LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Riparazione pecuniaria e peculato: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha esaminato il caso di una tabaccaia condannata per peculato per non aver versato le tasse automobilistiche riscosse per conto della Pubblica Amministrazione. La Suprema Corte, pur confermando la responsabilità penale, ha annullato la condanna alla riparazione pecuniaria. La motivazione risiede nel fatto che il danno era stato integralmente risarcito prima della sentenza, seppur tramite un fideiussore. Applicare anche la riparazione pecuniaria avrebbe comportato un’indebita duplicazione sanzionatoria e un ingiustificato arricchimento per l’ente pubblico. Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello per la sola valutazione di una circostanza attenuante.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Riparazione Pecuniaria e Peculato: No alla Duplicazione Sanzionatoria se il Danno è Già Risarcito

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sul rapporto tra il risarcimento del danno e l’applicazione della riparazione pecuniaria prevista dall’art. 322-quater del codice penale nei reati contro la Pubblica Amministrazione. Il caso, relativo a un’ipotesi di peculato, stabilisce un principio fondamentale: se il profitto del reato è stato integralmente restituito prima della condanna, la sanzione della riparazione pecuniaria non deve essere applicata, per evitare un’ingiusta duplicazione a danno del condannato e un indebito arricchimento per l’ente pubblico.

I Fatti del Caso: L’omesso Versamento delle Tasse Automobilistiche

La vicenda trae origine dalla condotta della titolare di una tabaccheria, incaricata di riscuotere la tassa automobilistica per conto della Regione. L’imputata, dopo aver incassato una somma di circa 14.300 euro, ometteva di riversarla all’ente pubblico nei termini previsti. A seguito di accertamenti, emergeva non solo il mancato versamento, ma anche la totale incapienza dei conti correnti destinati all’operazione e la produzione di una falsa distinta di bonifico per occultare l’ammanco. Per questi fatti, veniva condannata in primo e secondo grado per il delitto di peculato.

Il Percorso Giudiziario e i Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa dell’imputata ha proposto ricorso in Cassazione basandosi su diversi motivi. Tra i più rilevanti, si contestava l’errata applicazione sia della norma sul peculato (sostenendo si trattasse di una mera omissione colposa) sia, soprattutto, quella sulla riparazione pecuniaria. La difesa evidenziava che l’intero debito verso la Regione, comprensivo di capitale, interessi di mora e penale, era stato saldato da un fideiussore prima dell’inizio del processo, e che l’imputata aveva a sua volta rimborsato integralmente il fideiussore. Pertanto, l’ulteriore condanna al pagamento di una somma a titolo di riparazione pecuniaria, pari al profitto del reato, costituiva una duplicazione sanzionatoria ingiustificata.

La Decisione della Cassazione sulla Riparazione Pecuniaria e Altri Punti

La Suprema Corte ha analizzato i vari motivi di ricorso, giungendo a conclusioni distinte per ciascuno di essi.

La Conferma del Reato di Peculato

I giudici hanno rigettato le censure relative alla qualificazione del fatto come peculato. La Corte ha ribadito che il delitto non si consuma con il semplice ritardo nel versamento, ma quando si manifesta la cosiddetta interversio possessionis, ovvero l’intenzione di comportarsi come proprietario del denaro. Nel caso di specie, l’incapienza dei conti e la falsificazione di documenti bancari sono stati considerati elementi inequivocabili della volontà di appropriarsi delle somme, escludendo la mera omissione o la colpa.

L’Annullamento della Riparazione Pecuniaria: Un Principio Fondamentale

Il punto centrale della sentenza riguarda l’accoglimento del motivo relativo all’art. 322-quater c.p. La Corte ha qualificato la riparazione pecuniaria come una “sanzione civile accessoria con connotazione punitiva”, distinta dal risarcimento del danno. Tuttavia, ha chiarito che la sua applicazione deve tener conto del profitto “attuale” del reato al momento della sentenza. Se il profitto è stato azzerato tramite il risarcimento integrale del danno, la base di calcolo per la riparazione viene meno.

Imporre un ulteriore pagamento, quando l’ente pubblico è già stato pienamente ristorato, si tradurrebbe in un’ingiustificata duplicazione sanzionatoria e in un ingiusto arricchimento per la persona offesa, in violazione di principi fondamentali dell’ordinamento.

La Questione della Circostanza Attenuante del Risarcimento

La Corte ha inoltre accolto il motivo relativo al mancato riconoscimento dell’attenuante del risarcimento del danno (art. 62 n. 6 c.p.). La Corte d’Appello l’aveva negata in modo generico, ma la Cassazione ha ritenuto che, essendo il danno stato integralmente e tempestivamente riparato (sebbene da un terzo), fosse necessario un accertamento più approfondito. Il caso è stato quindi rinviato al giudice di merito per verificare la volontà riparatoria dell’imputata, ovvero se ella avesse condiviso e fatto propria l’iniziativa del fideiussore.

Le Motivazioni

La motivazione della Cassazione si fonda su un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 322-quater c.p. La norma, che prevede il cumulo tra risarcimento e riparazione pecuniaria, deve essere letta alla luce del divieto di ingiustificato arricchimento. La finalità punitiva della riparazione non può spingersi fino a creare un’illegittima duplicazione di pretese patrimoniali a fronte di un unico danno. Quando il danno è stato risarcito, il profitto illecito non è più nella disponibilità del reo e, di conseguenza, la sanzione pecuniaria non ha più una base su cui essere applicata. Questo principio, già affermato in relazione al rapporto tra confisca e risarcimento, viene esteso dalla Corte anche alla riparazione pecuniaria, armonizzando il sistema sanzionatorio.

Le Conclusioni

La sentenza stabilisce un importante limite all’applicazione della riparazione pecuniaria. Pur rimanendo ferma la responsabilità penale per il reato commesso, viene sancito che l’imputato che ha integralmente risarcito il danno prima della condanna non può essere ulteriormente gravato da questa sanzione. La decisione ha rilevanti implicazioni pratiche, incentivando la riparazione del danno e garantendo che le sanzioni rimangano proporzionate e non si traducano in un ingiusto arricchimento per la parte lesa. La responsabilità dell’imputata è stata comunque dichiarata irrevocabile, e il nuovo giudizio in appello verterà unicamente sulla possibile concessione dell’attenuante.

Quando si configura il reato di peculato in caso di mancato versamento di somme riscosse per conto di un ente pubblico?
Il reato di peculato non si configura per il semplice ritardo nel versamento, ma richiede un’appropriazione indebita del denaro. Ciò avviene quando l’agente compie atti che dimostrano la volontà di disporre della somma come se fosse propria (c.d. interversio possessionis), ad esempio mantenendo i conti correnti incapienti o falsificando documenti per occultare l’ammanco, come nel caso di specie.

La condanna alla riparazione pecuniaria può essere imposta anche se l’imputato ha già risarcito completamente il danno prima della sentenza?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che se il danno cagionato dal reato (e quindi il profitto illecito) è stato integralmente risarcito prima della pronuncia della sentenza, la riparazione pecuniaria prevista dall’art. 322-quater c.p. non deve essere applicata. Imporla ugualmente costituirebbe un’indebita duplicazione sanzionatoria e un ingiustificato arricchimento per l’amministrazione danneggiata.

Il risarcimento del danno effettuato da un terzo (come un fideiussore) può dar diritto all’attenuante per l’imputato?
Sì, è possibile, ma non è automatico. Affinché l’attenuante del risarcimento del danno (art. 62, n. 6, c.p.) sia riconosciuta, non è sufficiente che il danno sia stato pagato da un terzo. È necessario che l’imputato manifesti una concreta e tempestiva volontà riparatoria, dimostrando di aver condiviso e fatto propria l’iniziativa del terzo. Questa valutazione soggettiva spetta al giudice di merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati