Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 25005 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 25005 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a LAMEZIA TERME il 20/07/1966
avverso l’ordinanza del 26/02/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG il quale ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata limitatamente ai profili di ingiustizia formale con rinvio sul punto.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di Appello di Catanzaro, con ordinanza assunta in data 26 febbraio 2024 e depositata il giorno 27 gennaio 2025, ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione avanzata dall’odierna ricorrente COGNOME NOMECOGNOME tramite il proprio procuratore speciale, in relazione alla detenzione in carcere da questa sofferta dalla data del 23 maggio 2017 al 18 luglio 2017 e agli arresti domiciliari da 19 luglio 2017 fino al 13 luglio 2020, allorquando la misura domiciliare era stata sostituita con misura non detentiva in relazione al delitto di partecipazione ad associazione di stampo mafioso, di danneggiamento e di cessione di armi e ordigni esplosivi e a seguito dell’ordinanza di sostituzione del 18 luglio 2017, con la quale era stata esclusa la gravità indiziaria per il delitto associativo e per quello di danneggiamento, con riferimento al delitto concernente le armi e gli esplosivi, reato per il quale veniva condannato dal Tribunale di Catanzaro in data 15 maggio 2019 (che lo assolveva dalle altre contestazioni), da cui veniva definitivamente assolto con sentenza della Corte di appello di Catanzaro in data 28 aprile 2021, divenuta irrevocabile il 12.10.2021.
2. Il giudice della riparazione assume che ricorre la condizione impeditiva della colpa grave, che aveva costituito causa della detenzione, consistita in condotte extraprocessuali gravemente colpose, non escluse neppure dal giudice dell’assoluzione, che emergevano in particolare dalla intercettazione in cui COGNOME, riconosciuto intraneus all’organizzazione criminosa con funzioni di reggenza del clan Torcasio, indicava ai sodali la figura di COGNOME NOME come soggetto in grado di procurare armi e ordigni esplosivi, fungendo da intermediario, nonché da alcune immagini che ritraevano il COGNOME in compagnia con lo stesso COGNOME NOME e con tale NOME NOMECOGNOME anch’esso riconosciuto responsabile del reato d partecipazione al gruppo camorristico COGNOME, nonché della condotta di danneggiamento di cui al capo 501 della rubrica, fatto per il quale il COGNOME era stato assolto.
2.1. Secondo il giudice della riparazione il complessivo atteggiarsi dei rapporti del COGNOME con alcuni sodali dell’organizzazione e in particolare con il COGNOME che rivestiva funzioni apicali del clan,
l’interfacciarsi con taluni dei sodali e il chiaro riferimento fatto dal COGNOME al COGNOME quale soggetto a lui vicino in grado di intermediare per l’approvvigionamento di esplosivi, costituivano espressione a prescindere dalla riconosciuta penale irrilevanza di tali comportamenti, di una apparente contiguità con le dinamiche associative, che non si esauriva nel mantenimento di relazioni amicali con i correi, ma atteneva alla condivisione dei propositi criminosi del sodalizio, così da giustificare l’intervento preventivo dell’autorità giudiziaria.
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia e procuratore speciale, COGNOME NOMECOGNOME il quale ha articolato un unico motivo di ricorso con il quale assume violazione di legge, in relazione all’art.125 comma 3 cod. proc. pen. per motivazione apparente con riferimento al riconoscimento della colpa grave ostativa alla riparazione; nonché omessa motivazione rispetto al devoluto, motivazione apparente e contraddittoria con riferimento agli atti del procedimento costituiti dalle sentenze di merito nel processo di cognizione e motivazione manifestamente illogica.
