Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 17727 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 3 Num. 17727 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 15/01/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
– Presidente –
Sent. n. 61 sez.
NOME COGNOME
C.C.
–
15/01/2025
NOME COGNOME
R.G.N. 36007/2024
NOME COGNOME
NOME COGNOME Relatore –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME COGNOME SalvatoreCOGNOME nato a Reggio Calabria il 17-06-1965, avverso l’ordinanza del 17-09-2023 della Corte di appello di Reggio Calabria; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, dott.ssa NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
letta la memoria trasmessa il 3 gennaio 2025, con cui il difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 13 febbraio 2020, la Corte di appello di Reggio Calabria rigettava l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione avanzata nell’interesse di NOME COGNOME con riferimento alla detenzione da questi patita, dal 29 ottobre 2010 al 21 ottobre 2016 , nell’ambito di un procedimento penale (r.g.n.r. 256/2009, denominato ‘Alta tensione’) , in cui gli era stato contestato il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen., reato dal quale il richiedente era stato poi assolto per non aver commesso il fatto, con sentenza irrevocabile.
A seguito di ricorso di COGNOME, la Quarta Sezione Penale della Corte di cassazione, con sentenza n. 21572/2021 del 29 aprile 2021, annullava con rinvio l’ordinanza di rigetto della richiesta, ritenendone la motivazione viziata in punto di individuazione della colpa grave ostativa al riconoscimento dell ‘ indennizzo.
In sede di rinvio, la Corte di appello di Reggio Calabria, con ordinanza del 16 settembre 2021, riconosceva al richiedente un indennizzo limitatamente all ‘ ingiusta detenzione dallo stesso subita dal 29 ottobre 2010 al 5 novembre 2013, in misura pari a euro 259.873,64, condannando il Ministero dell’Economia a corrispondergli tale somma e dichiarando interamente compensate le spese processuali. I giudici del rinvio, invece, escludevano l’ indennizzabilità del periodo di detenzione compreso tra il 6 novembre 2013 e il 21 ottobre 2016, in quanto in tale periodo il ricorrente era in stato di custodia cautelare anche in relazione ad altro titolo, emesso per i delitti di illecita concorrenza e intestazione fittizia, aggravati ai sensi dell ‘ art. 7 della legge n. 203 del 1991 (c.d. processo ‘ Araba Fenice ‘ r.g.n.r. 12602/2020). Sottolineavano a tal proposito i giudici di appello che il richiedente, pur essendo a conoscenza dell ‘ esecuzione di tale diverso titolo cautelare, non aveva specificato alcunché nella richiesta di riparazione.
Con sentenza n. 7901/2022 del 22 febbraio 2022, pronunciandosi su un nuovo ricorso del Massara, la Terza Sezione Penale di questa Corte annullava anche la seconda ordinanza del giudice della riparazione, in base al rilievo che la Corte di appello, una volta escluse condotte dolose o gravemente colpose del richiedente incidenti sulla applicazione della misura coercitiva disposta a suo carico, avrebbe dovuto, per poter limitare l ‘ indennizzo spettante al richiedente solo a una parte del periodo di restrizione della libertà personale dallo stesso subita, in considerazione della esistenza di un altro titolo cautelare nel periodo da considerare, verificare se il periodo di custodia cautelare sofferto dal ricorrente dal 6 novembre 2013 al 21 ottobre 2016 per altro titolo sia stato computato ad altra pena che il ricorrente doveva o deve espiare, giacché solo in tal caso detto periodo di detenzione avrebbe potuto essere scomputato da quello per il quale è dovuta al richiedente la riparazione per l ‘ ingiusta detenzione, rimanendo altrimenti dovuto
l ‘ indennizzo per l ‘ intero periodo di privazione della libertà. In definitiva, il giudice della riparazione si era limitato a prendere atto dell ‘ esistenza di un altro titolo cautelare, senza verificare l ‘ esito del relativo giudizio (che tra l’altro sarebbe stato di assoluzione, secondo quanto affermato dal ricorrente), né, tantomeno, se tale periodo di detenzione sia stato imputato a pena da espiare, con la conseguente insufficienza dell ‘ indagine svolta per poter escludere la indennizzabilità di una parte del periodo di privazione della libertà personale.
5. In sede di secondo rinvio, con ordinanza resa in data 15 settembre 2022, la Corte di appello di Reggio Calabria confermava la liquidazione della somma di 259.873,64 euro per l ‘ ingiusta detenzione subita da Massara dal 29 ottobre 2010 al 5 novembre 2013, mentre veniva nuovamente escluso l ‘ indennizzo per il periodo 6 novembre 2013 -21 ottobre 2016, in quanto si prendeva atto dell ‘ avvenuta rinuncia da parte dell ‘i nteressato all ‘ istanza di ingiusta detenzione concernente l ‘ altro titolo cautelare.
