Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 16976 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 16976 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 27/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CORIGLIANO CALABRO il 10/02/1962
avverso l’ordinanza del 28/10/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG
RITENUTO IN FATTO
COGNOME Con ordinanza in data 28.10.2024 la Corte d’appello di Catanzaro, pronunciandosi sull’istanza di riparazione per ingiusta detenzione proposta nell’interesse di NOME COGNOME in relazione alla pena espiata in misura maggiore rispetto a quella rideterminata in sede esecutiva, ha rigettato l’istanza.
1.1. A fondamento dell’istanza il COGNOME aveva esposto le seguenti circostanze:
di essere stato tratto in arresto e ristretto presso il penitenziario di Crotone i data 23.7.1998, in esecuzione di fermo di indiziato di delitto eseguito dai Carabinieri del Comando Provinciale di Cosenza, e da quel momento di avere subito una lunga detenzione in esecuzione di diversi titoli di reato;
che da tale data e fino alla scarcerazione erano stati emessi a suo carico una serie di provvedimenti di condanna, che poi avevano formato oggetto di cumulo ed applicazione di reato continuato in sede esecutiva ex art. 671 cod.proc.pen. e precisamente :
la sentenza del 20.12.2002 emessa dalla Corte di Assise di Catanzaro con la quale era stato condannato alla pena di anni cinque e mesi quattro di reclusione;
la sentenza del 24.1.2004 emessa dalla Corte d’Assise d’appello con la quale era stato condannato alla pena di anni 23 di reclusione;
la sentenza del 18.5.2004 emessa dalla Corte di appello di Catanzaro con la quale era stato condannato alla pena di mesi otto di reclusione in continuazione con la sentenza di cui al punto 1);
la sentenza del 16.05.2005 emessa dalla Corte di Assise di appello di Catanzaro con la quale era stato condannato alla pena di mesi sei di reclusione in continuazione con la sentenza di cui al punto n.1;
la sentenza del 30.11.2016 emanata dalla Corte d’appello di Catanzaro con cui veniva condannato alla pena di anni sette di reclusione.
Esponeva che, rimesso in libertà in data 17.5.2018, era stato nuovamente ristretto in carcere in esecuzione della sentenza di cui al n. 5 e che in quel momento l’unica pena da espiare era appunto quella di anni sette di reclusione di cui a detta sentenza;
che in data 8.6.2018 aveva fatto richiesta del riconoscimento del vincolo della continuazione tra le sentenze da 1 a 5;
che con ordinanza ex art. 671 cod.proc.pen. in data 21.1.2020, la Corte d’Assise d’appello aveva accolto solo parzialmente l’istanza, riconoscendo la continuazione tra i reati di cui alle sentenze sub.1,3, 4 e 5 ed escludendola in
riferimento alla sentenza sub 2, che pure era stata ritenuta in continuazione con la sentenza sub 1 con precedente ordinanza del 26.6.2006;
che, proposto ricorso per cassazione avverso detta ordinanza, questa Suprema Corte con sentenza del 21.5.2021 aveva annullato l’ordinanza;
che, in sede di rinvio, la Corte d’appello di Catanzaro, con ordinanza in data 5.1.2022, aveva applicato la continuazione tra tutte le pronunce da 1 a 5, previo aumento per la continuazione per il reato sub 5 di anni due di reclusione.
A seguito di detta rideterminazione della pena, l’istante veniva quindi scarcerato in data 11.1.2022, dopo aver scontato una pena di anni tre, mesi sette e giorni ventinove di reclusione a fronte dei due anni disposti dal predetto provvedimento.
In relazione alla pena così espiata, il Pepe proponeva istanza di riparazione dell’ingiusta detenzione.
1.2. A fondamento del rigetto, il giudice della riparazione ha ritenuto che nella specie non si ravvisa alcun errore consistente in una violazione di legge, in quanto il giudice dell’esecuzione si é pronunciato sull’applicazione di un istituto favorevole al condannato che é connotato da evidente margine di discrezionalità ed ha motivato l’accoglimento parziale con motivazioni che esulano dal campo dell’errore. Pur troyedosi dinanzi ad una vicenda legata alla fase dell’esecuzione e come tale indennizzabile, il ridimensionamento della pena in sede esecutiva é conseguito al concreto esercizio di attività giurisdizionale scevra da errore.
Avverso detta ordinanza NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione articolato in un motivo con cui deduce ai sensi dell’art. 606 comma 1, lett. b), cod.proc.pen. in relazione all’art.314 cod.proc.pen., all’art. 5 Cedu, agli artt. 3 e 24 Cost. ed all’art. 606 comma 1, lett. e), cod.proc.pen. la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione. Si assume che, contrariamente a quanto affermato nell’ordinanza impugnata, la Corte d’appello di Catanzaro, quale giudice dell’esecuzione, lungi dall’aver esercitato un legittimo potere discrezionale, ha commesso un chiaro errore consistente in una violazione di legge. Si ritiene che la Corte di merito abbia travisato il principio espresso da Cass. n. 57203/17, dovendosi invece ritenere che in ipotesi di sopravvenuta inefficacia dell’ordine di esecuzione sia attivabile il
meccanismo di riparazione.
Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha depositato memoria con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso é fondato.
Si deve innanzitutto ricordare che con la sentenza n. 310 del 18-25 luglio 19 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 proc. pen. nella parte in cui non prevede il diritto all’equa riparazione anc la detenzione ingiustamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione, p contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. e violazione dell’art. 5 della Convenzione il quale prevede il diritto alla riparazione a favore della vittima di arres detenzioni ingiuste, senza distinzione di sorta.
Tuttavia, in ordine ai presupposti per il riconoscimento del diritto, la Costituzionale non si è pronunziata; in conseguenza, il compito è stato rimes all’interprete.
E’ stato inizialmente adottato un criterio in base al quale il diritto alla rip non è configurabile ove la mancata corrispondenza tra pena inflitta e pen eseguita sia determinata da vicende, successive alla condanna, che riguardano l determinazione della pena eseguibile (Sez. 4 n. 3382 del 22/12/2016, dep.2017, Riva, Rv. 268958; Sez. 4, n. 4240 del 16/12/2016, dep. 2017, Laratta, Rv 269168).
Tale indirizzo faceva espresso rinvio alla sentenza Corte Cost. n. 219 del 2 ap 2008 con la quale la Consulta (in un caso di pena definitivamente inflitta misura inferiore alla custodia cautelare sofferta) aveva dichiarato l’illegit costituzionale dell’art. 314 cod. proc. pen. nella parte in cui condizionava il all’equa riparazione al proscioglimento nel merito dalle imputazioni, ritenen che in quella sede, in definitiva, il giudice delle leggi avesse legitti soluzioni offerte dal giudice di legittimità con riferimento ai casi di reati pre o di amnistia e remissione di quérela. Sulla scorta di tale lettura del nor . mativo, quindi, si era ritenuto che, in tali ipotesi, il diritto alla ri potesse essere riconosciuto ove la durata della custodia cautelare sofferta fo superiore alla misura della pena astrattamente irrogabile o irrogata, ma solo limiti dell’eccedenza (Sez. 4 n. 3382/2017, Riva, cit. in motivazione, richiama anche Sez. 4 n. 15000 del 19/2/2009, Ciclone, Rv.243210).
