Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 9625 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 9625 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato in NIGERIA il 01/06/1989 nei confronti di: Ministero dell’Economia e delle Finanze avverso l’ordinanza del 01/10/2024 della Corte d’appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME annullamento con
letta la requisitoria del Procuratore generale, che ha concluso per l ‘ rinvio
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Roma, con l’ordinanza indicat a in epigrafe, ha rigettato l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione presentata nell’interesse di NOME COGNOME in relazione alla misura della custodia cautelare in carcere subita dal 10/07/2021 fino al 10/01/2022 nell’ambito di un procedimento nel quale l ‘ istante era indagato per plurime ipotesi di reato in materia di detenzione e cessione illegali di sostanza stupefacente, conclusosi con assoluzione irrevocabile all’esito di giudizio abbreviato del giudice dell’udienza preliminare con formula «per non aver commesso i fatti».
Avverso tale ordinanza NOME COGNOME propone ricorso deducendo, con il primo motivo, violazione di legge per erronea applicazione dell’ art. 314, comma 1, cod. proc. pen., totale travisamento dei fatti, illogicità e incongruità della motivazione.
Secondo la difesa, il giudice della riparazione ha travisato i dati della vicenda processuale ritenendo che gli elementi a discarico dell’imputato fossero emersi solo in sede dibattimentale e fossero stati accertati solo all’esito del giudizio di merito. I nvece, il giudice dell’udienza preliminare, al l’esito del rito abbreviato, si è avvalso del medesimo materiale probatorio della fase cautelare evidenziando che «in conclusione, nessun quantitativo sequestrato, nessun servizio di O.C.P. a documentare sul fronte nigeriano le ipotizzate transazioni, nessuna certezza che l’utenza intercettata fosse in uso esclusivo a NOME COGNOME nessun controllo visivo del medesimo (se non quello, peraltro neutro, dell’identificazione sovra menzionata), in grado di coinvolgerlo specificamente (e concretamente) in alcuno degli episodi contestati» . La responsabilità penale dell’imputato è stata esclusa sulla base dei medesimi elementi disponibili al momento dell’adozione della misura cautelare per cui la motivazione a sostegno del rigetto della domanda risulta incongrua in quanto NOME COGNOME non ha affrontato la fase dibattimentale. L’ordinanza si scontra con l’orientamento di legittimità secondo il quale il giudice della riparazione non può ritenere provati i fatti che tali non sono stati considerati dal giudice della cognizione. Sebbene il giudice della riparazione abbia affermato che l’COGNOME , insieme al fratello NOME, si rifornisse stabilmente da appartenenti all’associazione albanese , avesse contatti stabili con i nige riani dell’alt ra organizzazione e fosse presente a un incontro con alcuni fornitori albanesi, nella sentenza assolutoria si è invece chiarito con riferimento alle transazioni relative ai traffici con il gruppo degli albanesi che «NOME non compare mai e non risulta aver avuto alcun ruolo».
Con il secondo motivo, deduce erronea applicazione dell’ art. 314, comma 2, cod. proc. pen. per emissione dell’ordinanza di custodia cautelare in assenza dei gravi indizi di colpevolezza con irrilevanza causale dell’eventuale concorso dell’imputato per dolo o colpa grave. Secondo la difesa, essendo intervenuta l ‘ assoluzione sulla base del medesimo compendio probatorio a disposizione del giudice della cautela, non sarebbe stato possibile valutare la sussistenza della colpa grave dell’imputato nell’applicazion e della misura custodiale. Infatti, anche nel sub-procedimento cautelare la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza deve tenere conto della regola di giudizio a favore dell’imputato per cui la valutazione della prova in sede cautelare rispetto al giudizio di cognizione si distingue solo per la provvisorietà del compendio indiziario, che può essere arricchito nel corso del tempo. È, dunque, evidente che la misura cautelare sia stata applicata in mancanza dei gravi indizi di colpevolezza, come dimostra la sentenza di assoluzione sulla base del medesimo materiale istruttorio. Ciò avrebbe reso irrilevante la colpa grave sinergica rispetto all’applicazione della misura cautelare , secondo quanto
stabilito dalle Sezioni Unite con la sentenza n.32383 del 2010. Anche tale aspetto, unitamente al fatto che la Corte di appello avrebbe dovuto valorizzare il comportamento dell’istante anche successiv o alla emissione della misura, sempre univocamente diretto a escludere la sua partecipazione, avrebbe dovuto condurre il giudice della riparazione ad accogliere la domanda.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l’annullamento con rinvio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Occorre, in primo luogo, osservare che la mera circostanza che il medesimo compendio indiziario che ha dato luogo alla misura cautelare sia ritenuto insufficiente per l’affermazione di responsabilità non integra un’ipotesi di ingiustizia formale per assenza di gravi indizi di colpevolezza ai sensi dell’art.273 cod. proc. pen. Contrariamente a quanto affermato nel ricorso, il criterio di giudizio che concerne la gravità indiziaria necessaria e sufficien te per l’adozione della misura cautelare è diverso da l criterio di giudizio che presuppone la pronuncia di una sentenza di condanna e, nella dinamica processuale, è fisiologico che la gravità indiziaria sufficiente per l’adozione di una misura cautelare possa rivelarsi insufficiente per l’affermazione di responsabilità secondo la regola dettata dall’art. 533 cod. proc. pen.; tale fisiologica dinamica processuale è, anzi, il presupposto dell’istituto della riparazione per ingiusta detenzione.
In successione logica, si esamina per primo il secondo motivo di ricorso. Tale doglianza, con cui si deduce la violazione dell’art. 314 cod. proc. pen. per avere il giudice della riparazione indebitamente valutato la sussistenza della condotta ostativa prevista da tale norma, risulta frutto di una non corretta lettura dell’indirizzo giurisprudenziale formatosi, peraltro, con esclusivo riferimento ai casi di c.d. «ingiustizia formale», sulla base di Sez. U D’Ambrosio ( n. 32383 del 27/05/2010, Rv. 247664 -01). Si tratta, in particolare, dei casi, contemplati dal secondo comma della disposizione, nei quali risulta che il provvedimento cautelare non avrebbe dovuto essere emesso per difetto delle condizioni di cui agli artt. 273 e 280 cod. proc. pen., tra i quali non rientra, secondo quanto si è chiarito in precedenza, il caso in esame. Solo con riferimento a queste ipotesi la Corte di legittimità ha elaborato l’indirizzo interpretativo che sottolinea la non operatività della causa ostativa del dolo o della colpa grave dell’istante qualora i medesimi elementi siano stati esaminati dal giudice della cognizione e dal giudice della cautela. Nelle ipotesi, come quella in esame, nelle quali si tratta invece della c.d. «ingiustizia sostanziale», la diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice della cautela,
prima, e dal giudice della cognizione, dopo, è fisiologica e spetta al giudice della riparazione valutare la sussistenza o meno della condotta ostativa.
Con riguardo al primo motivo, le ragioni a sostegno del rigetto della domanda si trovano espresse a pag.6 dell’ordinanza. In tale punto della decisione si fa riferimento all’esistenza di costanti e continui rapporti con gli altri indagati, alcuni dei quali poi effettivamente condannati per il traffico di sostanze stupefacenti nel medesimo giudizio di merito, alla accertata presenza di NOME COGNOME in compagnia di tali soggetti, coindagati nel procedimento a suo carico, al l’assenza di volontà di discos tarsi dalle condotte illecite del sodalizio criminale, al fatto che, dimorando con il fratello nell’abitazione che costituiva il centro dell’attività di spaccio, l’Oko non poteva essere ignaro di quanto vi avveniva, pur non essendo penalmente responsabile.
A ciò la Corte ha aggiunto come gli elementi che avevano causato l’emissione e la prosecuzione dell’esecuzione del provvedimento cautelare, ossia evidenti e robusti contatti ambigui con altri soggetti dediti alla detenzione e al traffico illegale di sostanze stupefacenti, non avessero trovato alcuna smentita per tutta la durata della detenzione.
Nel ricorso difetta ogni riferimento a tale passo della motivazione, in cui la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio interpretativo secondo il quale la giurisprudenza costante della Corte di legittimità qualifica come ostativa al diritto alla riparazione la condotta connivente ( ex plurimis , Sez. 4, n. 4113 del 13/01/2021, Sanyang, Rv. 280391 -01; Sez. 3, n.22060 del 23/01/2019, COGNOME, Rv. 275970 -02).
E ‘ condivisibile l ‘ assunto difensivo che censura l’affermazione della Corte territoriale secondo la quale gli elementi a disposizione del giudice della cautela sarebbero stati smentiti solo in sede dibattimentale, emergendo come pacifica la circostanza che la sentenza assolutoria è stata emessa all’esito di rito abbreviato . Ciò nonostante, le doglianze svolte dal ricorrente non possono trovare accoglimento in quanto si tratta di errore di diritto che, ai sensi del l’art. 619 cod. proc. pen., può essere emendato da questa Corte in quanto inidoneo a determinare un diverso esito della decisione, alla luce della motivazione richiamata al paragrafo che precede.
Il ricorso si incentra, in altre parole, su una parte della motivazione descrittiva degli elementi gravemente indiziari emersi nel corso delle indagini a carico dell’istante senza in alcun modo attingere il nucleo centrale della motivazione del provvedimento impugnato, difettando per tale ragione di specificità. Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso il 6 marzo 2025