6. In accoglimento del nuovo ricorso proposto di COGNOME, la Quarta Sezione della Corte di cassazione, con sentenza n. 19654 del 13 aprile 2023, annullava con rinvio l’ ultima ordinanza impugnata, osservando che preclusiva al riconoscimento dell’indennizzo per ingiusta detenzione con riferimento al periodo che va dal 6 novembre 2013 al 21 ottobre 2016 in relazione al procedimento cosiddetto ‘Alta tensione’ sarebbe stata soltanto la circostanza che , rispetto al medesimo periodo, vi fosse stata una carcerazione da imputare quale espiazione di pena per un’intervenuta condanna in altro procedimento. Ciò, tuttavia, non appariva essere accaduto nel caso di specie, in cui il ricorrente affermava di aver dato prova dinanzi al giudice della riparazione che anche per il processo ‘RAGIONE_SOCIALE‘ era intervenuta sentenza di assoluzione. La rinuncia operata in relazione all’istanza di riparazione per ingiusta detenzione riguardante il periodo dal 6 novembre 2013 al 21 ottobre 2016 nel processo ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ andava dunque interpretata nel senso che, rimanendo in piedi la richiesta di equa riparazione per tale periodo relativa al processo ‘ Alta tensione ‘ , non poteva pretendersi una duplicazione di indennità per il medesimo periodo. Tuttavia, ha precisato l’ultima sentenza rescindente, affinché possa essere valutata l ‘ indennizzabilità del periodo in contestazione in relazione al processo ‘ Alta tensione ‘, sarebbe stato necessario, non solo con riferimento a quello, ma anche al processo ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘, verificare che non sussistano comportamenti colposi riconducibili all ‘ imputato e sinergici rispetto all ‘ emissione della misura cautelare anche in relazione al processo ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ . Pertanto, il giudice del rinvio è stato sollecitato a valutare, in relazione al periodo di detenzione che va dal 6 novembre 2013 al 21 ottobre 2016, in primo luogo se vi siano stati comportamenti del ricorrente di natura colposa ostativi al riconoscimento del l’ indennizzo in ordine al processo ‘ Alta tensione ‘, per p oi verificare se, rispetto
al diverso titolo cautelare costituito dall’ordinanza custodiale relativa al procedimento ‘RAGIONE_SOCIALE‘ , sia effettivamente intervenuta una sentenza di assoluzione. E, in caso affermativo, se in riferimento a tale seconda ordinanza sussistano comportamenti di COGNOME ostativi alla concessione del beneficio.
In sede di terzo rinvio, con ordinanza del 17 settembre 2023, depositata il 18 ottobre 2024. la Corte di appello di Reggio Calabria rigettava l’istanza di riparazione rispetto al periodo compreso dal 6 novembre 2013 al 21 ottobre 2016.
Avverso la terza ordinanza della Corte di appello reggina, COGNOME tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto due distinti ricorsi per cassazione.
8.1. Il ricorso datato 1° ottobre 2024 è affidato a un unico motivo, con il quale è stata eccepita la violazione degli art. 314, commi 1 e 2, e 627, comma 3, cod. proc. pen., evidenziandosi che la Corte di appello ha omesso di considerare che l’eventuale comportamento colposo o doloso del richiedente andava valutato esclusivamente con riferimento ai reati per i quali era stata adottata la misura, per cui non poteva tenersi conto nel caso di specie di eventuali condotte che avrebbero potuto determinare la falsa rappresentazione della commissione del reato associativo e del reato di false fatturazioni, posto che per tali illeciti non è stato adottato il titolo cautelare, a ciò aggiungendosi che, con riferimento al delitto di cui all’art. 513 bis cod. pen., è stato già in sede cautelare rimarcato il difetto delle condizioni di applicabilità dell’art. 273 cod. proc. pen., essendo stata annullata l’ordinanza cautelare con considerazioni poi riprese dalla sentenza assolutoria .
8.2. Il ricorso datato 23 settembre 2024 è affidato a un unico motivo, con il quale la difesa ha dedotto la violazione degli art. 314 cod. proc. pen. e 512 bis e 513 bis cod. pen., avendo il giudice del rinvio erroneamente ritenuto sussistenti comportamenti ostativi da parte del ricorrente, senza considerare che non può essere ritenuta tale la mera assegnazione di un appalto, rispetto al quale i rilievi di illiceità sono stati completamente fugati. A ciò si aggiunge che se, come evocato dalla Corte territoriale, l’ errore compiuto dal giudice della cautela appare determinato da una non corretta interpretazione e applicazione dei criteri interpretativi della previsione di cui all’art. 513 bis cod. proc. pen., non si comprende quale potrebbe essere l’influenza che su tale erroneità valutativa potrebbe essere stata determinata da qualsivoglia comportamento materiale.
