Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 6315 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 6315 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 20/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a POMPEI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 03/04/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’Appello di Roma ha rigettato la richiesta di riparazione ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen. presentata nell’interesse di NOME COGNOME, con riferimento alla detenzione da costui subita (dal 26 giugno 2013 al 15 ottobre 2013 in stato di custodia in carcere e dal 16 ottobre 2013 al 7 marzo 2014 in regime di arresti domiciliari) in un procedimento penale, nel quale, nella qualità di broker finanziario privato corruttore, gli era stato contestato il reato di cui agli artt 110, 319, 321 cod. pen.
In particolare, secondo l’imputazione, COGNOME, insieme al sacerdote NOME COGNOME, aveva promesso e corrisposto a NOME COGNOME, pubblico ufficiale dell’Arma dei Carabinieri appartenente ai servizi di informazione del governo italiano, una somma di denaro pari a 400.000 euro e un assegno dell’importo di 200.000 euro (poi non potuto incassare a causa di una falsa denuncia di smarrimento); in cambio, COGNOME si era messo a disposizione per l’illecito trasporto in Italia dalla Svizzera della somma di 20 milioni di euro in contanti, riconducibile a taluni investimenti effettuati dagli armatori NOME e NOME COGNOME, procurando a tale scopo un vettore aereo e assicurando la vigilanza armata.
NOME, a seguito di giudizio abbreviato, era stato condannato con sentenza del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Roma del 27 giugno 2016, confermata dalla Corte di Appello con sentenza del 12 febbraio 2017. La Corte di RAGIONE_SOCIALEzione aveva annullato con rinvio tale ultima sentenza, rilevando che non erano state spiegate le ragioni per cui le condotte di NOME, oggetto del contestato accordo corruttivo, erano state ritenute rientrare nella competenza, o nella sfera di influenza, sia pure di fatto, dell’ufficio a cui apparteneva COGNOME. La Corte di Appello di Roma, in sede di rinvio aveva, infine, assolto COGNOME dal reato di corruzione con la formula “perché il fatto non sussiste”.
La Corte della riparazione ha ravvisato la condizione ostativa della colpa grave nella condotta del ricorrente, consistita nel tentativo di fare rientrare illecitamente in Italia capitali di cui aveva la disponibilità presso la filiale Lugano del Credite Suisse, per conto dei fratelli COGNOME, rilevando che le confuse dichiarazioni rese in sede di interrogatorio erano semmai valse a corroborare l’ipotesi di accusa.
2.La difesa dell’interessato ha proposto ricorso, a mezzo del difensore, formulando un unico motivo con cui ha dedotto la violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della condizione ostativa. La Corte, quanto alla condotta processuale, avrebbe valorizzato le dichiarazioni rese
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da COGNOME in sede di interrogatorio, in violazione del principio per cui l’estrinsecazione del diritto di difesa non può costituire colpa grave valutabile come ostativa alla riparazione. La Corte, quanto alla condotta extraprocessuale, avrebbe valorizzato il tentativo da parte del ricorrente di importare capitali in Italia, ma non aveva tenuto conto che l’ assoluzione era intervenuta allo stato degli atti sulla base di elementi che erano già noti al giudice della cautela e che la questione giuridica fondante l’assoluzione era tale anche all’atto della adozione della misura.
3.11 Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME, ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
2. La Corte di Appello ha premesso che l’esito assolutorio del processo era dovuto a ragione di carattere esclusivamente giuridico, ovvero alla ritenuta non configurabilità del reato di corruzione, stante la mancata correlazione RAGIONE_SOCIALE condotte dello COGNOME con le competenze del pubblico ufficio al quale apparteneva, e ha rilevato che la condotta del COGNOME, così come accertata nel processo e consistita nel tentativo di fare rientrare illecitamente capitali in Italia in violazion RAGIONE_SOCIALE norme valutarie, fosse connotata da colpa grave.
