Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 23741 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 23741 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 08/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a SERSALE il 02/03/1976
avverso l’ordinanza del 26/02/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette/Uni:In le conclusioni del PG
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza depositata in data 21.1.2025 la Corte di appello di Catanzaro ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione proposta nell’interesse di NOME COGNOME in relazione al periodo di sottoposizione della medesima alla misura della custodia cautelare in carcere applicatale dal 29.11.2016 al 5.12.2016 e successivamente degli arresti domiciliari dal 6.12.2016 al 16.11.2020, in esecuzione dell’ordinanza emessa dal Gip del locale Tribunale in data 14.11.2016 in quanto gravemente indiziata del reato di cui all’art. 416 bis, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6 cod.pen. (capo 1) della contestazione).
Successivamente il Tribunale del riesame di Catanzaro aveva rigettato la richiesta di annullamento dell’ordinanza applicativa della misura, quindi questa Corte con sentenza del 26.4.2017 aveva respinto il ricorso avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale del riesame.
Quanto al merito, il Gup del Tribunale di Catanzaro con sentenza in data 18.12.2018 aveva ritenuto l’Esposito colpevole del reato a lei ascritto condannandola alla pena di anni otto di reclusione; con sentenza in data 16.11.2020, divenuta irrevocabile in data 1.4.2021, la Corte d’appello di Catanzaro l’aveva invece assolta dal reato associativo a lei contestato perché il fatto non sussiste.
1.1. La Corte territoriale ha posto a fondamento del diniego dell’istanza ex art. 314 cod.proc.pen. la sussistenza di una condotta gravemente colposa dell’COGNOME, concretata dalle intercettazioni dei numerosi colloqui in carcere avuti dalla medesima con il marito COGNOME NOME, comportamenti che ben potevano ex ante essere considerati quali atti di adesione e di partecipazione al sodalizio di cui al capo 1).
L’COGNOME, a mezzo del proprio difensore, ricorre per cassazione avverso la suindicata ordinanza, proponendo un motivo di impugnazione.
Con detto motivo deduce la violazione dell’art. 606 lett. b) cod.proc.pen. in relazione all’art. 314 comma 1, cod.proc.pen. per avere il giudice del merito negato il diritto alla riparazione in assenza di elementi integranti la colpa grave della medesima nonché la violazione dell’art. 606 lett. e) cod.proc.pen. per illogicità della motivazione risultante dal provvedimento impugnato nonché per contraddittorietà risultante dal raffronto dell’ordinanza impugnata, quanto alle circostanze riconducibili alla colpa grave, con a) la sentenza n. 1907/2020 della Corte di appello di Catanzaro che aveva assolto la ricorrente richiamando le vicende in relazione alle quali la stessa era stata assolta anche nel diverso procedimento n. 2331/13 RGNR; b) l’ordinanza n. 5/22 del 22.11.2021 con la quale era stata riconosciuta la riparazione subita dall’ COGNOME nell’ambito del
proc. n. 2331/13 nell’ambito del quale era stata arrestata, sulla base degli stessi elementi poi posti a fondamento del procedimento conclusosi con la sentenza assolutoria n. 1907/2020 emessa dalla Corte d’appello di Catanzaro.
Si assume che l’ordinanza impugnata non si confronta con le motivazioni poste a fondamento della sentenza assolutoria, non specificando se la stessa abbia dato o concorso a dare causa con dolo o colpa grave alla privazione della libertà personale.
Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha depositato memoria con cui ha concluso per l’inammissibilità del ricorso o in subordine per il suo rigetto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
Va premesso che, come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte (n. 34559 del 26/06/2002, COGNOME, Rv. 222263), in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento la motivazione, che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Si è, inoltre, precisato che il giudice della riparazione, p stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine d stabilire, con valutazione ex ante e secondo un iter logico – motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito non se tale condotta integri estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez. 4, n. 3359 del 22/09/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv, 268952).
Per decidere se l’imputato abbia dato causa con dolo o colpa grave alla misura cautelare, deve essere valutato il comportamento dell’interessato alla luce del quadro indiziario su cui si è fondato il titolo cautelare, e sempre che gli elementi indiziari non siano stati dichiarati assolutamente inutilizzabili ovvero siano stati esclusi o neutralizzati nella loro valenza nel giudizio di assoluzione (Sez. 4, n. 41396 del 15/09/2016, Piccolo, Rv. 268238). In definitiva, il giudizio per la riparazione dell’ingiusta detenzione è del tutto autonomo rispetto al giudizio
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penale di cognizione, impegnando piani di indagine diversi e che possono portare a conclusioni del tutto differenti sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito agli atti, il che, tuttavia, non consente al giudice della riparazione d ritenere provati fatti che tali non sono stati considerati dal giudice dell cognizione ovvero non provate circostanze che quest’ultimo ha valutato dimostrate (Sez. 4, n. 12228 del 10/01/2017, Quaresima, Rv. 270039).
