Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 25443 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 25443 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a GIOIA COGNOME il 05/06/1984
avverso l’ordinanza del 13/02/2025 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG il quale ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità del ricorso.
La difesa del ricorrente, in persona dell’avv.to NOME COGNOME ha depositato memoria difensiva di replica con la quale ha insistito nell’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di Appello di Reggio Calabria, con ordinanza assunta in data 13 febbraio 2025, ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione avanzata dall’odierno ricorrente COGNOME Bruno tramite il proprio procuratore speciale, in relazione alla detenzione in carcere da questa sofferta dalla data del 14 ottobre 2014, allorquando venne fermato in quanto gravemente indiziato dei reati di 416 bis cod. pen. e art.12 quinquies L.356/92 aggravato dalle finalità mafiose, fino a quando veniva dichiarata la cessazione dell’efficacia della misura in essere a seguito di annullamento senza rinvio della sentenza della Corte di appello (e prosciolto con la formula per non avere commesso il fatto) che aveva confermato la sentenza di condanna in primo grado in relazione al delitto associativo.
2. Il giudice della riparazione assume che ricorre la condizione impeditiva della colpa grave, che aveva costituito causa della detenzione, consistita in condotte extraprocessuali gravemente colpose, non escluse neppure dal giudice dell’assoluzione, che emergevano in particolare dalle relazioni e le frequentazioni con soggetti riconosciuti sodali del clan camorristico COGNOME (in particolare con COGNOME con il quale era socio in affari), riferendo al proprio genitore di avere chiesto aiuto, per la riscossione di un credito, allo stesso COGNOME del quale egli palesava di conoscere la caratura criminale e la forza intimidatrice, prospettando altresì di volere entrare in possesso di un’arma, tantochè lo stesso giudice di legittimità, pur escludendo la strutturata partecipazione del ricorrente al sodalizio, ne esaltava gli aspetti di contiguità al sodalizio di cui condivideva, verosimilmente, stile di vita e profili valoriali tanto da riconoscere autorità ed ammirazione nei confronti di alcuni componenti del sodalizio, ponendosi rispetto ad essi in una posizione di soggezione se non di sudditanza. Assume il giudice distrettuale che tale contiguità e apparente condivisione delle logiche ndranghetistiche, in uno con le frequentazioni con alcuni dei partecipi all’associazione e in particolare con il COGNOME, avevano fornito l’apparenza di una esplicita e concreta adesione del CELI all’organizzazione criminale, così da contribuire a ingenerare
l’erroneo convincimento di una sua partecipazione al sodalizio e determinare l’adozione e il mantenimento della misura cautelare.
3. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia e procuratore speciale, COGNOME COGNOME il quale ha articolato un unico motivo di ricorso con il quale assume violazione di legge, in relazione agli artt.314 cod. proc. pen. e 416 bis e 512 bis cod. pen. per motivazione apparente con riferimento al riconoscimento della colpa grave ostativa alla riparazione; nonché omessa motivazione rispetto al devoluto, motivazione apparente e contraddittoria rispetto agli atti del procedimento.
Assume la difesa del ricorrente che i profili di colpa, riconosciuti dal giudice della riparazione, non solo erano stati contrastati dalla difesa del ricorrente nell’ambito del giudizio assolutorio e nel procedimento di riparazione per la ingiusta detenzione, ma erano stati estrapolati nella motivazione dell’ordinanza impugnata quali elementi distonici, che costituivano esclusivamente l’espressione del contesto amicale e solidaristico dell’appartenenza ad una comunità territoriale elementi che, se ritenuti irrilevanti nel giudizio di assoluzione, risultavano privi di rilievo sinergico ai fini dell’adozione della misura, trattandosi di elementi spuri, del tutto decontestualizzati, che nessun rilievo avevano avuto nell’ingenerare il falso convincimento di gravità indiziaria con riferimento al delitto asociativo, laddove l’errore nell’adozione della misura afferiva ad una errata valutazione del patrimonio indiziario )e pertanto si risolveva in un errore interpretativo sugli indizi, e non già un errore determinato da specifici profili di colpa in capo al ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione il sindacato del giudice di legittimità sull’ordinanza che definisce il procedimento è limitato alla correttezza del procedimento logico giuridico con cui il giudice è pervenuto ad accertare o negare i presupposti per l’ottenimento del beneficio. Resta invece nelle esclusive attribuzioni del giudice di merito, che è tenuto a motivare adeguatamente e logicamente il suo convincimento, la valutazione
e
sull’esistenza e la gravità della colpa o sull’esistenza del dolo (v. da ultimo, Sezioni unite, 28 novembre 2013, n. 51779, Nicosia).