I giudici hanno spiegato che l’organizzazione nel dettaglio dell’operazione di trasporto della ingente somma di denaro in contanti e il contesto generale emergente dalle intercettazioni telefoniche e telematiche, in cui si faceva riferimento al carattere illecito dell’operazione e alla sua pericolosità, avevano creato una situazione tale da costituire prevedibile ragione di intervento dell’autorità giudiziaria; hanno, altresì, rilevato che in sede di interrogatorio COGNOME aveva reso dichiarazioni, tali da rafforzare il quadro accusatorio.
3.A fronte di tale percorso argomentativo, il motivo con cui si censura la sussistenza della condizione ostativa alla riparazione, è manifestamente infondato.
3.1.In linea generale, va ribadito che il giudice della riparazione per l’ingiusta detenzione, per stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione ex ante – e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale
condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez. 4 n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014, Maltese Rv. 259082). Pertanto, in sede di verifica della sussistenza di un comportamento ostativo al riconoscimento del diritto alla riparazione non viene in rilievo la valutazione del compendio probatorio ai fini della responsabilità penale, ma solo la verifica dell’esistenza di un comportamento del ricorrente che abbia contribuito a configurare un grave quadro indiziario nei suoi confronti. Si tratta di una valutazione che ricalca quella eseguita al momento dell’emissione del provvedimento restrittivo ed è volta a verificare, in primo luogo, se dal quadro indiziario a disposizione del giudice della cautela potesse desumersi l’apparenza della fondatezza RAGIONE_SOCIALE accuse, pur successivamente smentita dall’esito del giudizi; in secondo luogo, se a questa apparenza abbia contribuito il comportamento extraprocessuale e processuale tenuto dal ricorrente (Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME‘COGNOME, Rv.247663). A tal fine, peraltro, il giudice della riparazione non può valorizzare elementi di fatto la cui verificazione sia stata esclusa dal giudice di merito, ovvero anche solo non accertata al di là di ogni ragionevole dubbio, con la conseguenza che non possono essere considerate ostative al diritto all’indennizzo condotte escluse sul piano fattuale o ritenute non sufficientemente provate con la sentenza di assoluzione (Sez. 4, n. 12228 del 10/01/2017, Quaresima, Rv. 270039; Sez. 4, n.46469 del 14/09/2018, Colandrea, Rv. 274350)
Il giudice deve esaminare e apprezzare tutti gli elementi probatori utilizzabili nella fase RAGIONE_SOCIALE indagini, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, non è censurabile in sede di legittimità (Sez. 4 n. 27458 del 5/2/2019, NOME, Rv. 276458).
3.2. La Corte di Appello di Roma, nel riconoscere la condizione ostativa, si è attenuta a tali principi.
In primo luogo, la Corte ha valorizzato condotte extraprocessuali del ricorrente che erano state accertate nel loro accadimento fattuale da parte dei giudici di merito e che non sono state neppure contestate con il presente ricorso, anche sotto il profilo della loro illiceità. Il ricorrente, dunque, non ha messo in dubbio né la ontologica esistenza di tali condotte, né il loro carattere gravemente colposo o doloso, ma si è limitato ad evidenziare che l’assoluzione era stata pronunciata da parte dei giudici di merito sulla base dello stesso compendio probatorio utilizzato dal giudice della cautela. Tale censura, tuttavia, non coglie nel segno, posto che il piano della valutazione dei gravi indizi di colpevolezza nella