Nel caso di specie, il giudice della riparazione, dopo aver correttamente individuato quale oggetto del sindacato un’ipotesi di c.d. ingiustizia sostanziale, ha rigettato la domanda con una motivazione esaustiva, coerente e non manifestamente illogica, in quanto ha individuato delle condotte specifiche, non escluse dal Giudice di merito, e le ha valutate gravemente colpose.
Il provvedimento impugnato si é fondato sulle captazioni dei colloqui in carcere intrattenuti dalla COGNOME con il marito COGNOME NOME, posto al vertice del gruppo familiare, sotto articolazione del sodalizio mafioso facente capo a Trapasso Giovanni, durante il periodo in cui lo stesso si trovava ristretto in regime detentivo; ebbene tali conversazioni, i cui stralci vengono riportati nell’ordinanza impugnata, danno conto, nell’iter logico argomentativo seguito dal giudice della riparazione, che non si trattava di meri incontri tra coniugi ma di colloqui nel corso dei quali la stessa discuteva di questioni riguardanti il sodalizio e veicolava messaggi per i componenti dell’associazione. Le questioni trattate vertevano sulle mansioni da far svolgere a tale NOME COGNOME sui proventi del bar di Greco Gino e sulle commissioni o le innbasciate che la donna avrebbe dovuto compiere per conto del marito. A suffragare la natura di tali conversazioni viene peraltro posta in rilievo la circostanza secondo cui la COGNOME, in diverse occasioni, abbassava improvvisamente la voce e comunicava con il marito con gesti in codice al fine di eludere le captazioni in atto.
Pertanto, risulta del tutto coerente la motivazione del giudice della riparazione, secondo cui il comportamento tenuto dall’odierna ricorrente, pur non essendo sufficiente ai fini dell’affermazione della responsabilità penale della ricorrente, integrava una condotta gravemente colposa che avevano contribuito ad indurre in errore l’autorità giudiziaria, in quanto indicativa di una consapevole contiguità all’attività illecita del marito.
Così facendo corretta applicazione del principio secondo cui in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, integra gli estremi della colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto, la condotta di chi, nei reati contestati concorso, abbia tenuto, consapevole dell’attività criminale altrui, comportamenti percepibili come indicativi di una sua contiguità. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza che aveva negato la riparazione per essersi l’istante accompagnato agli autori di un omicidio nel giorno di commissione del
reato senza motivare in ordine alla consapevolezza dello stesso che tale frequentazione potesse integrare una condotta gravemente imprudente, tale da
(Sez.
determinare l’intervento dell’autorità giudiziaria)
4, n. 7956 del
20/10/2020, dep. 2021, Rv. 280547).
Si é altresì affermato che integra la condizione ostativa della colpa grave la condotta di chi, nei reati associativi, abbia tenuto comportamenti percepibili
come indicativi di una sua contiguità al sodalizio criminale, mantenendo con gli appartenenti all’associazione frequentazioni ambigue, tali da far sospettare il
diretto coinvolgimento nelle attività illecite. (Fattispecie in cui la Corte ritenuto esente da censure la decisione che aveva respinto la richiesta di
riparazione sul rilievo dell’avvenuto accertamento della stretta vicinanza del richiedente, imputato del reato di partecipazione ad associazione mafiosa, a
soggetto in posizione apicale nella locale articolazione di “RAGIONE_SOCIALE” e ad altri n. 574 del
individui inseriti nel medesimo contesto malavitoso)(Sez. 4,
05/12/2024, dep.2025, Rv.287302).
Nè può assumere rilievo la decisione di segno opposto assunta in relazione ad altro procedimento, stante l’autonomia dei giudizi e la diversità dei presupposti dei medesimi.
In conclusione il ricorso manifestamente infondato va dichiarato inammissibile. Segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000,00 in favore della Cassa delle ammende. Nulla va disposto a titolo di spese in favore del Ministero resistente, non avendo la memoria depositata nel suo interesse, a causa della genericità, fornito alcun contributo alla dialettica processuale (sul punto, Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002, COGNOME, Rv. 222264 – 01 e, da ultimo, Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, COGNOME, in motivazione).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Nulla per le spese al Ministero resistente.
Così deciso 1’8.5.2025