo soggetto agente, ma come prevedibilità secondo il parametro dell’ id quod plerumque accidit , in relazione alla possibilità che la condotta possa dare luogo ad un intervento co ercitivo dell’autorità giudiziaria. Pertanto, è sufficiente considerare quanto compiuto dall’interessato sul piano materiale, traendo ciò origine dal fondamento solidaristico dell’indennizzo,
per cui la colpa grave costituisce il punto di equilibrio tra gli antagonisti interessi in campo.
Va inoltre considerato che il giudice della riparazione, per stabilire se chi ha patito la detenzione vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione “ex ante” – e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013 – dep. 2014, Maltese, Rv. 25908201. La valutazione del giudice della riparazione, insomma, si svolge su un piano diverso, autonomo rispetto a quello del giudice del processo penale, ed in relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertà di valutare il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione (di natura civilistica), sia in senso positivo che negativo, compresa l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep. 1996, COGNOME ed altri, Rv. 20363801).
Da questo punto di vista, l ‘ordinanza impugnata ha fornito un percorso logico motivazionale intrinsecamente coerente e rispettoso dei principi di diritto connessi all’istituto della riparazione .
La Corte territoriale, valutando autonomamente il materiale probatorio utilizzato dai giudici di merito, ha fondatamente ritenuto che il comportamento del Femia, pur ritenuto privo di rilevanza penale, ha contribuito colposamente in maniera decisiva all’emissione della misura cautelare.
Allo scopo sono stati valorizzati specifici comportamenti del COGNOME, non esclusi dal giudice della cognizione ma anzi affermati, consistiti nell’avere l’istante gravitato in contesti di natura criminale, con particolare riguardo alle frequentazioni e ai contatti tra il COGNOME e NOME COGNOME, capo di una cosca locale : l’istante era ben consapevole del rilevante ruolo criminale svolto dal COGNOME e, per come emerso dalle intercettazioni, aveva chiesto il ripetuto intervento dello stesso al fine di sf ruttarne l’autorevolezza che il suo ruolo gli conferiva, tanto che costui era intervenuto prima e dopo le elezioni a sostegno del COGNOME, sia nella fase della predisposizione delle liste che per assicurare la formazione della Giunta comunale dopo l’elezione . È stato fatto riferimento, a titolo esemplificativo, alla conversazione del 20.2.2008, da cui era emerso che il COGNOME era destinatario dei favori della cosca per mezzo dell’attività di intimidazione svolta
da COGNOME NOME nei confronti degli altri candidati, ove non avessero osservato gli ordini impartiti dal COGNOME . In un’altra conversazione era risultato come il COGNOME avesse informato il COGNOME dell’intenzione di tale COGNOME di candidarsi, così da provocare l’intervento di COGNOME che aveva incaricato lo stesso COGNOME di ‘parlare con COGNOME‘ già avvicinato da altri membri della famiglia .
Proprio dalla consistenza di tali ‘ contatti ‘ del ricorrente con personaggi del menzionato sodalizio criminoso, la Corte della riparazione ha ragionevolmente reputato come il Femia abbia, con grave imprudenza, contribuito a dare causa alla misura cautelare subita, trattandosi di situazioni atte a determinare interventi coercitivi dell’Autorità .
In questa prospettiva, va qui ribadito che, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, integra la condizione ostativa della colpa grave la condotta di chi, nei reati associativi, abbia tenuto comportamenti percepibili come indicativi di una sua contiguità al sodalizio criminale, mantenendo con gli appartenenti all’associazione frequentazioni ambigue, tali da far sospettare il diretto coinvolgimento nelle attività illecite (cfr. Sez. 4, n. 574 del 05/12/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287302 -01; sulla stessa linea v. Sez. 4, n. 49613 del 19/10/2018, B., Rv. 273996 – 01).
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Il ricorrente, quale parte soccombente, va anche condannato alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità in favore del Ministero resistente, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente, che liquida in complessivi euro 1.000,00.
Così deciso il 5 giugno 2025