Con la conseguenza che il diritto all’equa riparazione veniva, invece, escluso tutti i casi in cui la mancata corrispondenza tra detenzione cautelare e eseguita conseguisse a vicende posteriori alla condanna, connesse al reato o a pena (Sez. 4 n. 40949 del 23/4/2015, COGNOME, Rv. 264708 . , principiò affermato in relazione ad un caso di ammissione al beneficio della liberazione anticipata, era conseguita la riduzione della pena originariamente inflitta con eccedenz quindi, della detenzione subita in concreto dal condannato). Nelle successi
pronunce, tuttavia, la Corte di legittimità si è orientata nel senso di riconoscere rilievo anche alle vicende successive alla condanna e inerenti all’esecuzione. La sentenza Sez. 4, n. 57203 del 21/09/2017, COGNOME, Rv. 271689 ha illustrato le plurime fattispecie di ordine di esecuzione illegittimo o divenuto tale successivamente per fattori non ascrivibili a comportamento doloso o colposo del condannato, nelle quali questa Corte, in applicazione dei predetti principi, ha riconosciuto il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione: a) ordine di esecuzione legittimamente emesso, ma relativo a pena che, a causa del lungo arco temporale intercorso tra l’emissione del titolo e la sua esecuzione, si era poi estinta ex art. 172 cod. pen. (senza che rilevasse l’assenza di un’espressa declaratoria di estinzione della pena) (Sez. 4, n. 45247 del 20/10/2015, COGNOME,Rv. 264895); b) ordine di esecuzione relativo a pena già estinta per indulto, anche se non ancora applicato dal giudice di esecuzione (Sez. 4, n. 30492 del 12/06/2014, Riva, Rv. 262240); c) periodo di detenzione eccedente a quello risultante dall’applicazione della liberazione anticipata, in conseguenza di un ordine di esecuzione non ancora aggiornato al nuovo fine pena (Sez. 4, n. 18542 del 14/01/2014, COGNOME, Rv. 259210); d) tardiva esecuzione dell’ordine di scarcerazione disposto per liberazione anticipata per il periodo di detenzione ingiustamente sofferto (Sez. 4, n. 47993 del 30/09/2016, COGNOME, Rv. 268617). La sentenza n. 57203 del 21/09/2017 cit. ha effettuato un’ampia ricognizione della casistica delle pronunzie della Corte europea dei diritti dell’uomo in tema di detenzione ingiusta (soprattutto in tema di liberazione anticipata), tutte convergenti nel senso della più ampia tutela in caso di ingiusta detenzione per errore nella fase dell’esecuzione della pena. Il criterio interpretativo attualmente prevalente, che il Collegio condivide, impone di riconoscere il diritto alla riparazione ai sensi dell’art.314 cod. proc. pen. anche ove l’ingiusta detenzione patita derivi da vicende successive alla condanna, connesse all’esecuzione della pena, purché non ricorra un comportamento doloso o gravemente colposo dell’interessato che sia stato concausa di errori o ritardi nell’emissione del nuovo ordine di esecuzione recante la corretta data del termine di espiazione della pena (Sez. 4, n. 17118 del 14/01/2021, COGNOME Rv. 281151 – 01; Sez. 4 n. 57203 del 21/9/2017, COGNOME, Rv. 271689), con la precisazione che la detenzione sine titulo legittimante il diritto alla riparazione sussiste solo qualora si verifichi violazione di legge da parte dell’autorità procedente e non anche qualora la discrasia tra pena definitiva e pena irrogata consegua all’esercizio di un potere discrezionale (nel medesimo senso Sez. 4, n.25092 del 25/05/2021, COGNOME, Rv. 281735). Tale indirizzo interpretativo si fonda sulla distinzione fra il piano della irrevocabilità della condanna e quello della definitività della pena. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2. Così ricostruito il quadro della giurisprudenza di legittimità sul tema, l’ordinanza impugnata si presta a censure. Ed invero la Corte d’appello di
Catanzaro nell’originaria ordinanza del 21.1.2020, poi annullata da questa Corte, non si é limitata ad esercitare un potere discrezionale ma, come é stato posto in
rilievo nella sentenza rescindente, “ha finito per misconoscere la portata logico- giuridica della continuazione affermata e applicata con il precedente
provvedimento del 26 giugno 2006″.
In altri termini, il giudice dell’esecuzione non ha tenuto conto della portata logico-giuridica della continuazione, già affermata con il precedente
provvedimento del 26 giugno 2006, laddove i reati accertati con la sentenza del
20 dicembre 2002 erano già stati riuniti in continuazione con quelli oggetto della sentenza del 24 gennaio 2004.
E, contrariamente a quanto ritenuto nell’ordinanza oggi impugnata, lungi dall’aver esercitato un legittimo potere discrezionale, ha commesso invece un
chiaro errore consistente in una, violazione di legge. Ne consegue che, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice della riparazione, il
ridimensionamento della pena in fase esecutiva é conseguito nel caso di specie al concreto esercizio di un’attività giurisdizionale connotata da errore nei termini dianzi evidenziati.
Ne deriva pertanto che, venendo in rilievo una violazione di legge da parte dell’autorità procedente, sussistono i presupposti per la domanda ex art.314 cod.proc.pen.
In conclusione si impone l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio dinnanzi alla Corte d’appello di Catanzaro.
Alla stessa demanda la regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d’appello di Catanzaro cui demanda anche la regolamentazione delle spese tra le parti per questo giudizio di legittimità.
Così deciso il 27.3.2025