Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 3723 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 3723 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 04/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a NOCERA INFERIORE il 04/03/2000
altre parti:
Ministero dell’Economia e delle Finanze avverso l’ordinanza del 12/06/2024 della Corte d’appello di Salerno
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Salerno, quale giudice della riparazione, con l’ordinanza impugnata ha respinto la domanda con la quale NOME COGNOME ha chiesto la riparazione per la custodia cautelare subita nell’ambito di un procedimento penale a seguito del quale era stato definitivamente condannato per il reato di lesioni ex art. 582 cod. pen., così derubricata l’originaria contestazione di tentato omicidio plurimo. L’originaria misura cautelare era stata emessa con riferimento al reato di strage di cui agli artt. 110, 422, 61, n. 1, cod. pen., stan l’accusa provvisoria di avere, per futili motivi ed al fine di uccidere, lanciato propria automobile ad alta velocità contro un gruppo indistinto di giovani in uscita dalla discoteca “Vanilla” di Cava dei Tirreni.
Avverso la suddetta ordinanza, tramite il difensore di fiducia, propone ricorso l’interessato, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 314 cod. proc. pen.
Lamenta che la Corte territoriale abbia errato nel non considerare che la derubricazione del reato si era basata sui medesimi elementi trasmessi al giudice che aveva reso il provvedimento cautelare, sicché, ricorrendo nella specie l’ipotesi di ingiustizia formale di cui all’art. 314, comma 2, cod. proc. pen. – essendo stata riconosciuta la responsabilità per un reato che non avrebbe consentito l’applicazione di una misura custodiale – non si sarebbe potuta valutare alcuna condotta ostativa dell’interessato, in quanto comunque inidonea ad avere incidenza causale sull’emissione della misura, stante l’insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della stessa, secondo il noto insegnamento di Sez. Unite COGNOME (sent. n. 32383/2010). Deduce, in subordine, che la Corte abbia errato nel ricostruire la condotta ostativa del Cicalese, basandosi su fatti non provati nel giudizio di cognizione.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
Si è costituito il Ministero dell’Economia e delle Finanze, resistendo al ricorso e chiedendone la reiezione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Occorre muovere dalla considerazione che il provvedimento del Tribunale del riesame che aveva disposto la sostituzione della misura carceraria con quella domiciliare non si era basato sugli stessi indizi a disposizione del GIP, atteso che, come specificato nel provvedimento impugnato (e riportato in ricorso), era stato proprio dinanzi al Tribunale del riesame che la difesa aveva prodotto ulteriore documentazione, la quale aveva in seguito contribuito a costituire la piattaforma probatoria su cui il Giudice della cognizione aveva poi basato la derubricazione del contestato reato di tentato omicidio plurimo in quello meno grave di lesioni.
Ne deriva che già il Tribunale del riesame, ed a maggior ragione – nella fase successiva – il Giudice della cognizione, avevano avuto a disposizione elementi conoscitivi aggiuntivi rispetto al patrimonio indiziario acquisito dal GIP al momento della emissione della ordinanza cautelare genetica.
Nel caso, pertanto, non si può invocare il principio di obiettiva assenza di incidenza causale della condotta dell’interessato, per assoluta identità degli elementi trasmessi al giudice che ha reso il provvedimento cautelare con quelli posti a fondamento dell’accertamento dell’insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura, in ragione unicamente di una loro diversa valutazione. Tale principio, infatti, costituisce un’eccezione all’ordinaria regola secondo cui, anche nei casi di c.d. ingiustizia formale, il giudice della riparazione deve sempre procedere alla valutazione in ordine alla sussistenza di una eventuale condotta ostativa (al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione) che abbia dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare per dolo o colpa grave dell’interessato (cfr. Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247663 – 01).
Sotto questo profilo, la Corte territoriale ha correttamente esaminato la questione sottoposta al suo esame secondo i parametri richiesti dalla disposizione di cui all’art. 314 cod. proc. pen., valutando in maniera congrua e logica, e con l’autonomia che è propria del giudizio di riparazione, la ricorrenza di una condotta ostativa determinata da dolo o colpa grave, avente effetto sinergico rispetto all’emissione della misura custodiale nei confronti dell’interessato.
È infatti noto che, in materia di riparazione per ingiusta detenzione, la colpa che vale ad escludere l’indennizzo è rappresentata dalla violazione di regole, da una condotta macroscopicamente negligente o imprudente dalla quale può
insorgere, grazie all’efficienza sinergica di un errore dell’Autorità giudiziaria, una misura restrittiva della libertà personale. Il concetto di colpa che assume rilievo quale condizione ostativa al riconoscimento dell’indennizzo non si identifica con la “colpa penale”, venendo in rilievo la sola componente oggettiva della stessa, nel senso di condotta che, secondo il parametro dell’id quod plerumque accidit, possa aver creato una situazione di prevedibile e doveroso intervento dell’Autorità giudiziaria. Anche la prevedibilità va intesa in senso oggettivo, quindi non come giudizio di prevedibilità del singolo soggetto agente, ma come prevedibilità secondo il parametro dell’id quod plerumque accidit, in relazione alla possibilità che la condotta possa dare luogo ad un intervento coercitivo dell’autorità giudiziaria. Pertanto, è sufficiente considerare quanto compiuto dall’interessato sul piano materiale, traendo ciò origine dal fondamento solidaristico dell’indennizzo, per cui la colpa grave costituisce il punto di equilibrio tra gli antagonisti interes in campo.
Va inoltre considerato che il giudice della riparazione, per stabilire se chi ha patito la detenzione vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, c valutazione “ex ante” – e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013 – dep. 2014, Maltese, Rv. 25908201. La valutazione del giudice della riparazione, insomma, si svolge su un piano diverso, autonomo rispetto a quello del giudice del processo penale, ed in relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertà di valutare il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione (di natura civilistica), sia in senso positivo che negativo, compresa l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep. 1996, COGNOME ed altri, Rv. 20363801).
Da questo punto di vista, l’ordinanza impugnata ha fornito un percorso logico motivazionale intrinsecamente coerente e rispettoso dei principi di diritto connessi all’istituto della riparazione.
La Corte territoriale, valutando autonomamente il materiale probatorio utilizzato dai giudici di merito, ha fondatamente ritenuto che il comportamento del COGNOME, pur ritenuto privo di rilevanza penale, abbia contribuito colposamente, se non dolosamente, a dare causa all’emissione della misura cautelare.
Allo scopo è stata valorizzata l’accertata condotta volontaria del Cicalese, consistita nell’aver utilizzato un’autovettura lanciata a velocità sostenuta verso un numero di persone stazionanti dinanzi ad un locale da ballo, nove delle quali riportanti lesioni a seguito dell’investimento; condotta in ipotesi potenzialmente idonea a cagionare una strage, ma comunque costituente il logico presupposto dell’intervento delle forze dell’ordine e della cattura del Cicalese nell’immediatezza dei fatti, con conseguente successivo intervento dell’Autorità Giudiziaria ed emissione della relativa misura custodiale, causalmente determinata dalla condotta irresponsabile tenuta nell’occasione dal ricorrente.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Non si ritiene di dover procedere alla liquidazione delle spese sostenute dal Ministero resistente. La memoria depositata, infatti, si limita a riportare principi giurisprudenziali in materia di riparazione per ingiusta detenzione senza confrontarsi con i motivi di ricorso, sicché non può dirsi che l’Avvocatura dello Stato abbia effettivamente esplicato, nei modi e nei limiti consentiti, un’attività diretta a contrastare la pretesa del ricorrente (cfr. Sez. 4, n. 26952 del 20/06/2024, Rv. 286737 – 01).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Nulla sulle spese al ministero resistente.
Così deciso il 4 dicembre 2024
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Il Consia.tlèìre estensore
Il Presidente