Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 574 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 574 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Sciacca il 16/06/1965, avverso l’ordinanza in data 22/02/2024 della Corte di appello di Palermo; letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte con cui il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso; letta la memoria con cui l’Avvocatura Generale dello Stato, nell’interesse del Ministero dell’economia e delle finanze, ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 22/02/2024, la Corte di appello di Palermo ha rigettato la richiesta di riparazione per l’ingiusta detenzione presentata nell’interesse di COGNOME COGNOME sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere dall’11/01/2018 al 21/12/2018 in relazione ai delitti di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, di estorsione e di tentata estorsione, aggravati dall’utilizzo del metodo mafioso e dagli stessi assolto con sentenza del giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Palermo del 25/07/2019, confermata dalla Corte di appello di Palermo con sentenza del successivo 13/07/2021, in seguito divenuta irrevocabile.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia del COGNOME, avv.to NOME COGNOME che ha articolato un unico motivo di ricorso, di seguito sintetizzato conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con tale motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità di cui agli artt. 125, comma 3, 292, 192, commi 2 e 3, e 314 cod. proc:. pen. e il vizio di motivazione per manifesta illogicità, in punto di rigetto dell richiesta di riparazione per l’ingiusta detenzione.
Sostiene, in specie, che il provvedimento impugnato, per un verso, si fonderebbe sulla ritenuta sussistenza di profili di colpa grave del richiedente, erroneamente ed illogicamente desunti dall’acclarata contiguità dello stesso al “capo mandamento” di Sciacca Di COGNOME Salvatore e, per altro verso, risulterebbe affetto da ingiustizia formale, stante l’affermata insussistenza, già in sede di impugnazione cautelare, di gravità indiziaria quanto al delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso.
Il procedimento è stato trattato in udienza camerale con le forme e con le modalità di cui all’art. 23, commi 8 e 9, del d.l. n. 137/2020, convertito dalla legge n. 176 del 2020, i cui effetti sono stati prorogati dall’art. 5-duodecies del d.l. n. 162 del 2022, convertito, con modificazioni, nella legge n. 199 del 2022 e, da ultimo, dall’art. 17 del d.l. n. 75 del 2023, convertito, con modificazioni, nella legge n. 112 del 2023.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME è manifestamente infondato per le ragioni che di seguito si espongono.
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2. stituito di fondamento è l’unico motivo di ricorso, con cui si lamenta l’inosservanza delle norme processuali di cui agli artt. 125, comma 3, 292, 192, commi 2 e 3, e 314 cod. proc. pen. e il vizio di motivazione per manifesta illogicità, sostenendo che l’ordinanza reiettiva della richiesta riparatoria, nel giudicare gravemente colpose le condotte del COGNOME – sostanziatesi in una sospetta vicinanza a un soggetto in posizione apicale nella locale articolazione di Cosa nostra e nel valutarle in termini di concausa della restrizione patita, avrebbe fatto erronea applicazione dell’evocato dato normativo e risulterebbe illogicamente motivata, anche in ragione dell’affermata insussistenza, in sede di
impugnazione cautelare, della prescritta gravità indiziaria quanto al più grave delitto associativo.
Ritiene in proposito il Collegio che la Corte territoriale, nel respingere la richiesta riparatoria azionata dalla difesa, abbia fatto corretta applicazione delle disposizioni normative in tesi violate, conformandosi, peraltro, all’ermeneusi che della nozione di colpa grave ostativa ha offerto il giudice di legittimità.
E invero, i giudici di merito, riconoscendo valenza preclusiva all’accoglimento dell’istanza alla disinvolta e abituale frequentazione del COGNOME con un elemento di spicco della famiglia mafiosa dominante sul territorio di Sciacca (il “capo mandamento” COGNOME Salvatore) e con altri individui inseriti in tale contesto malavitoso o ad esso vicini (COGNOME Giovanni Antonio, COGNOME, COGNOME Giacomo, COGNOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME), si sono uniformati agli insegnamenti della Suprema Corte che ha, da tempo, affermato che «In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, integra la condizione ostativa della colpa grave la condotta di chi, nei reati associativi, abbia tenuto comportamenti percepibili come indicativi di una sua contiguità al sodalizio criminale, mantenendo con gli appartenenti all’associazione frequentazioni ambigue e tali da far sospettare del diretto coinvolgimento nelle attività illecite» (così: Sez. 4, n. 49613 del 19/10/2018, B., Rv. 273996-01, nonché, in precedenza Sez. 4, n. 45418 del 25/11/2010, COGNOME, Rv. 249237-01 e Sez. 4, n. 37528 del 24/06/2008, COGNOME, Rv. 241218-011, chiarendo, altresì, che «Nel giudizio avente ad oggetto la riparazione per ingiusta detenzione, ai fini dell’accertamento della condizione ostativa del dolo o della colpa grave, può darsi rilievo agli stessi fatti accertati nel giudizio penale d cognizione, senza che rilevi che quest’ultimo si sia definito con l’assoluzione dell’imputato sulla base degli stessi elementi posti a fondamento del provvedimento applicativo della misura cautelare, trattandosi di un’evenienza fisiologicamente correlata alle diverse regole di giudizio applicabili nella fase cautelare e in quella di merito, valendo soltanto in quest’ultima il criterio dell’a di là ogni ragionevole dubbio”» (in tal senso, ex multis, Sez. 4, n. 2145 del 13/01/2021, COGNOME, Rv. 280246-01, Sez. 4, n. 34438 del 02/07/2019, Messina, Rv. 276859-01 e Sez. 4, n. 39500 del 18/06/2013, COGNOME, Rv. 256764-01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Né appare suscettibile di positivo apprezzamento la doglianza imperniata sull’ipotizzata ingiustizia formale della detenzione sofferta, pure azionata con il motivo di ricorso in disamina.
Osserva, infatti, il Collegio che la questione non è stata prospettata dal ricorrente al giudice della riparazione all’atto della presentazione dell’originaria richiesta, circostanza che ne preclude, in radice, la deduzione in questa sede.
Costituisce, infatti, consolidato insegnamento della Suprema Corte – al quale s’intende dare continuità – quello secondo cui «In tema di procedimento per ingiusta detenzione, la circostanza che il giudizio si svolga dinanzi alla corte d’appello in un unico grado di merito non comporta che in sede di legittimità possano essere fatti valere motivi di ricorso diversi da quelli enunciati dall’art. 606 cod. proc. pen., con tutte le limitazioni in essi previste, poiché una diversa estensione del giudizio, pur talvolta prevista dalla legge, non risulta da alcuna disposizione che, per la sua eccezionalità, non potrebbe che essere esplicita» (così: Sez. 4, n. 17119 del 14/01/2021, Reale, Rv. 281135-01).
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente di sostenere, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e considerato che non v’è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», si dispone che il ricorrente versi, in favore della Cassa delle ammende, la somma, determinata in via equitativa, di euro tremila.
Non può, invece, essere disposta la rifusione delle spese sostenute, nel presente grado di giudizio, dal Ministero resistente, posto che la memoria difensiva rassegnata, nel suo interesse, dall’Avvocatura Generale dello Stato, per la genericità del contenuto, non consente di individuare riferimenti specifici al caso in concreto esaminato e induce a concludere che la parte resistente non abbia fornito alcun apporto alla materia del contendere.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Nulla per le spese al Ministero resistente.
Così deciso il 05/12/2024