Assume la difesa del ricorrente che il provvedimento impugnato, a fronte della esclusione fin dalle indagini preliminari della gravità indiziaria a carico del COGNOME in relazione al delitto associativo, aveva valorizzato, in relazione al delitto concernente la detenzione e la cessione di armi ed esplosivi, elementi del tutto eccentrici rispetto al devolutum e non in grado di giustificare l’adozione di misura cautelare, la quale era fondata sul frammento di una intercettazione telefonica in cui il ricorrente non era interlocutore, la cui rilevanza indiziaria era stata esclusa dal giudice dell’assoluzione mentre, con riferimento agli asseriti rapporti di contiguità con taluni dei sodali, gli stessi da un lato risultavano indimostrati secondo il paradigma richiesto dalla giurisprudenza di legittimità per riconoscere la esclusione del diritto alla riparazione, trattandosi di collegamenti del tutto occasionali, non integranti “frequentazioni ambigue e malavitose”, ma semmai relazioni occasionali in quanto il COGNOME era titolare di esercizio commerciale e, in ogni caso, tali relazioni non avevano svolto alcuna rilevanza sinergica ai fini dell’adozione della misura cautelare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.L’articolazione del ricorso secondo cui, in relazione al delitto associativo, si sarebbe in presenza di ipotesi di ingiustizia formale, avendo il giudice della cautela, chiamato a provvedere ai sensi dell’art.27 cod.proc.pen., escluso la gravità indiziaria in relazione alla ipotesi, originariamente posta a fondamento della restrizione (fermo di persona gravemente indiziato di reato) di cui all’art.416 bis cod.pen., risulta manifestamente infondata in quanto, sotto il profilo formale, il titolo cautelare era comunque retto dalla contestazione di altri reati che (ai sensi degli artt.273, 274 e 280 cod. proc. pen.) consentivano l’adozione di misura detentiva (inosservanza alla disciplina sulla detenzione e il porto di armi e di esplosivi).
Si verte pertanto in ipotesi di ingiustizia sostanziale, in quanto il provvedimento applicativo della misura non era stato neutralizzato dal Tribunale del riesame in relazione a tutti i titoli cautelari posti a fondamento dell’originario editto restrittivo della libertà personale, tantochè all’esclusione di gravità indiziaria per le ipotesi di 416 bis cod.pen. faceva seguito anche la attenuazione della cautela in relazione alla residua ipotesi di detenzione, porto e ricettazione di ordigni esplosivi.
Quanto ai profili di ingiustizia sostanziale, nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione il sindacato del giudice di legittimità sull’ordinanza che definisce il procedimento è limitato alla correttezza del procedimento logico giuridico con cui il giudice è pervenuto ad accertare o negare i presupposti per l’ottenimento del beneficio. Resta invece nelle esclusive attribuzioni del giudice di merito, che è tenuto a motivare adeguatamente e logicamente il suo convincimento, la valutazione sull’esistenza e la gravità della colpa o sull’esistenza del dolo (v. da ultimo, Sezioni unite, 28 novembre 2013, n. 51779, Nicosia).
2.1. L’art. 314 comma 1 c.p.p. prevede al primo comma che “chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto a un’equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave”.
2.2. In tema di equa riparazione per ingiusta detenzione, dunque, rappresenta causa impeditiva all’affermazione del diritto alla
riparazione l’avere l’interessato dato causa, per dolo o per colpa grave, all’instaurazione o al mantenimento della custodia cautelare (art. 314, comma 1, ultima parte, cod. proc. pen.); l’assenza di tale causa, costituendo condizione necessaria al sorgere del diritto all’equa riparazione, deve essere accertata d’ufficio dal giudice, indipendentemente dalla deduzione della parte (cfr. sul punto questa sez. 4, n. 34181 del 5.11.2002, COGNOME, Rv. 226004).
3. In linea generale, va ribadito che il giudice della riparazione per l’ingiusta detenzione, al fine di stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, onde accertare – con valutazione necessariamente “ex ante” e secondo un iter logicomotivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale .
3.1 Ai medesimi fini, inoltre, il giudice deve esaminare tutti gli elementi probatori utilizzabili nella fase delle indagini, purché la loro utilizzabilità non sia stata espressamente esclusa in dibattimento (cfr. sez. 4 n. 19180 del 18/02/2016, COGNOME, Rv. 266808) alla luce del quadro indiziario su cui si è fondato il titolo cautelare, e sempre che gli elementi indiziari non siano stati dichiarati assolutamente inutilizzabili ovvero siano stati esclusi o neutralizzati nel giudizio di assoluzione (sez.4, n.41396 del 15.9.2016, Piccolo, Rv.268238).
Ciò premesso il giudice territoriale si è del tutto uniformato a tali principi, con una motivazione resistente alle censure mosse dalla parte ricorrente. Coerentemente con le risultanze del giudizio assolutorio ha provveduto a valutare, ai fini di accertare la ricorrenza della condizione impeditiva di cui all’art.314 comma 1 ultima parte cod. proc. pen., tutti gli aspetti della condotta tenuta dal COGNOME nel contesto investigativo che ha originato l’adozione del provvedimento restrittivo in sede di indagini preliminari, considerando la portata gravemente colposa dell’accertato mantenimento di relazioni e frequentazioni con taluni soggetti, COGNOME e COGNOME i quali risultano essere stati condannati per il delitto di partecipazione ad
associazione di stampo camorristico e il DOMENICANO anche per il delitto di danneggiamento doloso.
4.1 Se è vero che i collegamenti con tali esponenti di spicco della realtà calabrese non sono stati riconosciuti idonei a integrare il reato di partecipazione nell’associazione criminosa, in quanto non è stato accertato lo stabile inserimento del COGNOME all’interno del sodalizio, gli stessi risultano essere stati valorizzati quale ipotesi di colpa grave, sia in termini di contiguità alla organizzazione criminale, attraverso il collegamento del COGNOME con il COGNOME, attestato tanto dalla intercettazione concernenti gli ordigni esplosivi, sia in termini di vicinanza e frequentazione con esponenti di spicco del sodalizio, valorizzando le immagini che ritraevano il COGNOME in compagnia del COGNOME e del DOMENICANO nel pomeriggio che aveva proceduto la condotta di danneggiamento posta in essere dal DOMENICANO.
Invero il comportamento ostativo può essere integrato anche dalla condotta di chi, nei reati contestati in concorso, abbia tenuto, pur consapevole dell’attività criminale altrui, comportamenti percepibili come indicativi di una sua contiguità (cfr. Sez. 4 n. 45418 del 25 Novembre 2010, Carere, Rv. 249237; n. 37528 del 24 giugno 2008, Rv. 241218. Da ultimo n.4113 del 13/01/2021, NOME COGNOME, Rv.280391, ove la Corte ha ritenuto immune da censure l’ordinanza che aveva ravvisato la colpa grave, ostativa alla riparazione per l’ingiusta detenzione subita per il reato di cui all’art. 73 t.u. stup., nella condotta dell’instante consistita nell’intrattenere rapporti economici con soggetto dedito allo spaccio di sostanze stupefacenti.
4.2. A tale proposito non coglie nel segno il denunciato vizio dedotto dalla difesa della parte ricorrente secondo cui violerebbe la regola della ingiusta detenzione, e di effettività della tutela riparatoria, la circostanza che al MAZZA siano contestate, come addebiti colposi, le medesime condotte già valutate dal giudice dell’assoluzione per escludere la sua responsabilità. Invero è stato affermato dal S.C. che la valutazione del comportamento del richiedente la riparazione, integrante la colpa grave ostativa alla liquidazione della indennità per la ingiusta detenzione, va effettuata ex ante a prescindere dall’esito del giudizio di merito, atteso che, se il giudizio riparatorio si limitasse a tale accertamento, si stempererebbe in una valutazione paragonabile a quella del giudice del riesame, sulla ricorrenza dei gravi indizi di colpevolezza, senza considerare che i fatti posti all’esame del giudice della cautela,
potrebbero risultare incompleti, erronei, contraddittori, smentiti da emergenze di senso contrario o anche falsi. Invero la valutazione
riservata al giudice della riparazione non ha per oggetto né la sentenza assolutoria, che ha definito il giudice di merito, né la misura
cautelare che ha disposto la privazione della libertà personale dell’indagato, bensì la condotta tenuta dal cautelato alla luce delle
emergenze acquisite nel corso delle indagini, ma sempre che tali emergenze non siano state escluse o neutralizzate nel giudizio
assolutorio.
4.3. La condotta da cui scaturisce il rimprovero di colpa, e quindi il fatto preclusivo al riconoscimento dell’indennizzo, può infatti
consistere nel fatto già esaminato dal giudice penale dell’assoluzione e da questi ritenuta penalmente irrilevante, stante il diverso
accertamento demandato al giudice della riparazione (S.U., n.32383
del 27 Maggio 2010, COGNOME). Conseguentemente anche la stessa condotta che integra l’imputazione ascritta, ritenuta penalmente
irrilevante dal giudice dell’assoluzione, può giustificare l’esclusione della riparazione in quanto connotata dai richiesti profili di inescusabile leggerezza e macroscopica imprudenza (da ultimo sez.4, n.34438 del 2/07/2019, COGNOME, Rv.276859; n.2145 del 13/01/2021, COGNOME, Rv.280246 per ipotesi di collegamenti, nel primo caso personali e nel secondo caso economici, con realtà criminose associative), soprattutto allorquando le conclusioni del giudice dell’assoluzione si fondino sull’ermeneusí dell’oltre ogni ragionevole dubbio, che lascia pertanto spazio ad un diverso criterio valutativo da parte del giudice della riparazione.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato e il ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente, le cui difese sono risultate pertinenti ed utili ai fini della presente decisione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente che liquida in euro mille.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 7 maggio 2025