Né l’ordinanza impugnata lo avrebbe spiegato, limitandosi ad addurre tale circostanza, senza in alcun modo confrontarsi con l’effettiva valenza sinergica della condotta tenuta dal ricorrente rispetto a un mero ed evidente errore di diritto.
Da ultimo, sottolinea la difesa, sarebbe assolutamente erronea anche la valorizzazione, peraltro operata in termini meramente corroborativi, del profilo soggettivo del richiedente, ovvero dei suoi rapporti personali con altri indagati, anch’essi invero ass olti in relazione all’insussistente delitto di illecita concorrenza.
8.3. Con memoria trasmessa il 3 gennaio 2025, l’avvocato avv. NOME COGNOME difensore di Massara, nel replicare alla requisitoria del Procuratore generale, ha insistito nell’accoglimento del ricorso, ribadendo ne gli argomenti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono infondati.
Nel circoscrivere l’oggetto della verifica sollecitata da i ricorsi, invero tra loro sostanzialmente sovrapponibili, occorre innanzitutto premettere che la questione controversa riguarda esclusivamente l’indennizzabilità del periodo di detenzione compreso tra il 6 novembre 2013 e il 21 ottobre 2016, posto che, in ordine alla precedente detenzione subita da Massara tra il 29 ottobre 2010 e il 5 novembre 2013, è stato già riconosciuto al ricorrente l’importo di 259.873,64 euro.
Quanto alla restrizione compresa il 6 novembre 2013 e il 21 ottobre 2016, era stato infatti evidenziato che la stessa si è fondata su un duplice titolo cautelare, ovvero sia quello riferito al procedimento ‘RAGIONE_SOCIALE‘ (su cui si è basata anche la deten zione precedente), sia quello riferito al procedimento ‘RAGIONE_SOCIALE‘.
Ciò posto, è stato affidato al giudice dell’ultimo rinvio il compito di valutare, in relazione al periodo di detenzione che va dal 6 novembre 2013 al 21 ottobre 2016,: 1) se vi siano stati comportamenti del ricorrente di natura colposa ostativi al riconoscimento del l’ indennizzo in relazione al procediment o ‘Alta tensione’ ; 2) se, in ordine al diverso titolo cautelare costituito dall’ordinanza custodiale relativa al procedimento ‘RAGIONE_SOCIALE‘, sia effettivamente intervenuta una sentenza di assoluzione; 3) in caso affermativo, se con riferimento a tale seconda ordinanza, sussistano comportamenti di Massara ostativi alla concessione del beneficio.
Orbene, l’ordinanza resa in sede di rinvio dalla Corte territoriale risulta aver adeguatamente compiuto le verifiche sollecitate dalla sentenza rescindente.
E invero, dopo aver ripercorso in sintesi le tappe salienti della vicenda processuale, la Corte di appello ha ricordato che, in relazione al procedimento ‘Alta tensione’, non erano ravvisabili profili di colpa grave in capo a Massara, tanto è vero che nei suoi confronti è stata riconosciuta la riparazione, in relazione al periodo detentivo riconducibile esclusivamente a tit olo emesso nell’ambito di tale procedimento , dal quale il richiedente è stato assolto. Con riferimento invece al periodo (6 novembre 2013 – 21 ottobre 2016) in cui è stato emesso a carico del ricorrente, in altro procedimento, un secondo titolo cautelare, la Corte territoriale, pur dando atto che COGNOME è stato assolto anche nel procedimento ‘RAGIONE_SOCIALE‘, è tuttavia pervenuta alla conclusione che, rispetto a questo ulteriore periodo detentivo, erano configurabili a carico del richiedente , con riferimento all’applicazione e al mantenimento della misura custodiale, profili di colpa grave ostativi all’indennizzo.
