Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 6310 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 6310 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a TRIGGIANO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 22/06/2022 della CORTE APPELLO di BARI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG che ha concluso per il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 22 giugno 2023 la Corte d’Appello di Bari rigettava l’istanza di riparazione presentata da NOME per la dedotta ingiusta detenzione sofferta essendo stato sottoposto agli arresti domiciliari in quanto gravemente indiziato del reato di lesioni e tentata estorsione commesso in concorso con COGNOME NOME ai danni di COGNOME NOME, titolare di un autolavaggio. Il ricorrente era stato poi assolto dall’imputazione a suo carico con sentenza del GUP del Tribunale di Bari, divenuta irrevocabile.
La Corte territoriale riteneva che il richiedente avesse, con il proprio comportamento e atteggiamento gravemente colposo, concorso a dare causa alla custodia cautelare e ravvisava, pertanto, grave colpa ostativa al riconoscimento dell’indennizzo di cui all’art.314 cod.proc.pen. In particolare rilevava che, sebbene il NOME fosse stato assolto perché il GUP aveva configurato la partecipazione del ricorrente all’azione criminosa posta in essere dal COGNOME NOME come mera presenza passiva e non come concorso, tuttavia dagli elementi probatori raccolti ed esaminati in sede di emissione della misura e nel successivo giudizio abbreviato emergevano condotte gravemente colpose perfettamente idonee ad ingenerare l’apparenza del coinvolgimento nell’illecito. In particolare, dall’esame dei filmat RAGIONE_SOCIALE videocamere di sorveglianza dell’autolavaggio gestito dalla persona offesa, COGNOME NOME, GLYPH risultava che il ricorrente aveva personalmente assistito all’aggressione minacciosa del coimputato COGNOME ai danni del predetto COGNOME e della moglie, intervenendo soltanto al termine della prolungata azione svoltasi alla sua presenza per impedire che l’aggressione fisica ai danni RAGIONE_SOCIALE vittime degenerasse; inoltre, dalle dichiarazioni del COGNOME ( la cui attendibilità non era mai stata messa in discussione nel giudizio di merito) era altresì emersa la piena contezza dell’odierno ricorrente riguardo agli intenti criminosi del coimputato, sì che poteva configurarsi, se non il concorso nel reato, comunque un atteggiamento connivente pienamente idoneo a rafforzare la volontà criminosa dell’agente. Detto atteggiamento, secondo il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, certamente integrava la condotta gravemente colposa idonea ad escludere il diritto alla riparazione. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Avverso l’anzidetta ordinanza ha proposto ricorso il difensore del COGNOME per violazione di legge e vizio di motivazione. L’ordinanza impugnata era manifestamente illogica poiché aveva trascurato di attribuire ogni rilevanza al fatto che il COGNOME fosse intervenuto a difesa del COGNOME, ponendo in essere una condotta che non avrebbe mai potuto rafforzare il proposito criminoso dell’agente, ma semmai indebolirlo; inoltre era del tutto apodittica la conclusione della Corte riguardo alla attribuzione della consapevolezza, in capo al NOME, dell’intento
estorsivo del COGNOME. Al riguardo, le dichiarazioni della persona offesa, che aveva riferito all’autorità giudiziaria le testuali parole proferite dal COGNOME, secondo cui coimputato COGNOME avrebbe avuto ” un tik nella testa”, erano state illogicamente interpretate nel senso che il “tik nella testa” fosse l’intento estorsivo, senza alcun supporto argomentativo e probatorio.
Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Si è costituito il RAGIONE_SOCIALE con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato che ha insistito per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
Secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte di legittimità, la nozione di colpa grave di cui all’art.314, comma 1, cod.proc.pen. ostativa del diritto alla riparazione dell’ingiusta detenzione, va individuata in quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile ragione di intervento dell’autorità giudiziaria, che si sostanzi nell’adozione o nel mantenimento di un provvedimento restrittivo della libertà personale. A tale riguardo, secondo il ragionamento sviluppato dal giudice di legittimità, il giudice della riparazione deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine di stabilire, con valutazione ex ante (e secondo un iter logico motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito), non se tale condotta integri estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di “causa ed effetto” (Sez. 4, n. 3359 del 22 settembre 2016, COGNOME Fornara, Rv. 268952; Sez. 4, n. 9212 del 13 novembre 2013, COGNOME, Rv. 259082; Sez. Un., n. 34559 del 26 giugno 2002, COGNOME, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
Tanto premesso si rileva che i motivi di ricorso, che denunciano la manifesta illogicità della motivazione, non solo fanno leva esclusivamente sul percorso motivazionale della sentenza assolutoria, secondo parametri ben diversi da quelli che – come sopra ricordato – fondano il giudizio di riparazione, ma propongono una inammissibile rilettura di elementi di fatto valutati, invece, in modo ineccepibile dai
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giudici di merito. In ossequio alla regola di giudizio illustrata, i dati indizianti hanno portato all’adozione ed al mantenimento della misura non sono stati ritenuti sufficienti per una pronuncia di condanna, ma la Corte territoriale li ha ben valorizzati ai fini del diniego del richiesto indennizzo, secondo i principi sopra illustrati. In particolare, la Corte, con argomentazioni esaurienti, precise e lungamente diffuse, ha ricostruito, sulla base del contenuto RAGIONE_SOCIALE video riprese, tutti i passaggi dello svolgimento dell’azione criminosa, rilevando: 1) che il COGNOME aveva certamente assistito, pur non essendo stato ripreso, all’alterco tra la moglie del COGNOME e il COGNOME, culminato nella aggressione fisica ai danni della stessa; detta considerazione è logicamente sorretta dal fatto che la scena si era svolta vicino alla vettura ove si trovava il COGNOME; 2) che il COGNOME, appoggiato al cofano della autovettura, aveva visto perfettamente che il COGNOME aveva afferrato il COGNOME per un braccio strattonandolo, inveendo contro la persona offesa con gestualità minacciosa e colpendolo con uno schiaffo; 3) solo in questa ultima fase il COGNOME era intervenuto per interrompere l’azione, facendo sedere il COGNOME in macchina e allontandosi; 4) la piena consapevolezza degli intenti del COGNOME era comprovata dalle dichiarazioni del COGNOME, ritenuto attendibile nel giudizio di merito. In particolare, il COGNOME aveva riferito che il COGNOME gli aveva rivolto l seguenti parole : ” non è colpa mia se a quello ( intendendo il COGNOME, ndr) gli è venuto il tik nella testa.. poi tu lo sai qui a Triggiano quando quello dà un ordine io lo devo eseguire. Lo conosciamo tutti qui a Triggiano è pericoloso. Io devo venirti a trovare per forza qui dentro altrimenti ci costringi a prenderti fuori e a farti la fe o da solo o in compagnia di tua moglie o dei tuoi figli”; 5) dette frasi gli erano state indirizzate nel contesto di una precisa circostanza, ossia l’aver accompagnato presso l’autolavaggio un altro soggetto, tale ” NOME“, il quale aveva intimato alla persona offesa di testimoniare, in sede processuale, che l’aggressione del COGNOME, avvenuta in precedenza, non aveva finalità estorsive; 6) non essendo mai stata messa in dubbio l’attendibilità del COGNOME, le parole pronunciate dal COGNOME, in un preciso contesto di intimidazione consistente nella richiesta di negare, in giudizio, di aver subito una estorsione, erano chiara riprova della perfetta contezza, da parte dell’odierno ricorrente, degli intenti estorsivi de COGNOME. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3. Il ragionamento seguito della Corte territoriale non solo è dotato di perfetta logicità e coerenza, ma è basato su risultanze processuali che non sono state smentite neppure nei motivi di ricorso, con i quali il NOME insiste nel censurare l’ordinanza impugnata rilevando l’erroneità della interpretazione RAGIONE_SOCIALE parole ” tik nella testa” come intento estorsivo. E’ invece evidente che la contezza del contesto criminoso scaturisce non già e non solo dalla frase” tik nella testa”, ma da tutto il complesso RAGIONE_SOCIALE frasi indirizzate alle persona offesa (tu lo sai qui a Triggiano quando quello dà un ordine io lo devo eseguire. Lo conosciamo tutti qui a Triggiano è pericoloso. Io devo venirti a trovare per forza qui dentro altrimenti ci costringi prenderti fuori e a farti la festa o da solo o in compagnia di tua moglie o dei tuoi figli), rivelatrici senza alcuna aporia logica di un chiaro intento di intimidazione perpetrato ai danni del COGNOME, intento che l’odierno ricorrente si era perfettamente rappresentato ed aveva pienamente riportato alla persona offesa (“ci costringi a portarti fuori e a “farti la festa”).
Dunque, la Corte territoriale ha valorizzato l’atteggiamento connivente del COGNOME che, pur non tramutandosi in condotta costituente reato, è comunque idoneo a costituire colpa grave ostativa, atteso che certamente il comportamento del COGNOME, perfettamente consapevole degli intenti criminosi del COGNOME NOME, ha oggettivamente contribuito a rafforzare ed agevolare i traffici criminosi di quest’ultimo. Va infatti ribadito che la colpa grave ostativa all’indennizzo può ravvisarsi anche in relazione ad un atteggiamento di connivenza passiva quando, alternativamente, detto atteggiamento: 1) sia indice del venir meno di elementari doveri di solidarietà sociale per impedire il verificarsi di gravi danni alle persone o alle cose; 2) si concretizzi non già in un mero comportamento passivo dell’agente riguardo alla consumazione del reato ma nel tollerare che tale reato sia consumato, sempreché l’agente sia in grado di impedire la consumazione o la prosecuzione dell’attività criminosa in ragione della sua posizione di garanzia; 3) risulti aver oggettivamente rafforzato la volontà criminosa dell’agente, benché il connivente non intendesse perseguire tale effetto e vi sia la prova positiva che egli fosse a conoscenza dell’attività criminosa dell’agente (Sez. 4, n. 15745 del 19/02/2015, COGNOME, Rv. 263139; Sez. 3 – n. 22060 del 23/01/2019, COGNOME, Rv. 275970 – 02; Sez. 4 – n. 4113 del 13/01/2021, COGNOME, Rv. 280391 – 01). Il provvedimento impugnato ha fatto corretta applicazione dei principi sopra indicati, traendo da dati inequivocabili non solo la perfetta consapevolezza del COGNOME degli intenti criminosi del coimputato, ma anche l’obiettivo rafforzamento dei propositi dell’agente che è stato più volte coadiuvato dal COGNOME stesso, il quale si era personalmente recato presso l’esercizio commerciale del COGNOME, una prima volta proprio insieme al COGNOME, e poi insieme al citato ” NOME“, che aveva indirizzato alla persona offesa il minaccioso invito a ritrattare le accuse. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile. Segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e di una ulteriore somma in favore della cassa RAGIONE_SOCIALE ammende, non emergendo ragioni di esonero.
Non si ritiene di dover procedere alla liquidazione RAGIONE_SOCIALE spese sostenute dal RAGIONE_SOCIALE resistente. La memoria depositata, infatti, si limita a riportare princip
giurisprudenziali in materia di riparazione per ingiusta detenzione senza confrontarsi con i motivi di ricorso, sicché non può dirsi che l’Avvocatura dello Stato abbia effettivamente esplicato, nei modi e nei limiti consentiti, un’attivit diretta a contrastare la pretesa del ricorrente (sull’argomento, con riferimento alle spese sostenute nel giudizio di legittimità dalla parte civile, da ultimo, Sez. U, n. 877 del 14/07/2022 dep. 2023, COGNOME, Rv. 283886; Sez. U., n. 5466, del 28/01/2004, COGNOME, Rv. 226716; Sez. 4, n. 36535 del 15/09/2021, A., Rv. 281923; Sez. 3, n. 27987 del 24/03/2021, G., Rv. 281713).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa RAGIONE_SOCIALE ammende. Nulla per le spese al RAGIONE_SOCIALE resistente.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 21 novembre 2023
Il Consiglierestensore
Il Presidente