Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 37623 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 37623 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 24/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 29/09/2024 della CORTE APPELLO di BARI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; l’inammissibilità del ricorso.
lette le conclusioni del P.G., in persona della sostituta NOME COGNOME, che ha chiesto
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE ha rigettato la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione proposta nell’interesse di NOME COGNOME in relazione alla privazione della libertà personale subita, nella forma della custodia cautelare in carcere dall’8 luglio 2019 al 26.3.2020 Vi–c -gt’eré n o n ch é dal 26 marzo 2020 al 23 aprile 2020 nella forma degli arresti domiciliari, nell’ambito del procedimento in cui era indagato per il reato di cui agli artt. 110, 112, co. 1 n. 1, 419 cod. per commesso in RAGIONE_SOCIALE 27 e 28 aprile 2019. Al ricorrente era stato contestato di avere, in concorso con altre persone, messo a soqquadro il RAGIONE_SOCIALE, mediante una pluralità di atti vandalici consistiti nell’appiccare il fuoco a mobili e suppellettili posti all’interno d struttura, sì da renderla inagibile nonché nel provocare l’allagamento del corridoio centrale e nell’imbrattare alcune delle telecamere del sistema di videosorveglianza.
Il ricorrente è stato assolto dal Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza del 5 maggio 2020, con la formula “per non avere commesso il fatto”.
Avverso l’ordinanza propone ricorso NOME COGNOME i articolando due motivi.
3.1. Con il primo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione. La Corte della riparazione ha ritenuto un concorso colposo nell’applicazione della misura cautelare nell’essere, il ricorrente, salito sul tetto del CPR unendosi ai rivoltosi nel frangente della commissione del reato. Ad avviso della difesa, lo COGNOME non si è mai unito ai rivoltosi né ha posto in essere condotte gravemente imprudenti. La teste COGNOME, che in un primo momento aveva detto di avere riconosciuto lo COGNOME mentre si trovava sul tetto, nel corso del giudizio ha ritrattato, tanto che il Tribunale lo ha ritenuto totalmen estraneo. Il ricorrente, sin dalle prime battute, ha chiarito la propri posizione e indicato il responsabile; inoltre dalle foto scattate dagli agenti d polizia intervenuti sul posto si “vedeva chiaramente” che il ricorrente era salito sul tetto del modulo 4 per fuggire dalle fiamme e dal fumo. E’ emerso pacificamente che il ricorrente non era ospitato nei moduli coinvolti nei disordini e che lo scambio di persona tra i due soggetti è stato causato dalla 3 somiglianza tra- usiyiggetti , e non da condotte poste in essere dall’istante. La Corte con motivazione illogica ha escluso che il ricorrente non si trovasse nella necessità di fuggire dal fuoco e dalle fiamme e che non fosse credibile il
fatto che lo stesso avesse deciso di salire sul tetto dell’edificio per mettersi i salvo.
3.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione, laddove nel provvedimento impugnato si legge che la misura cautelare è stata adottata sulla scorta di una solida piattaforma indiziaria. L’art. 314, co. 2, cod. proc. pen. prevede che il diritto alla riparazione spett al prosciolto quando con decisione irrevocabile risulti accertato che il provvedimento che ha disposto la misura è stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli artt. 283 e 280 cod. proc. pen.
La Cortè i pur prendendo atto che si è trattato di un errore di persona,ha ritenuto illogicamente che l’ordinanza emessa fosse giustificata dall’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza oltre che delle esigenze cautelari. Al contrario, secondo la difesa /non sussistevano i gravi indizi /stante lo scambio di persona.
Il Procuratore generale, in persona della Sostituta NOME COGNOME, ha depositato conclusioni scritte chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è in parte infondato e in parte inammissibile.
E’ infondato il primo motivo di ricorso. La Corte della riparazione ha ripercorso gli atti cautelari.così ricostruendo gli accadimenti: la notte tra il 27 e il 28 aprile 2019, in tempi e con modalità diverse, venivano appiccati numerosi incendi in vari moduli abitativi del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, utilizzando materassi e carta per alimenti, venivano allagati i corridoi e distrutte suppellettili di vario tipo che determinavano la distruzione dei moduli 3, 6 e 7 del centro, non senza oscurare le telecamere del sistema di video sorveglianza.
Il giudice della riparazione, dopo avere ripercorso le vicende relative alla custodia cautelare patita dal ricorrente nonché i fatti posti C Lk fondamento delle imputazioni ;p:gni a suo carico, proprio nel solco dei principi giurisprudenziali richiamati in tema di riparazione, ha analizzato gli elementi sulla scorta dei quali ha fondato il rigetto dell’istanza e a tanto ha provveduto ponendo a confronto gli argomenti spesi dal giudice della cautela nell’ordinanza genetica con quelli addotti nei giudizi di merito a sostegno della decisione adottata. {
La Corte di appello, pur prendendo atto della ritrattazione della teste, operatrice del centro che, in dibattimento, contrariamente a quanto avvenuto in fase di indagini, ha sostenuto di non essere più certa del riconoscimento del ricorrente, sul tetto, insieme ai “rivoltosi”, hajj, respinto la domanda di riconoscimento dell’indennizzo ravvisando nel comportamento tenuto dal ricorrente profili di colpa ostativi, costituit dalla circostanza che lo NOME era stato sorpreso dagli operanti sul tetto del centro da cui poi cadeva, in modo rocambolesco, riportando anche lievi lesioni.
L’argomento è stato posto dalla Corte della riparazione x in correlazione con la circostanza che proprio la sentenza assolutoria precisava che gli autori della devastazione avevano proceduto “tetto-tetto” per spostarsi all’interno del centro, sottraendosi al controllo degli operanti per realizzare il loro proposito criminoso. La Corte di appello, inoltre, ha ritenuto inverosimile la versione dei fatti offerta dallo COGNOME secondo cui sarebbe salito sul tetto al solo fine di sottrarsi all’incendio appiccat 7 aggiungendo che gli operanti avevano ordinato agli ospiti del RAGIONE_SOCIALE. axtevàfiTY – ordato.– -3§~di rimanere nelle unità abitative, nonostante il divampare delle fiamme e il propagarsi del fumo.
E’ stato, in proposito, evidenziato che nel corso dell’istruttoria era emerso che il ricorrente non si trovava collocato presso le unità abitative interessate dalla rivolta bensì nel comparto 4. Da cies/ la Corte di appello, nell’autonomia che è propria del giudizio di riparazione, ha inferito/ con percorso logico adeguato, che, a prescindere dalla esatta qualificazione giuridica della condotta tenuta la stessa risultasse idonea ad escludere la spettanza dell’indennizzo poiché “delle due l’una: o l’istante ha partecipato attivamente alle proteste violente contestate e quindi nulla quaestio circa l’indennizzo, oppure, pur senza partecipàrvi, si è unito imprudentemente ai rivoltosi ex post salendo sui tetti di edifici, con ciò ponendo in essere un comportamento gravemente imprudente tanto da spingere la teste COGNOME a considerarlo unito ai soggetti violenti.” Non ha poi mancato di rilevare il giudice della riparazione che “la tesi difensiva ovvero che sia stato spinto a tanto per timore degli incendi in corso, non appare per nulla fondata atteso che egli apparteneva a struttura non coinvolta dagli incendi stessi, per quanto provocata da terzi”.
Il ricorso, inoltre, facendo discendere il diritto alla riparazione dal sentenza di assoluzione y non si confronta affatto con la motivazione posta dalla Corte della riparazione a fondamento del provvedimento reiettivo, in piena adesione ai principi giurisprudenziali sanciti in subiecta materia.
3. E’ inammissibile il secondo motivo di ricorso.
Come è noto ì l’art. 314 cod. proc. pen. disciplina due differenti ipotesi di riparazione a seguito di ingiusta detenzione. Ai sensi del primo comma, chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto ad un’equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave (c.d ingiustizia sostanziale). Ai sensi del secondo comma, lo stesso diritto spetta al prosciolto per qualsiasi causa o al condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto a custodia cautelare, quando con decisione irrevocabile risulti accertato che il provvedimento che ha disposto la misura è stato emesso o manutenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 cod. proc. pen. (c.d. ingiustizia formale). Nel primo caso, viene in rilievo una sentenza di assoluzione quale esito di un processo, a seguito di istruttoria o comunque diversa valutazione del compendio probatorio da parte del giudice del merito rispetto a quello della cautela. In tale ipotesi giudice della riparazione per l’ingiusta detenzione, per stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabil con valutazione ex ante – e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014, Maltese Rv. 259082). Pertanto, in sede di verifica della sussistenza di un comportamento ostativo al riconoscimento del diritto alla riparazione, non viene in rilievo la valutazione del compendio probatorio ai fini della responsabilità penale, ma solo la verifica dell’esistenza di un comportamento del ricorrente che abbia contribuito a configurare un grave quadro indiziario nei suoi confronti. Si tratta di una valutazione che ricalca quella eseguita al momento dell’emissione del provvedimento restrittivo ed è volta a verificare: in primo luogo, se dal quadro indiziario a disposizione del giudice della cautela potesse desumersi l’apparenza della fondatezza delle accuse, pur successivamente smentite dall’esito del giudizio; in secondo luogo, se a questa apparenza abbia contribuito il comportamento extraprocessuale e processuale tenuto dal ricorrente (Sez. U, n. 32383 del Corte di Cassazione – copia non ufficiale
27/05/2010, COGNOME, Rv.247663). Il giudice deve esaminare tutti gli elementi probatori utilizzabili nella fase delle indagini e apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, non è censurabile in sede di legittimità (Sez. 4, n. 27458 del · fr 5/2/2019, Rv. 276458). NelteLecondszii:Oz7 viene in rilievo, sia in caso di proscioglimento, sia in caso di condanna, l’accertamento con decisione irrevocabile della illegittimità ab origine della misura cautelare detentiva applicata per difetto delle condizioni di applicabilità di cui ai richiama articoli. L’ ingiustizia formale, secondo un più risalente indirizzo dell Corte di legittimità, doveva risultare da una decisione irrevocabile sul provvedimento cautelare in fase (o, comunque, come nel giudizio direttissimo, con valenza anche cautelare) (Sez. 4, n. 36 del 12/1/1999, Rv. 213231; Sez. 4, n. 26368 del 3/4/2007, Rv. 236989). Tale risalente orientamento è stato superato da altre più recenti sentenze che hanno affermato sussistere il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione anche nell’ipotesi di misura cautelare applicata in difetto di una condizione di procedibilità, la cui necessità sia stata accertata soltanto all’esito de giudizio di merito in ragione della diversa qualificazione attribuita ai fat rispetto a quella ritenuta nel corso del giudizio cautelare (Sez 4. n. 39535 del 29/5/2014, Rv. 261408; Sez 4 n. 43458 del 15/10/2013, Rv. 257194; Sez.4 n. 23896 del 9/4/2008, Rv. 240333), ovvero nei casi di diversa qualificazione del fatto contestato nell’imputazione come reato punibile con pene edittali inferiori a quelle indicate nell’art. 280, comma primo, cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 16175 del 22/04/2021, Rv. 281038; Sez. 4; Sez 4 n. 26261 del 23/11/2016, Rv. 270099; Sez. 4, n. 8021 del 28/01/2014) Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In particolare,. si è affermato che la nozione di “decisione irrevocabile” di cui all’art. 314, comma 2, cod. proc. pen., comprende anche quella emessa all’esito del giudizio di merito, sempre che da essa si evinca la mancanza, sin dall’origine, delle condizioni di applicabilità della misura. Sempre in tema di ingiustizia formale, le Sezioni Unite hanno chiarito che la circostanza di avere dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare per dolo o colpa grave opera, quale condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione, ma tale operatività non può concretamente esplicarsi, in forza del meccanismo causale che governa l’indicata condizione ostativa, nei casi in cui l’accertamento dell’insussistenza “ah origine” delle condizioni di
applicabilità della misura in oggetto avvenga sulla base dei medesimi elementi trasmessi al giudice che ha reso il provvedimento cautelare, in ragione unicamente di una loro diversa valutazione (Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247663; Sez. 4, n. 16175 del 22/04/2021, Rv. 281038; Sez. 4, n. 26261 del 23/11/2016, Rv. 270099). Si é sostenuto che in tema di riparazione per ingiusta detenzione, ai fini della configurabilità dell’ingiustizia formale ex art. 314, comma 2, cod. proc. pen., è necessario che l’illegittimità del provvedimento che ha disposto la misura cautelare, in quanto adottato o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 cod. proc. pen., risulti accertata con decisione irrevocabile che non può provenire dal giudice della riparazione, il quale non è investito della questione, ma solo dal giudice cautelare, sollecitato tramite impugnazione, o dallo stesso giudice del merito (Sez. 4, n. 5455 del 23/01/2019, Rv. 275022). Ne consegue che, in caso di ingiustizia cd. formale, il giudice della riparazione non può limitarsi a rilevare l’esistenza di condotte del soggetto istante connotate da dolo o colpa grave, ma deve verificare se l’annullamento della misura per assenza di gravi indizi di colpevolezza o delle condizioni di applicabilità della misura sia avvenuto sulla base degli stessi elementi che aveva a disposizione il giudice che ha emesso il provvedimento cautelare, ovvero sulla base di elementi, almeno in parte, nuovi e diversi; solo in questo secondo caso potrà sussistere l’efficacia sinergica della condotta colposa o dolosa del richiedente, mentre nel primo caso tale condotta non potrà essere considerata condizione ostativa e la detenzione dovrà essere riparata.
Invero, COGNOME con COGNOME l’istanza COGNOME introduttiva COGNOME si COGNOME era COGNOME rappresentato COGNOME che “l’attenzione del giudice deve necessariamente concentrarsi sull’esistenza o meno della colpa grave del , richiedente”. Rilevando che dalla l 7 COGNOME tt4 documentazione allegata e in specieraél – ptdcedimento penale celebratosi dinanzi al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, si evince che “la condotta dello NOME era scevra da colpa” e che egli, sin dalle prime battute si era attivato per chiarire la sua posizione, per dimostrare la propria estraneità ai fatti.
Si ricava, all’evidenza, la mancanza di alcun riferimento all’assenza ab origine dei gravi indizi di reità e alla medesinnezza degli elementi valutati dal giudice della cautela prima e dal giudice del merito poi, che configurano gli indici della ingiustizia della detenzione di cui all’art. 31 co. 2 cod. proc.
Da quanto detto risulta evidente che la critica posta all’ordinanza impugnata, mediante una prospettazione di ingiustizia formale / appare del tutto nuova e come tale inammissibile.
A tale proposito va ricordato l’insegnamento di questa Corte di legittimità secondo cui non possono essere dedotte, con il ricorso per cassazione, questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciarsi, in quanto non devolute alla sua cognizione (Sez. 3 n. 16610 del 24/01/2017, Rv. 269632).
In ogni caso la critica alla ordinanza impugnata avrebbe dovuto rappresentare e dare dimostrazione che alla Corte della riparazione LO:. stata prospettata la identità degli elementi che erano stati posti alla base dell’ordinanza cautelare rispetto a quelli che avevano condotto alla sentenza di assoluzione perché solo tale identità renderebbe irrilevante la colpa grave ostativa (Sez. U. n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME‘Annbrosio, Rv. 247663 – 01).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Deciso il 24 settembre 2025
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