In particolare, è stato sottolineato (pag. 69 dell’ordinanza impugnata) che NOME COGNOME, già condannato in via definitiva per il delitto di associazione mafiosa nel cd. processo Olympia 2, aveva partecipato alla suddivisione dei lavori di costruzione delle palazzine nel quartiere INDIRIZZO di Reggio Calabria insieme ad altre imprese appartenenti a esponenti della criminalità organizzata locale, occupandosi in particolare il ricorrente, su richiesta di NOME COGNOME, esponente di una cosca locale, dei lavori di pitturazione. Nell’ordinanza di applicazione della misura, COGNOME è descritto come uomo vicino a NOME COGNOME, persona di fiducia della cosca COGNOME e titolare della RAGIONE_SOCIALE, oggetto di confisca da parte del Tribunale di Reggio Calabria, Sezione Misure di Prevenzione; a COGNOME e all’avvocato NOME COGNOME il ricorrente confidava di essere costantemente controllato dalla Guardia di Finanza e di avere per questo chiuso la partita iva, proseguendo l’attività tramite la RAGIONE_SOCIALE, impresa avviata dalla moglie NOME COGNOME. In tale contesto, si è quindi ritenuto che COGNOME avesse intestato fittiziamente alla moglie la RAGIONE_SOCIALE, che avrebbe operato in continuità alla dismessa RAGIONE_SOCIALE dei Calabrò , al fine di evitare l’applicazione delle misure di prevenzione e agevolare l’attività delle cosche locali. Ora, ha evidenziato la Corte territoriale che, pur essendo stato COGNOME assolto dai reati di intestazione fittizia e di illecita concorrenza, è però rimasto acclarato il dato fattuale, significativo nell’ottica del giudizio di riparazione, che i lavori edili in questione sono stati ottenuti nell’ambito di un sistema spartitorio maturato in ambito ‘ ndranghetistico e in virtù della sua accertata appartenenza associativa, essendo annoverate nel certificato di Massara non solo una condanna definitiva per il reato ex art. 416 bis cod. pen., ma anche due misure di prevenzione, l’ultima delle quali eseguita nel 2016 .
L’assoluzione dell’imputato, avvenu ta ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen., è stata invero giustificata non dalla ritenuta insussistenza dei fatti, ma da considerazioni tecnico-giuridiche sulla configurabilità dei reati in ragione del non compiuto accertamento circa l’effettività dell’interposizione e dei poteri di gestione dell’impresa, ma ciò non cancella il fatto che COGNOME abbia partecipato al descritto accordo collusivo e ne abbia beneficiato, essendo pacifico, come riconosciuto dalla stessa sentenza di legittimità che ha annullato il titolo custodiale emesso a carico di NOME COGNOME (sentenza Sezione Sesta n. 36216 del 01/07/2014), che ‘ non è revocabile in dubbio che l ‘ aggiudicazione dei lavori di completamento del cantiere RAGIONE_SOCIALE dei Calabrò nel quartiere di Ravagnese sia stata disposta, non in virtù della competenza professionale degli imprenditori prescelti, ma unicamente grazie alla appartenenza all ‘ una piuttosto che all ‘ altra cosca ‘ . Del resto, i giudici di merito che hanno assolt o COGNOME hanno precisato di averlo fatto ‘a prescindere dalla situazione apparente’, con ciò evidentemente ammettendo che l’addebito che all’epoca aveva determinato l’adozione della misura era tutt’altro che inverosimile .
Orbene, le valutazioni compiute nell’ordinanza impugnata risultano scevre da profili di manifesta illogicità, non apparendo impropria la valorizzazione degli elementi posti a base del titolo cautelare, pur se in seguito ritenuti insufficienti ai f ini della condanna dell’imputato all’esito dei giudizi di merito, dovendosi in tal senso richiamare l’affermazione di questa Corte (cfr. S ez. 4, n. 2145 del 13/01/2021, Rv. 280246 e Sez . 4, n. 34438 del 02/07/2019, Rv. 276859), secondo cui, nel giudizio avente ad oggetto la riparazione per ingiusta detenzione, ai fini dell ‘ accertamento della condizione ostativa del dolo o della colpa grave, può darsi rilievo agli stessi fatti accertati nel giudizio penale di cognizione, senza che rilevi che quest ‘ ultimo si sia definito con l ‘ assoluzione dell ‘i mputato sulla base degli stessi elementi posti a fondamento del provvedimento applicativo della misura cautelare, trattandosi di un ‘ evenienza fisiologicamente correlata alle diverse regole di giudizio applicabili nella fase cautelare e in quella di merito, valendo soltanto in quest ‘ ultima il criterio dell ‘ ‘ al di là ogni ragionevole dubbio ‘ .
3.1. In definitiva, come rilevato anche dal Procuratore generale, l’ordinanza resa in sede di terzo rinvio dalla Corte di appello, collocandosi in modo pertinente nel solco tracciato dalla pronuncia rescindente, non presta il fianco alle censure difensive, con le quali è stata sostanzialmente prospettata una lettura alternativa degli elementi indiziari valutati in sede di merito, operazione questa che tuttavia non può trovare ingresso in questa sede, a fronte di un apparato motivazionale sorretto da argomentazioni non irrazionali e anzi coerenti con la necessaria autonomia valutativa propria del giudizio di riparazione per ingiusta detenzione.
Alla stregua di tali considerazioni, i ricorsi proposti nell’interesse di COGNOME devono essere rigettati , con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 15.01.2025
Il consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME