Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 525 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 3 Num. 525 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/10/2024
TERZA SEZIONE PENALE
Composta da
COGNOME NOME
Presidente –
Sent. n. sez. 1392/2024
NOME COGNOME
CC – 17/10/2024
NOME COGNOME
Relatore –
R.G.N. 19984/2024
NOME COGNOME
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente sul ricorso proposto da: MINISTERO DELLÕECONOMIA E DELLE FINANZE c/ NOME COGNOME nato a Napoli il 22/08/1987
letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore Generale COGNOME che ha avverso l’ordinanza del 21/09/2023 della Corte d’appello di Firenze Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME chiesto il rigetto del ricorso.
Con ordinanza della Corte dÕappello di Firenze del 21 settembre 2023, in accoglimento dellÕistanza di riparazione per lÕingiusta detenzione, proposta nellÕinteresse di NOME COGNOME, veniva liquidava al medesimo a titolo di indennizzo la somma di 140.666,63 euro, oltre interessi legali dal deposito della domanda in data 10 settembre 2021 al saldo, con condanna del Ministero dellÕEconomia e delle Finanze a rimborsare le spese di lite in favore del ricorrente.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Ministero dellÕEconomia e delle Finanze, pel tramite dellÕAvvocatura dello Stato, deducendo un unico, articolato motivo, di seguito sinteticamente illustrato ex art. 173, disp. att. cod. proc. pen.
Deduce, con tale unico motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 314 e 192, cod. proc. pen., ed il correlato vizio di motivazione.
In sintesi, si censura l’ordinanza impugnata per avere escluso la sussistenza di un comportamento gravemente colposo da parte dell’Aprile, laddove ritiene ravvisabile, al di lˆ di un mero silenzio inizialmente serbato su alcune circostanze ed in parte mantenuto anche successivamente, il mendacio nei termini prospettati dal Giudice di legittimitˆ. Secondo la difesa erariale, diversamente, i giudici di appello sarebbero incorsi in un errore di diritto, per non aver individuato l’esatta portata applicativa del silenzio serbato dall’indagato dopo la modifica dell’art. 314 cod. proc. pen. ad opera del d.lgs. n. 188 del 2021. Secondo l’interpretazione del ricorrente Ministero, lÕaver taciuto circostanze decisive integra non tanto un’ipotesi di mendacio, quanto piuttosto un’ipotesi di reticenza causalmente rilevante ai fini del mantenimento della custodia cautelare. Richiamata a tal proposito una sentenza di questa Corte, la n. 30056/2022 ed il relativo principio di diritto, osserva il ricorrente come, ad avviso della giurisprudenza di legittimitˆ, il tacere su alcune circostanze e non su altre, che determini in concreto una falsa rappresentazione della realtˆ, non è condotta assimilabile al silenzio serbato nell’esercizio delle facoltˆ difensive previste dall’art. 64 cod. proc. pen., bens’, al pari del mendacio, costituisce una condotta idonea ad incidere negativamente sul riconoscimento del diritto alla riparazione qualora si ponga in rapporto sinergico con l’intervento dell’autoritˆ. Soggiunge che è lo stesso art. 64 cod. proc. pen. a prevedere che lÕinterrogando sia edotto della circostanza per cui le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio, quindi non solo false ma anche reticenti o comunque fortemente equivoche o ambigue, potranno essere sempre utilizzate nei suoi confronti, con conseguente loro valutazione nel procedimento per l’ingiusta detenzione. Nel senso indicato dalla più recente giurisprudenza di legittimitˆ, si sarebbe espressa anche parte della dottrina, che avrebbe optato per una lettura della novella legislativa alla luce della distinzione tra uso legittimo ed illegittimo del diritto al silenzio. Tanto premesso, osserva il ricorrente, risulterebbe dagli atti del procedimento che solo in sede di appello avverso la sentenza di condanna di primo grado la difesa dellÕistante ebbe ad indicare, quale alibi per il giorno della rapina, la presenza in Firenze per la necessitˆ di far visita al fratello ricoverato all’ospedale Careggi e di aver utilizzato l’autobus n. 14 per raggiungerlo in ospedale. Richiamato il passaggio della sentenza di annullamento della Corte di Cassazione, si osserva come la misura cautelare venne applicata allÕistante per non aver fornito una giustificazione plausibile alla sua presenza quel giorno in Firenze e di aver utilizzato l’autobus n. 14, circostanza quest’ultima che risultava da un SMS. A tal
proposito, richiama un passaggio dell’ordinanza applicativa della custodia cautelare del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Firenze del 15 maggio 2015, nonchŽ un passaggio del provvedimento con il quale il Tribunale del riesame, in data 3 settembre 2015, in parziale riforma dell’ordinanza, aveva riconosciuto la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza disponendo la sostituzione la misura cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari. Si aggiunge, altres’, che la mancata allegazione di un alibi era valsa allÕistante anche la condanna a sei anni di reclusione a seguito di sentenza emessa dal Giudice dellÕudienza preliminare del Tribunale di Firenze il 16 dicembre 2015, all’esito del giudizio abbreviato. In conclusione, aggiunge la difesa erariale, l’istante avrebbe mantenuto il silenzio su circostanze note che, ove esternate, avrebbero avuto un effetto potenzialmente favorevole sulla posizione cautelare dell’indagato, e tale condotta procedimentale reticente ha contribuito ad ingenerare, in presenza di dichiarazioni accusatorie, l’intervento dell’autoritˆ precedente oltre che la sua permanenza.
1. Il ricorso è fondato.
2. Trattasi di procedimento per la riparazione dellÕingiusta detenzione, in relazione al quale, con sentenza n. 2665/2023 della Quarta sezione penale di questa Corte, era stato disposto lÕannullamento con rinvio alla Corte dÕappello di Firenze della precedente ordinanza di rigetto dellÕistanza di riparazione, per un duplice ordine di ragioni: a) da un lato, per aver la Corte di appello trascurato che il silenzio, in sŽ, non pu˜ essere valutato contro l’imputato, come in numerose occasioni giˆ puntualizzato dalla giurisprudenza di legittimitˆ; b) dallÕaltro, in quanto, ove la Corte di merito avesse inteso giustificare il rigetto con l’eventuale mendacio da parte dell’imputato, mendacio che, a differenza del mero silenzio, potrebbe, in ipotesi, acquisire rilevanza, come anche di recente precisato dalla S.C. (cfr. al riguardo Sez. 4, n. 30056 del 30/06/2022, D., Rv. 283453; Sez. 4, n. 3755 del 20/01/2022, Pacifico, Rv. 282581), avrebbe comunque dovuto giustificare adeguatamente il proprio convincimento sia quanto al motivo per cui sarebbero da ritenersi mendaci le dichiarazioni rese dall’imputato sia perchŽ l’ipotetico mendacio, ove mai sussistente, debba ritenersi concausativo della originaria privazione della libertˆ e del (lungo: quasi tre anni e tre mesi) mantenimento dello stato detentivo; ci˜ che, per˜, nel caso di specie non emerge in alcun modo dalla motivazione.
La Corte dÕappello di Firenze, in sede di rinvio, ha accolto lÕistanza di indennizzo, ritenendo che non fosse ravvisabile alcun comportamento gravemente colposo da parte dell’istante tale da aver contribuito a dar causa alla misura detentiva e al suo mantenimento, escludendo altres’ la ravvisabilitˆ, al di lˆ di un mero silenzio inizialmente
serbato su alcune circostanze e in parte mantenuto anche successivamente, del mendacio nei termini prospettati da questa Corte, che aveva esaminato nel dettaglio i passaggi motivazionali dell’ordinanza annullata relativi alla condotta dell’istante e le spiegazioni dallo stesso fornite, non ritenendole tali da integrare l’elemento ostativo richiesto dalla norma in esame e, tantomeno, una forma di mendacio con valenza concausativa della detenzione subita. Illustrava, infine, alcuni elementi emersi nel corso dellÕinterrogatorio di garanzia del 18 agosto 2015 e, segnatamente, in sede di dichiarazioni spontanee dallo stesso istante, ritenendo che non fossero individuabili comportamenti di tipo processuale od extraprocessuale tali da aver dato causa allÕingiusta detenzione.
