Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 13356 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 13356 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 26/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a SANTA NOME CAPUA VETERE il 16/11/1990
avverso l’ordinanza del 12/09/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, in persona della sostituta NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Napoli, con ordinanza del 12 settembre 2024, ha rigettato la richiesta di riparazione proposta nell’interesse di NOME COGNOME in relazione alla detenzione da costui patita dal 12 luglio 2019 al 23 novembre 2019, in relazione al reato di cui all’art. 612 bis, co. 1 e 2, cod. pen. ai danni della ex convivente.
Il COGNOME era stato tratto in arresto in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare, confermata dal Tribunale in sede di riesame, che veniva revocata a seguito della sentenza di assoluzione pronunciata dal Tribunale di Napoli Nord, con la formula perché il fatto non sussiste.
La Corte della riparazione ha ritenuto la sussistenza in capo all’istante, di condotte gravemente colpose tanto sul piano extraprocessuale quanto processuale. Quanto al primo profilo, al netto della ritrattazione da parte della persona offesa,. è stato posto l’accento sui file audio che il COGNOME ha inviato alla persona offesa aventi contenuto minaccioso.
Altro comportamento ritenuto gravemente colposo era quello riferito dai genitori del Montone relativamente a una discussione animata tra il figlio e la persona offesa in occasione della quale la donna veniva da costui strattonata violentemente, rompendole il cellulare.
Quanto al profilo processuale la Corte ritenuto ostativo l’avere, il COGNOME, proceduto al risarcimento del danno cagionato alla persona offesa, prima della sua ritrattazione e dell’udienza di discussione. Secondo il giudice della riparazione, detto risarcimento, che presuppone l’esistenza di un atto illecito, sarebbe da considerarsi quale ammissione dei fatti ad ulteriore conferma degli elementi addotti dalla Pubblica accusa.
Avverso l’ordinanza di rigetto, il richiedente, a mezzo del difensore, ha proposto ricorso, formulando un unico motivo con cui deduce inosservanza delle regole di valutazione relative al dolo e alla colpa quali condizioni ostative al diritto alla riparazione e vizi di motivazione.
La Corte di appello, secondo la difesa, ha ravvisato erroneamente profili di colpa processuale senza considerare che il COGNOME si è da subito attivato con indagini difensive rappresentando elementi da cui il giudicante non poteva dissociarsi per il raggiungimento della verità dei fatti contestati. COGNOME ha acconsentito ad acquisire atti esistenti nel fascicolo del pubblico ministero, ivi compresa la denuncia querela per dimostrare la sua estraneità alle accuse mosse. La Corte territoriale ha valorizzato elementi che attengono alle sole dichiarazioni
della denunciante, peraltro, condannata in via definitiva per calunnia. Non si comprende come tali condotte possano integrare la colpa grave. Errata è anche la individuazione di profili di colpa extraprocessuale consistiti nell’avere inviato dei file audio dal contenuto “sconclusionato” e vagamente minaccioso che non consentono di configurare a carico del COGNOME la colpa grave ostativa né la loro sinergia rispetto all’adozione e al mantenimento della misura.
Discorso analogo vale anche per ciò che attiene alle dichiarazioni dei genitori del COGNOME che hanno riferito di un unico episodio in cui la persona offesa sarebbe stata strattonata e le sarebbe stato rotto il telefono. La Corte della riparazione contesta al COGNOME di non avere “proferito parola in quella circostanza”. Ad avviso della difesa il silenzio serbato nell’occasione dal COGNOME, all’epoca neppure indagato non può essere configurato come colpa grave.
Quanto all’avvenuto risarcimento del danno, lo stesso è stato interpretato erroneamente, come idoneo a determinare il convincimento dell’esistenza di un atto illecito e, pertanto, meritevole di rimprovero in termini di negligenza. L’avere risarcito il danno prima dell’apertura del dibattimento, secondo la difesa, costituiva il tentativo disperato di proporre una nuova e ulteriore istanza di sostituzione della misura cautelare. La scelta di proporre una offerta reale non può e non deve essere ritenuta colpa grave in termini di mantenimento della misura.
Il P.G., in persona della sostituta NOME COGNOME ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Occorre premettere che per giurisprudenza costante di questa Corte l’operazione logica propria del giudice del processo penale, volta all’accertamento della sussistenza di un reato e della sua commissione da parte dell’imputato va tenuta distinta da quella propria del giudice della riparazione. Quest’ultimo, pur dovendo operare sullo stesso materiale del giudice di merito, deve seguire un iter logico motivazionale del tutto autonomo perché è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno reato quanto, piuttosto, se queste si siano poste come fattore condizionante alla produzione dell’evento “detenzione”.
In relazione a tale aspetto della decisione il giudice ha piena libertà di valutare il materiale acquisito nel processo, non per rivalutarlo quanto piuttosto per controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione di natura civilistica, sia in senso positivo che negativo, compresa l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione (in tal senso Sez. 4, n. 3359 del 22/09/2016 – dep. 23/01/2017, COGNOME, Rv. 268952).
Ha chiarito questa Corte che il giudice della riparazione «non può ignorare quanto accertato nel giudizio sull’imputazione e può affermare e negare solo quanto è stato affermato e negato in questo; mentre un più ampio spazio di manovra gli è riconosciuto, in relazione a quelle circostanze che non sono state escluse dal primo giudice, pur se non positivamente affermate» (Sez. 4 n. 372 del 21/10/2014 – dep. 29/01/2015, Garcia de Medina, Rv. 263197).
2. La Corte della riparazione, con motivazione non manifestamente illogica nè contraddittoria, nel rigettare la richiesta di riparazione, in ossequio ai principi di diritto statuiti dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte i , in subiecta materia, soffermandosi sui canoni che orientano il giudizio riparatorio che diverge da quello diretto ad accertare le responsabilità penali nella misura in cui è volto a verificare se le condotte del ricorrente, tanto di natura processuale che extraprocessuale, valutate ex ante, abbiano quantomeno concorso a determinare l’adozione del provvedimento restrittivo, ha rinvenuto nei file audio inviati alla persona offesa un profilo di colpa extraprocessuale in termini gravemente ostativi.
Il giudice della riparazione, dopo avere passato in rassegna la pronuncia assolutoria cui il giudice di merito è pervenuto, una volta acquisita la ritrattazione della denunciante, ha posto l’accento sul materiale probatorio che era stato valorizzato dal giudice della cautela.
Si trattava dei file audio che la persona offesa aveva prodotto in occasione della presentazione della denuncia, a lei inviati dall’odierno ricorrente e il cui contenuto, la Corte della riparazione, riportava a riprova dell’inequivoco contenuto minaccioso (“scavati la fossa…. Forse non hai capito, io non ho niente da perdere … forse non hai capito ora è arrivata la tua fine…”).
Il giudice della riparazione evidenziava, altresì, che il contenuto dei messaggi audio era stato valorizzato quale riscontro alla denuncia della persona offesa tanto dal giudice della cautela quanto dal Tribunale del riesame e che il Tribunale, dal canto proprio, nella sentenza di assoluzione aveva dato atto del contenuto di detti file audio il cui tenore veniva minimizzato dalla Gaeta in occasione della ritrattazione di quanto aveva denunciato, relegando il contenuto degli stessi a termini usati “per scherzare”.
E’ stato congruamente e logicamente evidenziato come, a fronte di una imputazione di atti persecutori, l’avere il COGNOME inviato messaggi del genere sopra indicato, in un contesto di conflittualità tra i due ex conviventi ha costituito, da parte del COGNOME, comportamento gravemente imprudente, negligente e in ogni caso in violazione di norme di legge (art. 612 cod. pen.), tale da ritenere legittimamente integrata, sotto il profilo della gravità indiziaria, l’ipotesi
accusatoria. La condotta in esame, valutata dal giudice del procedimento secondo il parametro dell’id quod plerumque accidit, era tale da creare, secondo le regole di esperienza comunemente accettate, una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo (Sez. Unite n. 43 dei 13/12/1995 dep. il 1996, COGNOME ed altri, Rv. 203637)
Del pari la Corte della riparazione ha ritenuto gravemente colposa la condotta tenuta dal COGNOME e riferita dai suoi genitori. Costoro avevano raccontato che il figlio aveva atteso la compagna sul luogo di lavoro e poi “l’aveva picchiata e le aveva rotto il cellulare” (pag. 5 del provvedimento impugnato). Veniva posto l’accento sulla circostanza che, nell’occasione, il padre dell’odierno ricorrente si offriva di ricomprare alla persona offesa un telefono cellulare nuovo e che “il figlio assisteva alla scena senza parlare” mentre la persona offesa si allontanava minacciando di denunciare l’accaduto.
Si tratta – all’evidenza di motivazione congrua, non manifestamente illogica e coerente con le emergenze acquisite che si pone nel solco dei principi sanciti da questa Corte di legittimità in subiecta materia e che non merita le censure mosse dal ricorrente.
Alla luce di tali elementi, la Corte della riparazione ha, dunque, ritenuto che la sentenza di assoluzione non contenesse statuizioni attestanti la insussistenza degli elementi sui quali si era fondato il titolo cautelare, essendo l’assoluzione conseguita alla ritrattazione avvenuta in dibattimento proprio al mancato ingresso di tali elementi probatori in giudizio, elementi che, vicevrsa, il GIP aveva considerato in sede di emissione della misura.
L’argomento speso dai giudici della riparazione, con riferimento all’avvenuto risarcimento in favore della persona offesa prima della sua “ritrattazione” e della discussione finale, pur non incrinando il complessivo ragionamento svolto, non coglie nel segno nella misura in cui lo si ritiene una conferma degli elementi addotti dalla Pubblica accusa.
A tale proposito va ricordato che non è possibile negare la riparazione sulla scorta di condotte tenute dal ricorrente che non siano state poste a base della misura cautelare o del suo mantenimento senza spiegare la rilevanza sinergica di questa. Nel caso in esame, in un errore prospettico, l’argomento speso dal giudice della riparazione risulta carente in merito alla incidenza causale della condotta tenuta in termini di creazione dell’apparenza della esistenza dei presupposti non tanto per l’esistenza dei presupposti della misura custodiale, quanto per il suo mantenimento, quale comportamento ostativo alla insorgenza del diritto alla riparazione (sez. 4, n. 8615 del 8/2/2022, Z., Rv. 283017; n. 8616
del 8/2/2022, n.m.; n. 19621 del 12/4/2022, L., Rv. 283241; n. 37200 del 14/6/2022, G., Rv. 283557).
In altri termini, il riferimento operato dalla Corte territoriale al comportamento processuale tenuto dal Montone, “ancora prima dell’udienza di discussione” è stato considerato una ammissione dei fatti, postuma, senza spiegare tuttavia l’incidenza che lo stesso avrebbe avuto sul mantenimento della misura.
Il ragionamento seguito dalla Corte, tuttavia, è posto a completamento di una valutazione che, già di per sé, è idonea a fondare la decisione, cosicché anche espungendo detto riferimento, il complessivo ragionamento esplicativo è idoneo a sorreggere la motivazione, che resiste alle critiche difensive.
Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Deciso il 26 febbraio 2025