2.1. L’art. 314 comma 1 c.p.p. prevede al primo comma che “chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto a un’equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave”.
2.2. In tema di equa riparazione per ingiusta detenzione, dunque, rappresenta causa impeditiva all’affermazione del diritto alla riparazione l’avere l’interessato dato causa, per dolo o per colpa grave, all’instaurazione o al mantenimento della custodia cautelare (art. 314, comma 1, ultima parte, cod. proc. pen.); l’assenza di tale causa, costituendo condizione necessaria al sorgere del diritto all’equa riparazione, deve essere accertata d’ufficio dal giudice, indipendentemente dalla deduzione della parte (cfr. sul punto questa sez. 4, n. 34181 del 5.11.2002, COGNOME, Rv. 226004).
In linea generale, va ribadito che il giudice della riparazione per l’ingiusta detenzione, al fine di stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, onde accertare – con valutazione necessariamente “ex ante” e secondo un iter logicomotivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale .
3.1 Ai medesimi fini, inoltre, il giudice deve esaminare tutti gli elementi probatori utilizzabili nella fase delle indagini, purchè la loro utilizzabilità non sia stata espressamente esclusa in dibattimento (cfr. sez. 4 n. 19180 del 18/02/2016, COGNOME, Rv. 266808) alla luce del quadro indiziario su cui si è fondato il titolo cautelare, e sempre che gli elementi indiziari non siano stati dichiarati assolutamente inutilizzabili ovvero siano stati esclusi o neutralizzati nella loro valenza nel giudizio di assoluzione (sez.4, n.41396 del 15.9.2016, Piccolo, Rv.268238).
4. Ciò premesso il giudice territoriale si è del tutto uniformato a tali principi, con una motivazione resistente alle censure mosse dalla parte ricorrente. Coerentemente alle risultanze del giudizio assolutorio ha provveduto a valutare, ai fini di accertare la ricorrenza della condizione impeditiva di cui all’art.314 comma 1 ultima parte cod.proc.pen., tutti gli aspetti della condotta tenuta da COGNOME Bruno nel contesto investigativo che ha originato l’adozione del provvedimento restrittivo in sede di indagini preliminari, considerando la portata gravemente colposa dell’accertato mantenimento di relazioni e frequentazioni con taluni soggetti, tra cui COGNOME COGNOME i quali risultavano essere intranei al sodalizio criminoso e serbando un contegno, accertato sulla base di intercettazioni ambientali, che L-00 i appariva di palese contiguit9hi vertici del sodalizio, laddove veniva evidenziata la volontà di riCorrere ad un personaggio di spicco dell’organizzazione (COGNOME) per riscuotere un credito, ovvero veniva manifestato rispetto e ossequio all’autorità degli aderenti al sodalizio, tanto che il giudice (di legittimità) dell’assoluzione aveva rilevato atteggiamenti e contegni del prevenuto, improntati a soggezione se non a sudditanza che risultavano ispirati agli stessi principi e allo stesso stile di vita degli appartenenti all’associazione, così da rilevarne la vicinanza se non una sorta di condivisione.
4.1 Se è vero che i collegamenti con tali esponenti di spicco della realtà calabrese non sono stati riconosciuti idonei a integrare il reato di partecipazione nell’associazione criminosa, in quanto non è stato accertato lo strutturato inserimento del CELI all’interno del sodalizio, gli stessi risultano essere stati valorizzati quale ipotesi di colpa grave, sia in termini di contiguità alla organizzazione criminale, sia nella palesata capacità del CELI di procurarsi un’arma, nonché di avvalersi della forza intimidatrice del capo clan ai fini della riscossione di un credito.