Tale approdo veniva contestato dalla difesa erariale, segnatamente evidenziando, come anticipato, lÕerrore di diritto in cui la Corte gigliata sarebbe incorsa, anche alla luce della rilevanza che il silenzio, inteso come reticenza, su alcune circostanze (segnatamente in ordine alla sua presenza a Firenze, con particolare riferimento allÕalibi prospettato, ossia di far visita al fratello a Firenze presso lÕospedale di Careggi e di aver utilizzato lÕautobus n. 14 per raggiungerlo) avrebbe avuto in termini concausali rispetto alla sua detenzione ed al suo protrarsi.
5. Le censure sono sul punto fondate.
5.1. Ed infatti, è ben vero che questa Corte, nella sentenza rescindente, aveva censurato lÕapprodo cui era pervenuta la Corte dÕappello nella prima ordinanza oggetto di annullamento, evidenziando come la Corte di appello aveva trascurato che il silenzio, in sŽ, non pu˜ essere valutato contro l’imputato e che, quandÕanche tale silenzio potesse qualificarsi come mendacio, avrebbe comunque dovuto giustificare adeguatamente il proprio convincimento sia quanto al motivo per cui sarebbero da ritenersi mendaci le dichiarazioni rese dall’imputato, sia perchŽ l’ipotetico mendacio, ove mai sussistente, debba ritenersi concausativo della originaria privazione della libertˆ e del (lungo: quasi tre anni e tre mesi) mantenimento dello stato detentivo.
5.2. EÕ, tuttavia, altrettanto vero che la Corte dÕappello – nellÕaffermare che le spiegazioni offerte dal ricorrente, sin da subito, volte a contestare la fondatezza dellÕassunto accusatorio e a tentare di chiarire seppur parzialmente le ragioni per le quali si trovava a Firenze il giorno in cui era stata commessa la rapina Ð si è limitata semplicemente ad illustrare, per punti, le emergenze ÒdichiarativeÓ frutto delle affermazioni rese dallÕistante in sede di interrogatorio di garanzia del 18 agosto 2015, che miravano a minare lÕattendibilitˆ di quanto riferito dal chiamante in NOME COGNOME, ossia la circostanza documentata dalla difesa che questÕultimo e lÕistante non avessero avuto rapporti durante il periodo di detenzione presso il carcere di Firenze, aggiungendo altres’ la Corte territoriale che lÕAprile avrebbe dichiarato spontaneamente, giˆ in sede di interrogatorio di garanzia, che il fratello, in data 27 marzo 2015, si trovava ricoverato
presso lÕospedale Careggi di Firenze e che, per tale ragione, era spiegabile la sua presenza nel capoluogo toscano, avendo infatti lÕistante raggiunto lÕospedale mediante lÕautobus n. 14, spiegando poi in sede di riesame dellÕordinanza custodiale come il messaggio di testo inviato al Firinu (in cui lo avvertiva del suo arrivo con il predetto autobus) fosse da leggere diversamente in considerazione del fatto che lÕautobus n. 14 non conducesse solo presso la residenza del Firinu ma anche allÕospedale di Firenze.