fase cautelare è differente rispetto a quello GLYPH della affermazione della penale responsabilità: il giudice della riparazione è tenuto a valutare condotte gravemente colpose o dolose causali o concausali rispetto alla adozione della misura cautelare, ovvero condotte che, con riguardo al tipo di giudizio rimesso al giudice della cautela, abbiano creato un’apparenza di reato, a nulla rilevando che quegli stessi elementi siano stati ritenuti dal giudice del merito insufficienti a fondare una pronuncia di condanna (in tal senso, da ultimo, Sez. 4, n. 2145 del 13/01/2021, COGNOME, Rv. 280246 secondo cui “Nel giudizio avente ad oggetto la riparazione per ingiusta detenzione, ai fini dell’accertamento della condizione ostativa del dolo o della colpa grave, può darsi rilievo agli stessi fatti accertati nel giudizio penale di cognizione, senza che rilevi che quest’ultimo si sia definito con l’assoluzione dell’imputato sulla base degli stessi elementi posti a fondamento del provvedimento applicativo della misura cautelare, trattandosi di un’evenienza fisiologicamente correlata alle diverse regole di giudizio applicabili nella fase cautelare e in quella di merito, valendo soltanto in quest’ultima il criterio dell’ aldilà ogni ragionevole dubbio”). La identità del compendio probatorio, quale fattore che impedisce di dare rilievo alla condizione ostativa, rileva solo nel caso in cui sia accertata la illegittimità ab origine della misura cautelare (c.d. ingiustizia formale di cui all’art. 314, comma 2, cod. proc. pen), e cioè quando con decisione irrevocabile risulti accertato che il provvedimento che ha disposto la misura è stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli articoli 273 e 280 cod. proc. pen.: in tale caso, la circostanza di avere dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare per dolo o colpa grave non può rilevare, in forza del meccanismo causale che governa l’indicata condizione ostativa, nelle ipotesi in cui l’accertamento dell’insussistenza “ah origine” RAGIONE_SOCIALE condizioni di applicabilità della misura in oggetto avvenga sulla base dei medesimi elementi trasmessi al giudice che ha reso il provvedimento cautelare, in ragione unicamente di una loro diversa valutazione (Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247663; Sez. 4, n. 16175 del 22/04/2021, COGNOME, Rv. 281038; Sez. 4, n. 26261 del 23/11/2016, RAGIONE_SOCIALE Econ. Finanze, Rv. 270099). Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
Inoltre la Corte, a differenza di quanto ipotizzato dal ricorrente, ha sì richiamato le dichiarazioni in rese da COGNOME in sede di interrogatorio, ma non già per affermarne la loro rilevanza quale estrinsecazione di condotta colposa, bensì solo per ribadire che il tentativo compiuto da COGNOME di fare rientrare attraverso i “favori” di COGNOME i capitali in Italia era stato confermato proprio da tal dichiarazioni. Dunque, vero è che in linea generale, dopo che l’art. 314, comma 1, cod. proc. pen. è stato modificato dal d.lgs. n. 188 del 8/11/2021, il silenzio serbato dall’indagato o dall’imputato nel corso dell’interrogatorio o esame non può di per sé solo integrare il fattore ostativo al riconoscimento del diritto alla
riparazione (Sez. 4, n. 8615 del 08/02/2022, Z. Rv. 283017; Sez. 4 n. 19621 del 12/04/2022, L. Rv. 283241; Sez. 4 n. 8616 dell’8/2/2022, Radu, non massimata), mentre il mendacio dell’indagato in sede di interrogatorio, ove causalmente rilevante sulla determinazione cautelare, può continuare a incidere sull’accertamento dell’eventuale colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, posto che la falsa prospettazione di situazioni, fatti o comportamenti non è condotta assimilabile al silenzio serbato nell’esercizio della facoltà difensiva prevista dall’art. 64, comma 3, lett. b) cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 3755 del 20/01/2022, Pacifico, Rv. 282581).
Nel caso in esame, tuttavia, il riferimento al contenuto dell’interrogatorio e della nota scritta depositata a corredo è stato operato dai Giudici solo al fine di dare atto che la condotta extraprocessuale, ritenuta estrinsecazione della colpa, era stata ammessa dallo stesso ricorrente, sicché anche sotto tale profilo l’ordinanza impugnata appare esente dai vizi denunciati.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di C 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE, somma così determinata in considerazione RAGIONE_SOCIALE ragioni di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa RAGIONE_SOCIALE ammende.