4.2. Invero il comportamento ostativo può essere integrato anche dalla condotta di chi, nei reati contestati in concorso, abbia tenuto, pur consapevole dell’attività criminale altrui, comportamenti percepibili come indicativi di una sua contiguità (cfr. sez. 4 n. 45418 del 25 Novembre 2010, Carere, Rv. 249237; n. 37528 del 24 giugno 2008, Rv. 241218. Da ultimo n.4113 del 13/01/2021, COGNOME, Rv.280391, ove la Corte ha ritenuto immune da censure l’ordinanza che aveva ravvisato la colpa grave, ostativa alla riparazione per l’ingiusta detenzione subita per il reato di cui all’art.
73 t.u. stup., nella condotta dell’instante consistita nell’intrattenere rapporti economici con soggetto dedito allo spaccio di sostanze stupefacenq
4.3. A tale proposito non coglie nel segno il denunciato vizio dedotto dalla difesa della ricorrente secondo cui violerebbe la regola della ingiusta detenzione, e di effettività della tutela riparatoria, la circostanza che al ricorrente siano contestate, come addebiti colposi, le medesime condotte già valutate dal giudice dell’assoluzione per escludere la sua responsabilità. Invero è stato affermato dal S.C. che la valutazione del comportamento del richiedente la riparazione, integrante la colpa grave ostativa alla liquidazione della indennità per la ingiusta detenzione, va effettuata ex ante a prescindere dall’esito del giudizio di merito, atteso che, se il giudizio riparatorio si limitasse a tale accertamento, si stempererebbe in una valutazione, paragonabile a quella del giudice del riesame, sulla ricorrenza dei gravi indizi di colpevolezza, senza considerare che i fatti posti all’esame del giudice della cautela, potrebbero risultare incompleti, erronei, contraddittori, smentiti da emergenze di senso contrario o anche falsi. Invero la valutazione riservata al giudice della riparazione non ha per oggetto né la sentenza assolutoria, che ha definito il giudice di merito, né la misura cautelare che ha disposto la privazione della libertà personale dell’indagato, bensì la condotta tenuta dal cautelato alla luce delle emergenze acquisite nel corso delle indagini, ma sempre che tali emergenze non siano state escluse o neutralizzate nel giudizio assolutorio.
4.4. La condotta da cui scaturisce il rimprovero di colpa, e quindi il fatto preclusivo al riconoscimento dell’indennizzo, può infatti consistere nel fatto già esaminato dal giudice penale dell’assoluzione e da questi ritenuté penalmente irrilevante, stante il diverso accertamento demandato al giudice della riparazione (S.U., n.32383 del 27 Maggio 2010, COGNOME). Conseguentemente anche la stessa condotta che integra l’imputazione ascritta, ritenuta penalmente irrilevante dal giudice dell’assoluzione, può giustificare l’esclusione della riparazione in quanto connotata dai richiesti profili di inescusabile leggerezza e macroscopica imprudenza come nella specie (da ultimo sez.4, n.34438 del 2/07/2019, COGNOME Maria, Rv.276859; n.2145 del 13/01/2021, COGNOME, Rv.280246 per ipotesi di collegamenti, nel primo caso personali e nel secondo caso economici, con realtà criminose associative), soprattutto allorquando le
conclusioni del giudice dell
‘ assoluzione si fondino sull
‘ ermeneusi dell ‘ oltre ogni ragionevole dubbio, che lascia pertanto spazio ad un
diverso criterio valutativo da parte del giudice della riparazione.
5. Il ricorso deve pertanto essere rigettato e il ricorrente va condannateal pagamento delle spese processuali. Nulla sulle spese in
favore del Ministero resistente le cui argomentazioni non hanno offerto alcun utile contributo alla definizione del giudizio
del
(Sez. 4, n.13175
26/031202, G., Rv. 287952 – 02).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Nulla sulle spese al Ministero resistente
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 10 giugno 2025
Il consigliere estensore
COGNOME Il Presid tel