Orbene, sul punto, merita anzitutto di essere evidenziato come la Corte dÕappello sia incorsa in un evidente travisamento probatorio rilevabile dalla semplice lettura del verbale di spontanee dichiarazioni rese in sede di interrogatorio di garanzia dallÕAprile in data 18 agosto 2015, in particolare laddove colloca la rivelazione dellÕalibi giustificativo della sua presenza in Firenze (ossia che il fratello, in data 27 marzo 2015, si trovava ricoverato presso lÕospedale Careggi di Firenze e che, per tale ragione, era spiegabile la sua presenza nel capoluogo toscano, avendo infatti lÕAprile raggiunto lÕospedale mediante lÕautobus n. 14) al momento del rilascio delle spontanee dichiarazioni. La lettura del predetto verbale, diversamente, esclude quanto contenuto nellÕordinanza della Corte gigliata, che ha pertanto, nella propria valutazione dei fatti oggetto della sentenza rescindente di questa Corte, ritenuto come riferito il 18 agosto 2015 dallÕAprile un fatto (la rivelazione dellÕalibi) invece smentito dalla semplice lettura del verbale di interrogatorio.
DÕaltra parte va anche escluso, per˜, che nella specie ci si trovi, a fronte della ricostruzione dei fatti emergente da quanto appena detto, in presenza di una condotta connotata da ÒmendacioÓ (condotta che, di per sŽ, ben potrebbe rilevare in termini di condotta addirittura dolosa, ostativa alla riparazione) attesa la componente di artificio o falsitˆ concettualmente intrinseca a tale nozione e, nella specie, per quanto evidenziato sopra, non rilevabile.
Ci˜ tuttavia non significa che il comportamento del soggetto giˆ specificato sopra non possa, in fase di indagini preliminari, comunque essere valutato, essendosi lo stesso concretato, a ben vedere, in una condotta che, se non mendace, da un lato, non pu˜ neppure essere qualificata come espressione di comportamento meramente silente, dallÕaltro e, in quanto tale, non valutabile negativamente nei confronti dellÕinteressato.
Infatti la previsione normativa introdotta dallÕart. 4, comma 1, lett. b), del D.lgs. n. 188 del 2021, nel riferirsi allÕ Òesercizio da parte dell’imputato della facoltˆ di cui all’articolo 64, comma 3, lettera b)Ó, deve intendersi ricollegata allÕesercizio della Òfacoltˆ di non rispondere ad alcuna domandaÓ, sicchŽ la non incidenza sul diritto alla riparazione consegue, per espressa previsione normativa, appunto solo allÕesercizio del diritto al silenzio inteso come esercizio della Òfacoltˆ di non rispondere ad alcuna domandaÓ e non
è pertanto destinato a coprire i casi, come quello in esame, in cui lÕindagato, rinunciando ad avvalersi di tale facoltˆ, abbia comunque accettato di rispondere alle domande postegli in sede di interrogatorio di garanzia, non potendo dunque farsi rientrare nel divieto di valutazione della nuova normativa il silenzio ÒinespressoÓ, ovvero quello non formalizzato ma unicamente ricavabile, , da risposte incomplete.
In sostanza, la situazione processuale cui il Legislatore ha inteso riferirsi in sede di integrazione del disposto di cui allÕart. 314, comma 1, cod. proc. pen. è esclusivamente quella dellÕindagato che eserciti la facoltˆ di non rispondere ad alcuna domanda laddove, diversamente, ove a tale facoltˆ, rispondendo, questi abbia rinunciato, si determina in capo allÕindagato la riespansione di quel Çdovere inderogabile di buona fede e di solidarietˆ cui i cittadini sono tenutiÈ (Corte Cost., n. 426 del 3 dicembre 1993) che legittima il giudice ad attribuire rilievo ad ogni comportamento che ne costituisca violazione, non potendo più qualificarsi tale condotta in termini di ÒsilenzioÓ.
9. LÕapprodo cui il Collegio ritiene di pervenire, dunque, è conseguenza della stessa interpretazione che la Corte costituzionale – sebbene in epoca antecedente alla modifica normativa, ma con argomentazione che non si pone in contrasto con la novella del 2021 che, come detto, tutela solo il diritto ÒassolutoÓ al silenzio – ha fornito in relazione alla disciplina dettata in materia di riparazione per lÕingiusta detenzione. In assenza di una puntuale indicazione del Legislatore circa il significato da attribuire al concetto di dolo o colpa aventi nesso eziologico con l’applicazione – o il mantenimento – della misura cautelare, infatti, la giurisprudenza è pervenuta a soluzioni difformi. Intervenuta sul punto, la Corte costituzionale ebbe ad affermare che la condotta di ogni persona deve essere improntata ad un ragionevole Çdovere inderogabile di buona fede e di solidarietˆ cui i cittadini sono tenutiÈ (Corte Cost., n. 426 del 3 dicembre 1993). La Corte costituzionale, in particolare, riguardo alla configurabilitˆ del dolo e della colpa grave che, a norma dell’art. 314 cod. proc. pen., non consentono al prosciolto di far valere il diritto – altrimenti spettantegli – ad equa riparazione per l’ingiusta detenzione subita, ebbe a respingere lÕeccezione di incostituzionalitˆ formulata contro il principio di diritto affermato nel caso dalla Corte di cassazione, secondo cui occorre che il soggetto inquisito, nell’ipotesi dolosa, abbia scientemente operato al fine di creare una fallace apparenza, oppure, nell’ipotesi colposa, abbia mostrato una ingiustificata e macroscopica trascuratezza nel rappresentare all’autoritˆ procedente fatti o circostanze atti a scagionarlo.
A ci˜, peraltro, va aggiunto che anche nelle fonti internazionali, e precisamente l’art. 3, protocollo 7, Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertˆ fondamentali, concernente l’estensione della lista dei diritti civili e politici, adottato a Strasburgo il 22.11.1984, ratificato in Italia con L. 9.4.1990, n. 98, il diritto all’indennizzo viene meno ove sia provata la mancata rivelazione in tempo utile di fatti noti all’indagato
ed in grado di vincere le ragioni di cautela. Del resto, questa stessa Corte (Sez. 4, n. 35689 del 09/07/2009, Rv. 245311 – 01) si è espressa nel senso di ritenere che non si pone in contrasto con l’art. 5, par. 5 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo la previsione dell’art. 314 cod. proc. pen. che esclude dall’equa riparazione colui che abbia dato causa, per colpa grave, alla custodia cautelare subita, posto che l’indennizzo, come previsto dalla fonte sopranazionale citata, spetta soltanto a chi sia stato “vittima” di una detenzione in violazione dell’art. 5 cit. (Nell’affermare tale principio, la Corte ha altres’ rilevato che una diversa interpretazione della norma internazionale finirebbe per contraddire il fondamento solidaristico dell’istituto della riparazione per ingiusta detenzione e comportare una violazione dell’art. 2 Cost.; conf., da ultimo: Sez. 4, n. 6903 del 02/02/2021, Rv. 280929 Ð 01).
10. Ed allora, proprio una lettura costituzionalmente e convenzionalmente orientata induce a interpretare la disposizione dellÕart. 314, cod. proc. pen., nel senso di poter ritenere gravemente colposo il comportamento di chi, pur essendo a conoscenza di circostanze rilevanti che possono determinare la cessazione o lÕattenuazione del quadro cautelare a carico, a seguito di una ingiustificata e macroscopica trascuratezza nel rappresentare all’autoritˆ procedente fatti o circostanze atti a scagionarlo, omette di porle a disposizione dellÕautoritˆ inquirente al fine di consentire lÕimmediata verifica della loro rilevanza. Tale condotta, seppure non definibile in termini dogmatici come vera e propria ÒreticenzaÓ, concetto che deve ritenersi più propriamente riferibile a colui su cui incomba lÕobbligo di rispondere non solo secondo veritˆ ma anche in maniera compiuta, è comunque tale da comportare unÕevidente ed innegabile incidenza sullÕinsorgenza e/o sulla protrazione (come nel caso di specie, essendo intervenuta la rivelazione dellÕalibi a distanza di oltre tre anni dal fatto, solo in sede di impugnazione con i motivi di appello) della custodia cautelare; nel momento in cui, in altri termini, lÕinteressato accetti di rispondere, è invero necessario, laddove successivamente si insti per la riparazione per ingiusta detenzione, che lÕinteressato non abbia sottaciuto gli elementi a discarico, onere che, dÕaltra parte, fa anche da contraltare al diritto/dovere del Pubblico Ministero, previsto dallÕart. 358, cod. proc. pen., di compiere ogni attivitˆ necessaria ai fini indicati nell’art. 326, cod. proc. pen., e di svolgere altres’ accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini.
11. Conclusivamente, detta condotta qualificabile in termini di colpa grave in quanto relativa allÕelemento ÒcentraleÓ a sostegno della gravitˆ indiziaria, ossia la sua presenza fiorentina il giorno della rapina Ð che, unitamente agli altri valorizzati sia in sede di ordinanza custodiale del 15 maggio 2015 che in sede di riesame con lÕordinanza 3 settembre 2015, che confermava il grave quadro indiziario a suo carico, ossia il riconoscimento operato dal COGNOME, lÕutenza intestata alla madre dellÕistante e in uso al
medesimo, lÕincontro tra COGNOME e lÕistante nello stesso arco temporale e, appunto, la presenza dellÕAprile a Firenze il giorno della rapina Ð è stata sicuramente causalmente rilevante rispetto alla determinazione cautelare ed alla protrazione della custodia sino al momento della rappresentazione, in appello, dellÕalibi, costituendo una condotta volontaria equivoca, tradottasi in unÕingiustificata e macroscopica trascuratezza nel rappresentare all’autoritˆ procedente fatti o circostanze atti a scagionarlo rilevante ai fini dell’accertamento del dolo o della colpa grave, ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione.
La tardiva rivelazione di tale circostanza (senza alcun dubbio centrale, posto che se lÕistante avesse fornito subito la giustificazione poi ÒspesaÓ in appello, circa la sua lecita presenza in Firenze il giorno della rapina, sicuramente avrebbe consentito, se non lÕimmediata rimessione in libertˆ, quantomeno lÕattenuazione del regime cautelare in attesa della conclusione delle indagini sul grave episodio), si ribadisce, non è certo condotta assimilabile al silenzio serbato nell’esercizio della facoltˆ difensiva prevista dall’art. 64, comma 3, lett. b) cod. proc. pen., posto che, proprio tale condotta, in questo caso, contravvenendo Ð per dirla con la pronuncia della Corte costituzionale, da reputarsi tuttora valida anche successivamente alle modifiche dellÕart. 314 cod. proc. pen. operate dallÕart. 4, comma 1, lett. b), del D.lgs. n. 188 del 2021Ð al ragionevole Çdovere inderogabile di buona fede e di solidarietˆ cui i cittadini sono tenutiÈ (Corte Cost., n. 426 del 3 dicembre 1993), si è ritorta negativamente sulla sua situazione cautelare, avendo avuto lÕeffetto di rafforzare il giˆ grave quadro indiziario emergente al momento dellÕadozione della misura, giustificandone anche il mantenimento successivo fino alla ÒspenditaÓ, solo in sede di appello, dellÕalibi.
Alla luce di quanto sopra, pertanto, lÕimpugnata ordinanza deve essere annullata con rinvio alla Corte dÕappello di Firenze, che provvederˆ anche alla liquidazione delle spese in favore dellÕAvvocatura dello Stato nel giudizio di legittimitˆ, per un nuovo esame che faccia applicazione del principio di diritto di cui al precedente ¤ 10.
Annulla la ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Firenze.
Cos’ deciso, il 17 ottobre 2024
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME