Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 3727 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 3727 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 09/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a VOGHERA il 29/07/1963
avverso l’ordinanza del 01/10/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Procuratore generale, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 1 ottobre 2024, la Corte di appello di Milano ha rigettato la domanda formulata da NOME COGNOME per la riparazione dovuta ad ingiusta detenzione per 230 giorni, in ipotesi dipesa dall’emanazione di un ordine di esecuzione divenuto illegittimo per effetto della applicazione dell’indulto, nella misura di 9 mesi, a fronte della originaria determinazione in mesi 1 e giorni 10.
1.1. Più in particolare, i giudici della riparazione hanno ritenuto la domanda non sorretta da procura speciale, poiché non contenente alcun riferimento, neppure implicito, ai fatti cui si riferisce, e quindi priva della determinazione del suo oggetto.
Inoltre, l’ordine di esecuzione emesso nei confronti del COGNOME non poteva ritenersi illegittimo od arbitrario, secondo le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza di legittimità: la mancata corrispondenza tra pena inflitta e pena eseguita è dipesa infatti da vicende successive alla condanna, relative alla esecuzione della pena.
Tali vicende, pur avendo determinando ex post una discrasia tra pena inflitta e pena espiata, non integrano un profilo di ingiustizia indennizzabile ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen.
Infine, i giudici della riparazione hanno sottolineato come non fosse indennizzabile la pena espiata in regime di affidamento prova al servizio sociale (peraltro interamente eseguita ben prima del provvedimento con il quale si rideterminava la pena da condonare per effetto dell’indulto), trattandosi di misura alternativa che non determina privazione della libertà personale
Avverso l’ordinanza propone ricorso per cassazione il COGNOME a mezzo del proprio difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
2.1. Con il primo motivo si deduce violazione della legge processuale penale, in ragione della presenza, nella procura speciale, del numero di procedimento in relazione al quale fu conferita (art. 606, comma 1, lett. b, cod. proc. pen.), secondo le prescrizioni di cui all’art. 122, comma 1, cod. proc. pen.
In ogni caso i giudici della riparazione non hanno dichiarato la inammissibilità della domanda.
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge in quanto le decisioni relative all’applicazione dell’indulto non possono essere ritenute delle “vicende successive alla condanna” poiché, a ben vedere, ne integrano e ne specificano il contenuto.
In ogni caso si sottolinea come nelle più recenti decisioni della Corte di cassazione il diritto alla riparazione è riconosciuto anche nei casi in cui l’ingiusta detenzione sia dipesa da vicende successive alla condanna, relative all’esecuzione della pena, e persino quando ciò dipenda dall’esercizio di un potere discrezionale (come ritenuto dalla Corte territoriale, ma al fine di escludere la riparazione).
2.3. Con il terzo motivo si denuncia vizio della motivazione, per avere i giudici della riparazione erroneamente ritenuto che il COGNOME avesse espiato in affidamento il periodo dal 9 settembre 2013 al 26 dicembre 2018, in quanto fino al 9 settembre 2016 egli era ristretto in carcere (non potendo prima di quel momento beneficiare dell’affidamento proprio per effetto dell’erronea determinazione della pena).
Il Sostituto Procuratore generale ha presentato requisitoria scritta nella quale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato.
1.1. Il primo motivo è fondato.
Nel disciplinare il procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione, l’art. 315 cod. proc. pen. richiama le norme sulla riparazione dell’errore giudiziario e, pertanto, l’art. 645 cod. proc. pen. laddove è previsto che l’istanza deve essere presentata dalla parte interessata o da un procuratore speciale.
Questa Corte di legittimità, sul punto, ha avuto modo di precisare che la domanda di riparazione costituisce atto personale della parte che l’abbia indebitamente sofferta.
Pertanto, la sua proposizione, in quanto espressione della volontà della parte di far valere il diritto alla riparazione in giudizio può avvenire, oltre che personalmente, anche per mezzo di procuratore speciale nominato nelle forme previste dall’art. 122 cod. proc. pen., ma non per mezzo del difensore con procura, avendo la legge voluto garantire sia l’autenticità dell’iniziativa, sia la sua diretta e inequivocabile derivazione dalla volontà dell’interessato (Sez. U, n. 8 del 12/03/1999, COGNOME, Rv. 213508 – 01).
Esiste quindi una differenza tra il mandato difensivo, con cui si attribuisce al difensore il potere di esercitare la difesa tecnica e la procura speciale, con la quale la parte interessata trasferisce ad altro soggetto (ad es. al difensore) un potere di cui quest’ultimo non è titolare.
Ne consegue che la domanda può essere proposta dalla parte personalmente o da un procuratore speciale nominato ai sensi dell’art. 122 cod. proc. pen., ma non dal difensore munito di semplice procura ad litem, dovendosi garantire sia l’autenticità dell’iniziativa, sia la diretta e inequivocabile derivazione dalla volontà dell’interessato (Sez. U, COGNOME, cit.; Sez. 4 n. 25082 del 12/05/2021, NOME COGNOME, Rv. 281490 – 01; Sez. 4, n. 10187 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278439 – 01).
Per essere validamente conferita, ai sensi dell’art. 122, comma 1, cod. proc. pen., la procura speciale deve, a pena di inammissibilità, essere rilasciata per atto pubblico o scrittura privata autenticata e deve contenere anche «la determinazione dell’oggetto per cui è conferita e dei fatti a cui si riferisce».
In applicazione di tali principi si è così esclusa la validità della procura rilasciata al difensore che aveva sottoscritto la domanda di riparazione e allegata su foglio separato, che conferiva il potere di «presentare istanza ex art. 315 cod. proc. pen., senza alcuna ulteriore specificazione con riguardo all’oggetto per cui era conferita, quale ad esempio l’indicazione del numero del procedimento penale a cui era collegata» (Sez. 4, n. 16115 del 15/02/2018, COGNOME, Rv. 272475 01; principio richiamato anche dalla giurisprudenza successiva: Sez. 4, n. 16690 del 26/03/2024, Turi, non mass., in relazione ad una procura rilasciata esclusivamente in funzione del processo di merito, di cui recava il numero di iscrizione nel registro delle notizie di reato; Sez. 4, n. 16336 del 14/03/2023, COGNOME, non mass., in relazione ad una procura a presentare la domanda ex art. 314 cod. proc. pen., senza alcuna indicazione del procedimento in relazione al quale dovesse essere presentata).
Ciò che conta è che non vi sia incertezza in ordine all’effettiva portata della volontà della parte, e pertanto, in virtù del principio di conservazione degli atti, la procura speciale può considerarsi valida anche quando la volontà del mandante non sia trasfusa in rigorose formule sacramentali, ovvero sia espressa in forma incompleta; né rilevano, in quanto tali, le mere imprecisioni formali o le irritualità (Sez. 3, n. 4676 del 22/10/2014, dep. 2015, M., Rv. 262473 – 01; Sez. 4, n. 48571 del 5/11/2013, COGNOME, Rv. 258089 – 01), ben potendo il tenore dei termini usati nella redazione della procura speciale, e la sua collocazione, escludere ogni incertezza in ordine all’effettiva portata della volontà della parte (Sez. 4, n. 3445 del 11/09/2019, dep. 2020, Piazza, Rv. 278026 – 01, in ordine alla costituzione di parte civile).
Nel caso in esame, dall’esame degli atti (consentito in ragione del tipo di vizio dedotto) emerge che il richiedente ha rilasciato procura al suo difensore, contenente uno specifico riferimento alla domanda di riparazione che, per effetto della contestuale indicazione del numero del procedimento in relazione al quale
doveva essere presentata (attraverso il riferimento al numero assunto nel sistema informatico relativo al procedimento di esecuzione), consente di ricostruire in modo univoco la sua volontà di trasferirgli il potere di esercitare l’azione.
La fondatezza del ricorso, sul punto, non conduce però all’annullamento del provvedimento impugnato, poiché il rigetto della Corte territoriale è stato fondato su tre diversi ordini di motivi, ciascuno dei quali idoneo a sostenere la decisione.
1.2. Il secondo ed il terzo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente, sono nel complesso infondati.
Sebbene il COGNOME abbia effettivamente espiato la pena in regime inframurario, a partire dal 12 settembre 2013, non può sostenersi che la mancata corrispondenza tra pena inflitta e pena eseguita sia dipesa da vicende, successive alla condanna, tali da dar luogo all’indennizzo.
Osserva al riguardo il collegio che con la sentenza n. 310 del 1996, il giudice delle leggi ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 314 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede il diritto all’equa riparazione anche per la detenzione ingiustamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. e per violazione dell’art. 5 della Convenzione E.D.U., che prevede il diritto alla riparazione a favore della vittima di arresto o di detenzioni ingiuste senza distinzione alcuna.
Dopo tale pronuncia la Corte di cassazione ha inizialmente affermato che il diritto alla riparazione non è configurabile ove la mancata corrispondenza tra pena inflitta e pena eseguita sia determinata da vicende, successive alla condanna, che riguardano la determinazione della pena eseguibile (Sez. 4, n. 3382 del 22/12/2016, dep. 2017, Riva, Rv. 268958 – 01; n. 4240 del 16/12/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269168; Sez. 4, n. 40949 del 23/04/2015, COGNOME, Rv. 264708 – 01).
La giurisprudenza successiva ha poi esteso il diritto alla riparazione anche ai casi in cui l’ingiusta detenzione patita derivi da vicende successive alla condanna, connesse all’esecuzione della pena, purché non ricorra un comportamento doloso o gravemente colposo dell’interessato che sia stato concausa di errori o ritardi nell’emissione del nuovo ordine di esecuzione recante la corretta data del termine di espiazione della pena (Sez. 4, n. 17118 del 14/01/2021, COGNOME Rv. 281151 – 01; Sez. 4 n. 57203 del 21/9/2017, COGNOME, Rv. 271689, che richiama C.E.D.U., 24 marzo 2015, Messina c. Italia, n. 39824/07, secondo cui è ingiusta una detenzione che, per effetto della riconosciuta liberazione anticipata, sia rimasta sine titulo), con la precisazione che la detenzione sine titulo legittimante il diritto alla riparazione sussiste solo
qualora si verifichi violazione di legge da parte dell’autorità procedente; non, invece, qualora la discrasia tra pena definitiva e pena irrogata consegua all’esercizio di un potere discrezionale (così, da ultimo, Sez. 4, n. 26951 del 20/06/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 38481 del 17/09/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n.25092 del 25/05/2021, COGNOME, Rv. 281735 – 01, che richiama Corte EDU 10/07/2003, Grava c. Italia, Corte EDU 2/03/2006, Pilla c. Italia, Corte EDU 17/06/2008, RAGIONE_SOCIALE Turchia e Corte EDU 21/10/2013, Del Rio Prada c. Spagna).
Questo perché esiste una differenza tra la pena definita da pronuncia irrevocabile e la pena, come risultante dagli interventi successivi dell’autorità giudiziaria sul trattamento sanzionatorio (Sez. 4, n. 57203, Paraschiva, cit., in motivazione; Sez. 4, n. 37234 del 28/09/2022, COGNOME, non mass.).
Per tale ragione, ad esempio, è stato escluso il diritto alla riparazione nel caso in cui la diversa entità della pena da eseguire non era conseguente a un ordine di esecuzione illegittimo o errato, bensì all’esercizio del potere discrezionale da parte del giudice dell’esecuzione, che aveva riconosciuto il vincolo della continuazione tra i reati separatamente giudicati (Sez. 4, n. 38481, Cimmino, cit.).
Nel caso in esame deve rilevarsi che con sentenza n. 40 del 24 marzo 2010 (irrev. 21 giugno 2013), il COGNOME è stato condannato alla pena di anni 7 di reclusione, in relazione ad una serie di reati – tra cui quelli di cui all’art. 640 cod. pen. – tra loro in continuazione.
La GLYPH pena irrogata GLYPH per i GLYPH reati c.d. GLYPH satellite veniva determinata, cumulativamente, in anni 3.
Con ordinanza del 25 settembre 2014, è stato applicato l’indulto nella misura di 2 mesi, e la pena è stata ridotta ad anni 6, mesi 10 e giorni 20 di reclusione.
A tale calcolo si giungeva determinando in mesi 2 la pena relativa ai 6 reati di truffa (su 18) che ricadevano temporalmente nella applicazione del beneficio.
Su opposizione del COGNOME (così convertito l’originario ricorso per cassazione), l’indulto, per effetto di una diversa determinazione della pena per ciascuna delle condotte ritenute in continuazione, è stato applicato nella misura di mesi 9, e la pena è stata quindi ridotta ad anni 6 e mesi 3 di reclusione.
Contrariamente, quindi, a quanto sostenuto dal ricorrente, la misura entro cui applicare l’indulto è dipesa (non da un errore dell’autorità giudiziaria ma) da una valutazione tipicamente giurisdizionale, relativa alla individuazione delle condotte ricadenti nel provvedimento e, conseguentemente, alla determinazione della pena prevista per tali condotte, ai sensi dell’art. 81 cod. pen.
In altre parole, la diversa entità della pena da eseguire non è derivata da un ordine di esecuzione illegittimo o errato (come invece lamenta il ricorrente), ma dall’esercizio di un potere discrezionale del giudice dell’esecuzione, senza che sia stata fondatamente dedotta dal Cigagna una violazione di legge da parte dell’autorità procedente che abbia in ipotesi dato causa alla detenzione sine titulo.
Vero è che questa Corte ha ritenuto riparabile la detenzione patita per effetto di un ordine di esecuzione relativo a pena già (interamente) estinta per indulto, anche se non ancora applicato dal giudice di esecuzione (Sez. 4, n. 30492 del 12/06/2014, Riva, Rv. 262240): si tratta però di un caso del tutto diverso, in cui non veniva in rilievo l’esercizio di alcun potere discrezionale, sottolineandosi come era onere del pubblico ministero che emette l’ordine di esecuzione di tener conto dell’eventuale incidenza dell’indulto sull’entità della pena, con conseguente sospensione provvisoria dell’esecuzione qualora, all’esito del calcolo così effettuato, la pena residua non superi i limiti previsti dall’art. 656, comma 5, cod. proc. pen., comma 5, ovvero, risulti del tutto estinta (come nel caso allora deciso da questa Sezione).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, 9 gennaio 2025
Il Consi liere estensore
Il Presidente